State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

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State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

sabato 15 marzo 2014

«In Quaresima digiunate da internet»

L'INVITO DEL VESCOVO PIZZIOL AI FEDELI:

          «IN QUARESIMA 

DIGIUNATE DA INTERNET»

                       


Quaresima ... è tempo di Amare ...

                           ***

       " IN QUARESIMA aggiornerò SOLO QUESTi BLOG"

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venerdì 14 marzo 2014

Signore... Trasformami in un televisore, così che io possa occupare il suo posto.

 Blog in pausa quaresimale

               ***


Un bambino pensando una preghiera, disse così:
 a
Signore questa notte ti chiedo una cosa speciale…Trasformami in un televisore, così che io possa occupare il suo posto.Mi piacerebbe vivere come il televisore di casa mia.In altre parole avere una stanza speciale per riunire tutti i membri della mia famiglia attorno a me.Esser preso sul serio quando parlo.Fa che io sia al centro dell’attenzione così che tutti mi prestino ascolto senza interrompermi né discutere.Mi piacerebbe provare l’attenzione particolare che riceve la televisione quando qualcosa non funziona…E tener compagnia a mio papà quando torna a casa, anche quando è stanco dal lavoro.E che la mia mamma, al posto di ignorarmi, mi cerchi quando è sola e annoiata.E che i miei fratelli e sorelle litighino per stare con me…E che possa divertire tutta la famiglia, anche se a volte non dico niente.Mi piacerebbe vivere la sensazione di chi tralascia tutto per passare alcuni momenti al mio fianco.Signore non ti chiedo molto. Solo vivere come qualsiasi televisore.




Come i Media Corrompono la Società
Il blog di Annalisa Colzi


Il blog di Annalisa Colzi

“pensi mai a cosa vedono e ascoltano i tuoi figli?”
pokemon, simpson, winx, pollon, Yu-gi-oh!….
fabri fibra, lady gaga, rihanna…
“è musica per le loro orecchie?“

COME SATANA CORROMPE LA SOCIETÀ


 scrittrice cattolica, esperta di attualità e mass-media, propone un viaggio alla conoscenza  di come oggi i mezzi di comunicazione corrompono e ingannano i giovani sin dall’infanzia.

La bufala del vescovo che incita alla fellatio.

BUFALE E PECORONI
DI AUTORI VARI
bufala

IL VESCOVO CHE DICE CHE «IL SESSO ORALE NON È PECCATO SE SI PENSA A GESÙ»? UNA BALLA (E NEMMENO LA PIÙ GRAVE)

di Emanuele Boffi   Tempi.it
Ma come si fa a rilanciare una balla del genere? Ieri (e ancora oggi) su molti siti italiani (Il Giornale, Libero,  Leggo, Lettera43, TGCOM - nota dell’admin)  è stata riportata la notizia che l’arcivescovo di Granada, Francisco Javier Martínez, avrebbe scritto nel libro Cásate y sé sumisa (la versione spagnola del libro Sposati e sii sottomessa di Costanza Miriano) che «il sesso orale non è peccato se si pensa a Gesù».
Gli elementi per riprendere una frase del genere ci sono tutti: un importante uomo di Chiesa, il sesso, la balordaggine che questo non sia peccato «se si pensa a Gesù». Ci si aspetterebbe, da chi fa informazione, almeno una verifica della fonte.
Ma, si sa, tira più un clic di mille carri di verifiche. E infatti è una bufala, inventata, tempo fa, da un sito satirico spagnolo (una sorta di Lercio.it o Il Vernacoliere – nota dell’admin). La frase – ripresa da un sito messicano – diventa virale, circola sul web, fa il giro di internet. È successo questa volta, come tante altre volte.
Ma questo è solo un aspetto della vicenda. Quel che, forse, dovrebbe fare ancora più riflettere è il fatto che molti siti per, diciamo così, “avvalorare” la notizia, hanno voluto ricordare ai loro lettori che Martínez è un vescovo «ultraconservatore» da sempre «contrario all’aborto». Capito come è ridotta l’informazione? Non solo scambia le panzane per notizie, ma ci vuole fare credere che anche la contrarietà all’aborto è una panzana.

