Contro i falsi miti di progresso –
IL VIDEO
CONTRO I FALSI MITI DI PROGRESSO - Incontro all'Antonianum
Frammento
Fonte:costanzamiriano.comdi Costanza MirianoUn’amica – forse atea forse cattoprogressista, di certo intelligentissima, radical chic – me lo aveva detto due giorni dopo l’uscita del mio primo libro: bello. Dici cose vere anche per me che non sono così allineata alla Chiesa. Ma sta’ attenta, perché tutti ti tireranno per la giacchetta, e cercheranno di farti diventare una bandiera di idee che non avrai mai espresso né pensato. Io, col mio formidabile fiuto strategico, pensavo che si sbagliasse. Figurati, chi mai potrebbe ascoltare o addirittura tirare per la giacchetta una come me, che da giorni cerco invano qualcuno che ospiti una presentazione del mio libro (alla fine la moglie di un collega, nel suo negozio peraltro non di libri, ha avuto pietà di me, e tra i figli, i suoceri, le amichette di scuola e due valorose amiche del mare che hanno valicato l’Appennino abbiamo raggiunto la venticinquina di persone).Invece in qualche modo è successo. Una bandiera no, ma di tirate per la giacchetta ne ho avute diverse. E così l’altro giorno ho scoperto (da Repubblica) di essere sul punto di partecipare a un convegno omofobo, e (dal Foglio) di avere detto che “i gay vanno curati”. Io in realtà credevo di avere scritto un libro di lettere alle amiche per convincerle a sposarsi, poi un altro sul linguaggio maschile e femminile e la manutenzione del matrimonio, infine uno sull’obbedienza. Non so niente dell’omosessualità e non mi interessa. Chiedo a gran voce che mi siano riportate chiaramente e precisamente le parole in cui ho offeso gli omosessuali, in cui ho detto che è lecito mancare loro di rispetto, in cui li ho giudicati o ho detto che vanno curati.Nei miei libri il tema non è sfiorato, mentre in altre circostanze l’unica cosa che ho detto – e ripetuto fino alla nausea sul tema – è che i bambini hanno diritto a un padre maschio e a una madre femmina. Se questa è omofobia, be’, allora siete usciti allo scoperto, attivisti lgbt. Se è omofobia dire che abbiamo bisogno di rapportarci all’identità maschile e femminile per definire la nostra (cosa che affermano moltissimi omosessuali per primi), allora siamo davvero alla negazione della realtà.Un’altra cosa che mi fa sbellicare dalle risate è quando mi definiscono “cattolica di ferro” (Il Fatto), paladina della famiglia tradizionale. Io sono cristiana cattolica, sì, ma di ferro proprio no. Sono così tanto peccatrice e così tanto incoerente e così tanto misera che non basterebbero dieci libri per elencare le mie mancanze e cadute e debolezze. Altro che ferro. Però noi che crediamo nel Vangelo, sappiamo che noi uomini non siamo buoni, da soli, che dal cuore umano escono ogni sorta di schifezze, sappiamo che addirittura Gesù dice di se stesso che nessuno è buono se non Dio solo. Figuriamoci. Figuriamoci se non sappiamo che la famiglia è anche il luogo della nostra miseria, della fatica, delle nevrosi a volte, del sudore delle lacrime. Dello scontro, delle litigate furibonde in alcune, oppure del grigiore. Sappiamo che la famiglia non è mai perfetta, a volte è proprio un disastro, altre volte invece funziona, ma sempre a prezzo di fatica e impegno. Soprattutto di una decisione di fondo.
Noi che andiamo in giro a difendere la famiglia non abbiamo nessuna intenzione di farne un quadretto a tinte pastello. Noi sappiamo che un padre e una madre sono una condizione necessaria ma non sufficiente alla crescita serena dei figli. Ci sono pessimi padri e pessime madri. Però che la condizione è necessaria dobbiamo dirlo, e se questa è percepita come omofobia, non so che farci. Se le lettere in cui dico alle mie amiche che vale la pena sposarsi sono oscurantiste, non so che farci. Se i capitoli in cui scrivo che maschi e femmine sono diversi e parlano due lingue sono considerati stereotipi da bigotta, non so che farci.Poi a un certo punto grazie ai libri ho incontrato nuovi amici e abbiamo scoperto che stavamo dicendo le stesse cose. Padre Maurizio Botta, Mario Adinolfi, Marco Scicchitano e io abbiamo tenuto diversi incontri a Roma, uno nel cuore della città, gli altri in periferia. Gli incontri, che hanno un format ricorrente, li abbiamo chiamati “Contro i falsi miti di progresso” (video). Anche a Milano faremo lo stesso incontro, e mi piacerebbe che chi ci ha attaccati senza sapere quello che avremmo detto lo ascoltasse, e ci dicesse cosa c’è di sbagliato nelle nostre parole. Noi cerchiamo di ragionare su quello che viene dal pensiero unico considerato progresso e che invece secondo noi è qualcosa che fa male alle persone, tutte. I temi si sono via via definiti insieme ad altri amici davanti a qualche bicchiere di vino, a qualche piatto di cose buone preparate da un altro nostro amico, Gerry, nel suo locale, Est, che è il nostro rifugio. Insieme abbiamo capito, o almeno così a noi è sembrato, che tra i falsi miti i più pericolosi in giro nell’aria oggi ci siano quelli legati all’ideologia del gender, per i loro riflessi sulla vita quotidiana delle persone che ne sono profondamente e spesso inconsapevolmente imbevute, e anche per gli effetti più estremi, che invece