La bufala del vescovo che incita alla fellatio.

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Tempi.it
*Corre la bufala del sesso orale "assolto" da un vescovo
di Rino Cammilleri


Ricordate le polemiche suscitate in Spagna dal libro di Costanza Miriano Spòsati e sii sottomessa? Richieste di messa al bando, di censura almeno sul titolo, interrogazioni parlamentari, manifestazioni di protesta contro Cásate y sé sumísa, con bersaglio, al solito, la Chiesa. I fenomeni anticlericali erano stati particolarmente virulenti a Granada, alla cui arcidiocesi sovrintende un prelato senza peli sulla lingua, Francisco Javier Martínez, già finito nel mirino per aver detto che l’aborto è un genocidio silenzioso. Definito ultraconservatore (mentre fa solo il suo mestiere di vescovo cattolico), non gliene perdonano una, tanto che nel 2007 fu condannato in tribunale a pagare un risarcimento a uno dei suoi preti che lui avrebbe «intimidito».
Nei giorni della polemica contro la Miriano, la cui traduzione spagnola era stata pubblicata da un’editrice diocesana, si era mossa addirittura la ministra della sanità (con delega ai servizi sociali e all’Eguaglianza), Ana Mato, e aveva chiesto il ritiro di quel libro in quanto non condivisibile dalla «maggioranza della società». E a chi si era rivolta? Proprio al nostro arcivescovo, perché la casa editrice implicata, «Nuevo Inicio», dipendeva da lui. Naturalmente, il presule aveva educatamente mandato a quel paese sia la ministra che la pretesa «maggioranza della società» di cui lei si era autoeletta portavoce. Come al solito, quando i giacobini non riescono a prevalere per vie democratiche e legali, ricorrono alla piazza. E, se neanche con questa ottengono nulla, scatenano le loro truppe di riserva composte di nani&ballerine, comici&registi, vignettari&cantanti, i quali, avanzando sotto lo scudo della «satira», cominciano a demolire l’immagine del nemico ideologico indicato.
Così, nel novembre scorso, un sito «satirico» spagnoloeljueves.es, pubblicò una foto dell’arcivescovo di Granada con accanto il libro della Miriano, mettendogli in bocca una serie di «consigli spirituali» del tipo: «Mujer, practicarás felaciones a tu marido siempre que te lo ordene. Pero cuando lo hagas, piensa en Jesús. Recuerda: ¡No eres una pervertida!». O: «Sé una mujer del siglo XXI. Practica el coito de espaldas». Penso che non ci sia bisogno di traduzione. Il sito «satirico» precisava che tali esortazioni erano contenute nel libro dell’arcivescovo di Granada, che però se lo era fatto scrivere da un’italiana. Voi direte che non fa ridere. Ma alla «satira»  di parte non interessa tanto far ridere quanto demonizzare (termine che dice tutto) e distruggere moralmente l’avversario in attesa di procedere, circostanze permettendo, a quella fisica.
Ora, poiché quel che viene messo in internet ci resta per sempre, un sito messicano (stessa lingua) ha in questi giorni riesumato la storia dell’arcivescovo spagnolo che avrebbe detto: «Donne, praticate il sesso orale a vostro marito ogni volta che ve lo chiede. Ricordatevi che non è peccato se quando lo si fa si pensa a Gesù». La cosa, presa per vera, sta facendo il giro del mondo ed è stata rilanciata, in Italia, da testate non di secondo piano come TgcomLeggo e via elencando. Con l’aggiunta di qualche titolo redazionale a effetto, tipo «Chiesa spagnola nella bufera» o «Il prelato non è nuovo a questo genere di provocazioni». La bufala (si dice così in gergo giornalistico) è stata svelata dal sito qelsi.it e ci autorizza a una serie di (meste) riflessioni.
Una è questa: l’arcivescovo avrebbe potuto evitare tutto ciò adendo la magistratura spagnola per chiedere la rimozione della «satira» di novembre. Senza essere sicuro di avere ragione in tribunale. Per giunta, avrebbe fatto la figura di uno che non usa la «misericordia» e, per altri versi, sarebbe finito di nuovo sulle prime pagine. Ciò avrebbe offerto magari il destro a quelli che, tra i suoi colleghi, non lo amano per chiederne il trasferimento lontano dai riflettori, così da far tornare la calma piatta. Ma c’è dell’altro: un arcivescovo non può passare le sue giornate a esplorare continuamente internet alla ricerca di (brutte) cose che lo riguardano. E’ possibile, perciò, che il Nostro non si sia nemmeno accorto della «satira» novembrina dieljueves.es.
A questo punto occupiamoci dei giornali che si rimbalzano una notizia senza verificarla. Chi ha qualche dimestichezza con le redazioni sa che la fretta, talvolta isterica, vi regna sovrana: uno avvista una notizia, la comunica al suo capo il quale la giudica «carina» e autorizza a spararla in pagina. Il tutto in una manciata di secondi. E che succede quando altri avvisano che si tratta di bufala? Ahimè, è già domani e altre notizie incombono e affollano: non c’è tempo, non c’è spazio. Per carità, di cadere in equivoco può capitare a tutti quelli che fanno questo mestiere. È successo anche a me su queste colonne, ma il direttore mi ha subito chiesto rettifica e ho prontamente eseguito, scusandomi coi lettori. La differenza tra il buon giornalista e il riempi-pagine sta tutta qui. Sbagliare è umano, umanissimo; ma non cercare di rimediare, in questo campo, non è semplice trascuratezza, è molto peggio.
Nel caso di monsignor Martínez è come partecipare alla lapidazione di uno che neanche si conosce, giustificandosi col dire che lo stavano facendo tutti. Se Dio esiste (ed esiste), la responsabilità morale di quelli che si occupano di «comunicazione» è spaventosa, perché si tratta dello stesso Dio che ha detto che «la lingua uccide più della spada». Ma solo i «comunicatori» cattolici credenti e praticanti invocano lo Spirito Santo prima di vergare un solo rigo. Pur sapendo, con umiltà, che neanche questo li renderà infallibili.

Francisco Javier Martínez:

 la bufala del vescovo che incita alla fellatio

La fellatio? «Non è peccato se si pensa a Gesù». Avevano scatenato non poco clamore le parole attribuite all’arcivescovo ultraconservatore diGranada Francisco Javier Martínez, rilanciate da diversi quotidiani italiani. Anche Libero aveva richiamato il caso nella prima pagina del quotidiano, spiegando come il prelato spagnolo non fosse nuovo a certe provocazioni e precisando come “sdoganasse il sesso orale“, «facendo tirare un sospiro di sollievo a tanti fedeli». Anche in rete non erano mancati i titoli ad effetto, per la strana esortazione arrivata da un uomo di Chiesa: tra chi – come TgCom – parlava di provocazione e di «Chiesa spagnola nella bufera» e chi parlava di «affermazione choc». Peccato che nessuno abbia invece controllato la fonte, per verificare se la notizia fosse vera o – come si sospettava già sui social network – soltanto l’ennesima bufala. E di fake,infatti, si tratta. Se alcuni siti avevano spiegato come la notizia non fosse stata ripresa dai maggiori quotidiani locali andalusi e spagnoli, in realtà la (presunta) notizia non era nemmeno così recente, dato che il primo a pubblicarla era stato El Jueves, già lo scorso novembre. Ma di che quotidiano si tratta? La fonte non è nient’altro che un sito satirico spagnolo.
fonte: giornalettismo.com 

Lo Straniero - dal blog di Antonio Socci ...