riguardano pochissimissime persone: se maschio e femmina sono solo orientamenti e inclinazioni culturali, allora non è necessario che ci siano proprio esattamente un maschio e una femmina per tirar su un bambino, e se la biologia testarda omofoba e oscurantista si ostina a continuare a pretendere che un figlio venga da un padre maschio e una madre femmina, la cosa deve poter essere aggirata in diversi modi. Per esempio iperstimolando donne che producano molti ovuli insieme, nonostante i gravissimi rischi per la salute, e poi pagando altre donne che facciano crescere il bambino prodotto grazie a spermatozoi di varia provenienza (venduti, prestati, donati, prodotti dall’uomo che farà il padre…). Queste e molte altre tecniche per produrre persone, che trasformano esseri umani in cose manipolabili e vendibili, ci preoccupano molto, mentre dal sentire comune vengono completamente rimosse: quando si mettono in copertine patinate foto di omosessuali di successo che stringono un bebè fra le braccia, oppure dichiarano di avere deciso che entro una certa età avranno senz’altro il loro (loro solo in parte) bambino, si omette di dire quanto dolore c’è dietro quella foto.Ora, io vorrei dire con il cuore in mano e con tutta la sincerità di cui sono capace che capisco benissimo il desiderio di paternità e di maternità di chiunque, e che un bambino che nasce è sempre una cosa bellissima, ma i nostri desideri non sempre possono essere realizzati, l’esperienza del limite la facciamo tutti, tutti i giorni. E se vogliamo superarli facendoci del male siamo liberi, ma quando il male viene fatto ai più piccoli (bambini che non potranno mai conoscere uno o entrambi i genitori, bambini staccati dalla mamma che li ha custoditi nove mesi, bambini con fratelli congelati, e poi bambini che non potranno rapportarsi con la figura del loro stesso sesso o di quello opposto, solo per dire qualche possibilità) chiunque possa deve alzare la voce per difendere chi non può farlo da solo.Padre Maurizio, Marco, Mario e io abbiamo deciso di farlo come ci è possibile. Ognuno di noi viene da una storia diversa, ognuno ha la sua sensibilità e la sua competenza: un sacerdote oratoriano, uno psicoterapeuta, un giornalista campione di poker e fondatore del Pd. E poi ci sono io, che ho cercato solo di ragionare sulla differenza tra maschile e femminile scrivendo dei libri, perché ho sperimentato nella mia vita di moglie e di mamma che questa differenza non solo esiste, ma è fondamentale. Ognuno di noi nel nostro format mette la propria parte e sensibilità. Nessuno di noi ha mai detto che si possa mancare di rispetto alle persone omosessuali, né che vadano curate. Se quello che diciamo per smascherare le bugie sulla “omogenitorialità” suscita tanto odio e tante accuse false, è perché noi diciamo la verità, e non ci possono controbattere con la ragione. Possono solo urlare.Infine sul tema “i gay vanno curati”: non l’ho mai detto. Non è vero. Gli omosessuali non vanno curati. Se vivono contenti la loro condizione non hanno bisogno di nessuna cura. Se la loro non contentezza dipende da violenze subite, tali violenze vanno perseguite severamente (e ci sono già le leggi che perseguono ogni violenza contro ogni persona, con l’aggravante dei motivi abietti). Ci sono però persone omosessuali che vivono con dolore la loro inclinazione, e non solo per lo stigma sociale. Se queste persone vanno di loro iniziativa a cercare aiuto, chiedendo l’assistenza di qualcuno, io non trovo niente di offensivo nel fatto che specialisti – psichiatri, psicoterapeuti – provino ad aiutarli.
Alcune risposte che consiglio di leggere!
>>> 103 Responses to “Come sono finita qui?”
adminConsiglio vivamente di leggerlo. riporto due anticipazioni su cui concordo in pieno:“Noi che andiamo in giro a difendere la famiglia non abbiamo nessuna intenzione di farne un quadretto a tinte pastello. Noi sappiamo che un padre e una madre sono una condizione necessaria ma non sufficiente alla crescita serena dei figli. Ci sono pessimi padri e pessime madri. Però che la condizione è necessaria dobbiamo dirlo, e se questa è percepita come omofobia, non so che farci. Se le lettere in cui dico alle mie amiche che vale la pena sposarsi sono oscurantiste, non so che farci. Se i capitoli in cui scrivo che maschi e femmine sono diversi e parlano due lingue sono considerati stereotipi da bigotta, non so che farci.”“Ora, io vorrei dire con il cuore in mano e con tutta la sincerità di cui sono capace che capisco benissimo il desiderio di paternità e di maternità di chiunque, e che un bambino che nasce è sempre una cosa bellissima, ma i nostri desideri non sempre possono essere realizzati, l’esperienza del limite la facciamo tutti, tutti i giorni. E se vogliamo superarli facendoci del male siamo liberi, ma quando il male viene fatto ai più piccoli (bambini che non potranno mai conoscere uno o entrambi i genitori, bambini staccati dalla mamma che li ha custoditi nove mesi, bambini con fratelli congelati, e poi bambini che non potranno rapportarsi con la figura del loro stesso sesso o di quello opposto, solo per dire qualche possibilità) chiunque possa deve alzare la voce per difendere chi non può farlo da solo.”