13 MARZO 2014 / IN NEWS 
A un anno dall’elezione di Bergoglio a “vescovo di Roma” si resta perplessi nel vedere il giornale delle banche e della finanza – il “Corriere della sera” – che acclama il “papa dei poveri” il quale tuona contro “il Nord ricco” a cui “più volte in quest’anno ha gridato ‘vergogna’ mettendolo sotto accusa”.
Ci si sente presi per il naso. Che gioco stanno facendo? E che dire della “Stampa-Vatican Insider”? Il giornale torinese è il più affetto da quella “francescomania” che  Bergoglio deplora.
Il quotidiano della Fiat è arrivato addirittura a suonare le fanfare per Gustavo Gutierrez che è stato “riabilitato” in Vaticano: Gutierrez è il padre di quella “Teologia della Liberazione” che mescolava cristianesimo e marxismo e che fu seppellita da Giovanni Paolo II e da Ratzinger.
Si sente puzza di bruciato se i giornali delle multinazionali osannano la Teologia della liberazione. Ma ancor più se il Vaticano la riabilita. E proprio nei giorni in cui Ratzinger – in un libro intervista su Giovanni Paolo II – spiega:
“La prima grande sfida che affrontammo (con Giovanni Paolo II) fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma era un errore. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico(…). A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per  amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro”.  
Di recente un importante esponente della Tdl, Clodoveo Boff, ha dato ragione a Ratzinger per quello che (a nome di Wojtyla) fece trent’anni fa:
“egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza marxista. La Chiesa non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza della fede… Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa”.
Invece “nel discorso egemonico della teologia della liberazione”, riconosce Clodoveo Boff, “ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il ‘cristianesimo anonimo’ di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali”.
Oggi però il Vaticano riabilita quella Teologia della liberazione. E lo strappo rispetto a Wojtyla e Ratzinger riguarda anche altro.
ABOLIZIONE DEL PECCATO ?
Il 29 dicembre scorso il titolo dell’editoriale di Eugenio Scalfari, sulla Repubblica, diceva: “La rivoluzione di Francesco: ha abolito il peccato”.
In effetti questa, vagheggiata da Scalfari (e anche dai poteri mondani, da logge e lobby anticattoliche) sarebbe la più grande delle rivoluzioni perché significherebbe l’abolizione della Chiesa stessa: Gesù ha predicato e praticato il perdono dei peccatori, mentre l’abolizione del peccato è l’esatto opposto, è qualcosa che renderebbe inutile e perfino ridicolo il sacrificio della Croce.
Perciò quella del fondatore di “Repubblica” sembrò a tutti una boutade dovuta al suo proverbiale dilettantismo teologico. I media cattolici lo liquidarono sarcasticamente.
Invece oggi bisogna riconoscere che aveva in parte ragione. Non riguardo al Papa (che ancora non si è espresso), ma riguardo al cardinale Kasper, autore dell’esplosiva relazione al Concistoro (richiestagli dal Papa) su divorziati risposati e sacramenti.
Kasper rappresenta quella sinistra martiniana che vorrebbe fare come le chiese protestanti del Nord Europa: calare totalmente le brache davanti al mondo (infatti quelle chiese si sono suicidate e oggi sono pressoché inesistenti).
Per questo la relazione di Kasper sovverte completamente nella pratica ciò che Gesù (Mt 5, 32 e Mt 19, 9) e la Chiesa hanno sempre insegnato.
Con l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati (che ribalta tutto il Magistero, specie quello di Giovanni Paolo II) di fatto si prospetta l’abolizione del peccato.
Che “ospedale da campo” è questo? Così noi poveri peccatori crepiamo. Come se il ministero della Salute decretasse che – invece di curare gli ammalati –  tutti fossero dichiarati sani per legge.
Infatti la prospettiva sulla quale Kasper e compagni vogliono spingere la Chiesa implica l’inutilità del sacramento della confessione e la sua abolizione.
Perché mai ci si dovrebbe limitare ai divorziati risposati? Sarebbe una “legge ad personam”. I conviventi o i fidanzati che hanno rapporti sessuali, perché dovrebbero confessarsi per accedere all’eucarestia? E l’uomo o la donna sposati che hanno una relazione extramatrimoniale?
O KASPER O GESU’
Il “tana liberi tutti” riguarderebbe di fatto tutti i peccati. Tutti perdonati d’ufficio. Kasper infatti dice: “ogni peccato può essere assolto”. Ma omette di dire che occorrono pentimento e ravvedimento.
Al contrario di Kasper, Gesù affermò che “il peccato contro lo Spirito Santo non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna” (Mt 12, 31-32). Questo peccato imperdonabile riguarda proprio “la presunzione di salvarsi senza merito”, “l’ostinazione nel peccato” e “l’impenitenza finale”.
A ben vedere poi Kasper non si limita ad abolire il peccato (e la confessione): abolisce l’inferno stesso. Lo ha detto con una frase passata inosservata, ma che contraddice totalmente quanto Gesù e la Chiesa hanno sempre insegnato.
Il prelato dice: “non è immaginabile che un uomo possa cadere in un buco nero da cui Dio non possa più tirarlo fuori”. Falso. Questo “buco nero” c’è: è l’inferno in cui noi possiamo scegliere di andare. Dio – per rispetto della nostra libertà – non può salvarci contro la nostra volontà.
E’ molto pericoloso non credere all’inferno. Santa Faustina Kowalska – che di misericordia era molto più competente di Kasper – riferisce nel suo Diario che quando fu portata misticamente a vedere il regno di Satana scoprì che “la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l’inferno”.
I GESUITI
Storicamente furono i padri gesuiti ad essere accusati dal grande Pascal di aver  abolito il peccato con la scusa di perdonare il peccatore. E nel nostro tempo sono tornate in auge quelle loro idee.
Lo ricordò l’allora cardinale Ratzinger in un celebre discorso del 1990:
si può dire che l’odierna discussione morale tende a liberare gli uomini dalla colpa, facendo sì che non subentrino mai le condizioni della sua possibilità.Viene in mente la mordace frase di Pascal: ‘Ecce patres, qui tollunt peccata mundi’! Ecco i padri che tolgono i peccati del mondo. Secondo questi ‘moralisti’, non c’è semplicemente più alcuna colpa. Naturalmente, tuttavia, questa maniera di liberare il mondo dalla colpa è troppo a buon mercato. Dentro di loro, gli uomini così liberati sanno assai bene che tutto questo non è vero, che il peccato c’è, che essi stessi sono peccatori e che deve pur esserci una maniera effettiva di superare il peccato”.  
In un libro precedente Ratzinger criticò quel “pensiero pelagiano secondo il quale basterebbe in fondo la buona volontà dell’uomo per salvarlo”.
Poi aggiunse:
“In questa luce non era in ogni senso in torto il rimprovero mosso dai Giansenisti ai Gesuiti di portare con le loro teorie il secolo all’incredulità”.
Ma ci sono anche le correnti sane della Compagnia di Gesù. Se infatti da una parte c’era il gesuita Rahner, dalla parte opposta c’era il grande gesuita De  Lubac.
Francesco è davanti a un bivio: da una parte la demolizione della Chiesa a cui vogliono spingerlo poteri, logge e lobby mondane. Ma io penso (e spero) che lui sceglierà l’altra, quella del vero Concilio, di De Lubac, di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, una via gloriosamente ortodossa ed evangelica, che porta all’odio del mondo e a volte al martirio.  
Antonio Socci
Da “Libero”, 13 marzo 2014