Comunicato Obiettivo Chaire
Si stanno scrivendo un sacco di menzogne a proposito del Convegno di Regione Lombardia di sabato 17 gennaio. Innanzitutto da parte di Repubblica, che sembra avere dimenticato che il tema del convegno riguarda le unioni civili e la famiglia naturale, non le terapie riparative, e continua a scrivere che gli organizzatori del Convegno vorrebbero “curare i gay”. Questa è una bugia clamorosa. Ma ancora più clamorosa è la pretesa che sembra nascondersi dietro questi attacchi carichi di odio e di risentimento, cioè volere impedire a una persona con tendenze omosessuali non desiderate di chiedere di essere aiutata a recuperare l’equilibrio che non ha a uno psicologo o psicoterapeuta, piuttosto che a un gruppo di persone o a un sacerdote. Si tratta di un disegno liberticida che ricorda il ddl Scalfarotto sull’omofobia: se non la pensi come noi devi andare in galera. E per fare questo si attacca un gruppo come Obiettivo-Chaire che ha sempre aiutato concretamente le persone con tendenze omosessuali a trovare la serenità e l’equilibrio che non avevano. Ma forse è proprio questo amore concreto verso le persone che dà tanto fastidio agli omosessuali ideologici, ai gruppi lgbt.
Pubblichiamo a questo proposito una dichiarazione dell’equipe di Obiettivo-Chaire.
Milano 4 gennaio 2015
In merito agli articoli pubblicati relativamente al convegno sulla famiglia del prossimo 17 gennaio promosso anche dalla nostra associazione, desideriamo chiarire alcuni aspetti sostanziali. Obiettivo Chaire è un’associazione cattolica che non si occupa di psicoterapia ma di accompagnamento pastorale, con particolare attenzione alle ferite della sfera identitaria e sessuale, compresa la omosessualità.La realtà e la ragione ci insegnano che esistono uomini e donne, e che ogni persona non può e non deve essere ridotta ad una “preferenza” o “orientamento sessuale”: non esistono, se non nelle astratte categorie gender, eterosessuali, omosessuali o altre “varianti di genere”, ma uomini e donne che portano inscritto nel loro corpo un dono e una chiamata alla relazione, naturalmente aperta alla generazione e alla accoglienza della vita.
Uomo-donna-vita: in questa triade relazionale fondante è riconoscibile in modo preconfessionale la famiglia naturale. Non vi è nulla di “omofobo” in questa constatazione. Come ci ricorda il Catechismo della Chiesa Cattolica, ogni persona porta una ferita identitaria e va accolta con delicatezza rispetto e attenzione. In un’ottica di accoglienza e certamente di non discriminazione, Obiettivo Chaire ha sempre agito negli anni nel pieno rispetto della persona, nel confronto con opinioni e scelte differenti. Per tale motivo è del tutto fuorviante che si propongano letture in cui la nostra associazione viene presentata come “quella che vuole curare i gay” o “ripararli”.
Ci sorprende inoltre, come in vari articoli e dichiarazioni, l’accusa di “omofobia” venga lanciata contro Obiettivo Chaire in modo del tutto arbitrario, ideologico e strumentale. La nostra associazione ha sempre proposto una cultura del dialogo e del confronto e si è sempre schierata contro ogni forma di omofobia.
E’ preoccupante che la parola omofobia, usata abbondantemente negli articoli in questione, possa risultare un modo per mettere a tacere una voce differente. La tendenza omosessuale non è da considerarsi una malattia. Non abbiamo mai affermato questa tesi. Tuttavia il disagio per una tendenza omosessuale soggettivamente indesiderata esiste.
Non si capisce quindi come l’interpretazione del disagio debba essere la sola teoria conosciuta come Gay Affermative Therapy (GAT), secondo cui il malessere sarebbe unicamente frutto della omofobia sociale interiorizzata. L’interpretazione che la tendenza omosessuale possa rappresentare una ricerca erotizzata, “riparativa”, messa in atto dal soggetto per riconnettersi con la propria vera identità (maschile, femminile), è una lettura liberatoria in cui molti soggetti hanno ritrovato equilibrio e serenità. Non viene proposta alcuna “cura”, si riflette in un contesto cristiano sul proprio percorso sistenziale.
Le persone che liberamente hanno frequentato Chaire in questi anni sanno che accoglienza e rispetto sono le cifre del nostro impegno.
Equipe Chaire
5 gennaio 2015 alle 05:43