UN’ATTESA LUNGA E DIFFICILE

Proponiamo questa bella testimonianza raccolta dall’amica Paola per continuare a discutere e a ragionare sul tema dei fedeli divorziati.

UN’ATTESA LUNGA E DIFFICILE

DI AUTORI VARI

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Mi chiamo Marta e scrivo per dare il mio contributo all’amata Chiesa in tema di matrimonio, separazione e dichiarazione di nullità.  Nel 1994, quando avevo appena compiuto 24 anni ed ero molto attiva nella mia parrocchia come catechista, membro del coro e volontaria vincenziana, ho “creduto di sposare ” un ragazzo incontrato nell’ambito del Cammino Neocatecumenale di una chiesa non lontana dal mio quartiere. Una persona non italiana, appartenente al patriarcato copto della chiesa ortodossa, che mi si è presentata con una storia di vita che dopo 7 anni si è rivelata completamente falsa. E così nel 1999, dopo due figli (che allora avevano 7 e 25 mesi), svariate peripezie e molte lacrime, l’ho visto scomparire dalla mia vita così come vi era entrato.
Negli anni successivi il mio padre spirituale ha iniziato a parlarmi della possibilità di sottoporre la mia storia al tribunale ecclesiastico e, malgrado le mie titubanze iniziali, ho scelto di fidarmi di lui ed ho intrapreso quella strada. Un po’ per le mie difficoltà economiche e un po’ per la convinzione di “aver diritto” ad un processo gratuito – o quasi – visto il mio impegno nella Chiesa dal giorno in cui ho ricevuto la Cresima (all’età di 14 anni), ho scelto di avvalermi di un patrono stabile (avvocati privati sono arrivati a chiedermi 8.000 euro per seguirmi e ben 180 per una consulenza, in un periodo in cui i miei figli ed io vivevamo con 400 euro al mese).
Tra una cosa e l’altra, il processo ha avuto inizio nel 2006 e, malgrado l’evidente invalidità dovuta ad incapacità ed inganno, si è concluso solo nel 2011, con la dichiarazione di nullità.
E allora mi domando: siamo proprio sicuri che questo sistema funzioni al meglio delle proprie potenzialità?
Intendiamoci, si tratta di un percorso importante, che sono solita definire “catartico”, perché consente di rivedere la propria vita e le proprie scelte, che “spiega” alcuni misteri del nostro io e che è certamente necessario per chi cerca la Verità. Ma proprio per queste ragioni mi permetto di richiamare l’attenzione su almeno due aspetti assolutamente contraddittori di questa realtà: la cattiva informazione ed il fattore tempo.
Mi spiego: trovo incredibile che nell’era di Internet e della cultura generalizzata si faccia ancora fatica ad accedere ad informazioni corrette in tema di nullità matrimoniale. Nel mio percorso ho incontrato parrocchiani che parlano di “annullamento” (come se la Chiesa avesse il potere di annullare un Sacramento), catechisti che non conoscono il funzionamento di un processo canonico e persino parroci che impediscono a chi ha subìto una separazione di leggere durante le celebrazioni…
Naturalmente poi la cattiva informazione scoraggia le persone che si trovano in situazioni “irregolari” dall’accedere ai tribunali ecclesiastici per fare verità e le fa sentire “fuori” dalla comunità ecclesiale.
Il secondo scandalo è la lungaggine burocratica che ha ripercussioni delicatissime sulla vita delle persone. Mi riferisco al fatto che molte coppie di conviventi rimangono per tanti anni in stato di peccato grave, privati del sostegno dell’Eucarestia, solo perché una banale carenza di personale nei tribunali lascia le pratiche giacere sui tavoli per mesi e mesi (ricordo che parliamo della VITA della persone!!).
La mia proposta, ferme restando le attuali norme del diritto canonico, è che la Chiesa si doti di uno strumento più agile ed eventualmente più decentrato per analizzare i singoli casi, tutti diversi, tutti dolorosissimi e tutti degni di attenzione (come ha recentemente ricordato Papa Francesco).
Tra l’altro, richiamando laFamiliaris consortio del beato Giovanni Paolo II, vorrei sottolineare il fatto che la stragrande maggioranza delle persone che ricorrono al tribunale ecclesiastico desidera vivere in comunione con la Chiesa, normalmente non ha scelto la separazione e cerca attraverso la realizzazione della propria vocazione matrimoniale di formare una coppia ed una famiglia che tenda alla santità. Spesso poi la nuova unione potrebbe consentire anche una migliore e più piena integrazione nella Chiesa.
Per tornare a me, dopo 14 anni dalla mia separazione, sono ancora in attesa dei tempi della Chiesa, questa volta perché si pronunci ufficialmente circa il matrimonio del mio fidanzato. Infatti, nonostante i nostri 44 anni, i 4 anni di fidanzamento e la piena convinzione della nullità anche del suo matrimonio, abbiamo scelto di attendere la sentenza di un processo iniziato nel 2011, anziché sposarci civilmente o intraprendere una convivenza. Questo, tanto per capirci, significa che, per obbedienza alla Chiesa e certi che il Signore ci donerà altre gioie, abbiamo rinunciato ad avere dei figli (uno dei nostri sogni più grandi) e a condividere la nostra quotidianità (un’esigenza propria di ogni coppia).
Oggi, su richiesta del mio parroco, sono nuovamente una catechista, pronta ad accogliere la sofferenza di tanti figli di genitori separati e lo sfogo di tante mamme e tanti papà, che vorrei smettessero di sentirsi emarginati dalla Chiesa.
Per completezza, intendo anche testimoniare la mia totale adesione ai temi della vita, la mia vicinanza al “Movimento per la Vita” e alle sue molte iniziative, il mio impegno per favorire la conoscenza dei metodi naturali per la regolazione delle nascite e le mie battaglie anti-abortiste.
In conclusione, credo fermamente che siamo tutti chiamati a farci vicini a chi ha sperimentato il fallimento del proprio matrimonio, a donare speranza e conforto, ma anche strumenti concreti per superare una condizione di disagio ed oggettiva ambiguità.
 Marta

Per l'inaugurazione della "corona misterica" ...

Mestre
Domenica 16, alle 16.00, la benedizione dell’opera nella chiesa di S. Giovanni Evangelista

IL PATRIARCA DI VENEZIA E KIKO ARGÜELLO INSIEME ALL’INAUGURAZIONE DELLA CORONA MISTERICA DI MESTRE







Sono 120 metri quadrati di dipinto che, abbracciando l'assemblea, vogliono rendere presente il Cielo, vogliono dire che Dio è presente in mezzo al suo popolo. E' teologia visiva, quella che si può vedere nella chiesa di S. Giovanni Evangelista a Mestre: un aiuto alla preghiera e alla contemplazione, fa notare il parroco don Giovanni Frezzato.
Sarà lui a fare da padrone di casa nel corso di una cerimonia che rimarrà scritta nella storia della parrocchia. L'appuntamento è per domenica 16 marzo, alle ore 16.00, in chiesa. Per l'inaugurazione della "corona misterica", il ciclo pittorico realizzato da Kiko Argüello e dai suoi aiutanti, arriverà in via Rielta il Patriarca Francesco per portare la sua benedizione. E sarà presente lo stesso Kiko, iniziatore del Cammino neocatecumenale, presente in più di 900 diocesi di 105 nazioni, con oltre 20 mila comunità in 6.000 parrocchie.
Oltre alle autorità cittadine, sono stati invitati anche i rappresentanti della Chiesa ortodossa locale. L'affresco fonde infatti il gusto contemporaneo – l'innovazione portata nella pittura dal cubismo – con la tradizione orientale degli iconografi, Andrej Rublëv in particolare.
Si prevede che la chiesa non basti per accogliere tutti quelli che vorranno essere presenti. Per questo è stato allestito nel campo parrocchiale un tendone, con un maxischermo che trasmetterà le immagini della cerimonia. Ci saranno i saluti del parroco e l'illustrazione dell'opera da parte di Kiko; seguirà una breve liturgia della Parola con un pensiero del Patriarca e la benedizione. Al termine, sarà offerto a tutti i presenti un buffet.
L'illustrazione delle 13 maxi-icone, la fotostoria della nascita del dipinto e la storia della parrocchia sono state raccolte in un volume, disponibile in parrocchia. (P.F.)

Solo Dio può dire per sempre

“l’amore è molto più a forma di croce che non di cuore. Di questo annuncio il mondo ha un bisogno disperato”


Solo Dio può dire per sempre
Sul Foglio del 6 marzo Costanza Miriano scrive un articolo sul tema della famiglia, oggetto del prossimo sinodo dei vescovi. Riporto alcuni passi: “Il paradosso dell'amore è che due infiniti bisogni di essere amati si incontrano con due limitate capacità di amare. Sono domande che solo a partire dal '900 sono diventate di massa in Occidente, dove si è affermata la visione romantica dell'amore, quell'amore ideale ed emotivo che non resiste all'impatto con il reale, e che vive solo…nell'attesa mai compiuta del congiungimento (che è esattamente il motivo per cui i film finiscono al bacio finale, tendina, the end, disperazione della spettatrice che non sa mai come vivranno insieme lui e lei, se saranno felici, quanti figli avranno, mai, in nessuno dei film caposaldo dell'educazione sentimentale delle fanciulle: Cenerentola, Harry ti presento Sally, Cime tempestose, Pretty Woman e via baciando)”. “A me interessa che la Chiesa m’insegni che il cuore va educato, e che mi ricordi che l'uomo da solo non è buono, non è capace di amare, che solo Dio con la sua tenerezza infinita per l'uomo può dire per sempre, che ci si sposa in tre, io, lui e Dio, e che la fedeltà è una lotta, è non smettere di lavorare sul matrimonio, è ricondurre ogni sera lo sguardo, a volte è anche come mordere un sasso…”. E conclude: “l’amore è molto più a forma di croce che non di cuore. Di questo annuncio il mondo ha un bisogno disperato”. In sintesi: soltanto se si è di Cristo si capisce il matrimonio cristiano.

giovedì 13 marzo 2014

“tentazione della verità” ...

La “tentazione della verità”

Duri e puri?

DI ANDREAS HOFER
...è una tentazione che mi tocca da vicino, molto vicino. Sempre viva, questa che chiamerei la “tentazione della verità”, alla quale spesso e volentieri ho ceduto e cedo ancora. Quindi via ogni riferimento a terzi o velleità da “primo della classe dei virtuosi”. Ciò che scrivo si riferisce prima di tutto a me stesso, anche se ritengo che altri possano riconoscersi in questo mio percorso di vita e forse trarne qualche spunto utile a non ripercorrere i miei stessi errori.
È un discorso molto delicato, sempre a rischio di banalizzazione e perciò fonte di malintesi, polemiche velenose e così via. Cerco di articolare meglio che posso quanto intendo dire, senza pretesa di esaustività. Se posso permettermi un consiglio, è straordinaria la maniera in cui ne scrive Fabrice Hadjadj nel suo bellissimo Anti-manuale di evangelizzazione (tutto quel che scrive Hadjadj non è semplice “teoria” o “dottrina”, sono “ruminazioni” che toccano corde profonde, favoriscono un incontro personale che coinvolge tutta la persona).
Occorre prima di tutto guardarsi dal confondere la fede cattolica con la militanza in una sorta di “partito religioso” così come dall’intellettualismo esasperato che riduce la fede (che è “fare credito a Dio”, una comunione spirituale con Cristo, un rapporto vivo e personale) a ideologia. L’unione dello zelo e dell’impazienza rischiano di portare il cattolico fervoroso a mutarsi in un “cattolicista” che “milita” nel cattolicesimo come “militerebbe” in un partito politico. Crede di dover trasmettere una semplice dottrina, una “conoscenza”, un possesso intellettuale, un pensiero collettivo. Da qui il dualismo sociologico tra una élite di puri e duri “illuminati” e la massa dannata di “non illuminati”, meritevole unicamente di disprezzo.
L’errore del “cattolicista” è di valutare troppo poco l’uomo. L’uomo non è un animale, così le verità della fede non sono stimoli nel senso pavloviano del termine. Non basta “enunciare” la verità e aspettarsi che l’uomo alzi la zampa in segno di assenso. Se così fosse l’obbedienza della fede sarebbe la risposta a una serie di slogan, a una serie di parole d’ordine, e l’uomo sarebbe niente altro che un homo zoologicus. L’uomo invece è libero perché in lui c’è anche lo spirito. In questo senso la “risposta negativa” va messa in conto per tanti motivi. In primo luogo per l’inadeguatezza dell’annunciatore, che spesso annuncia solo una verità troppo umana o perfino deformata. In secondo luogo perché il Vangelo pretende di conoscere il cuore di ogni uomo meglio di quanto egli stesso lo conosca. E questa pretesa è tanto provocante e intensa da poter suscitare, di primo acchito, una feroce reazione negativa.

Quindi il rigetto può avvenire tanto perché si è capito male il Vangelo, per l’inadeguatezza dell’annunciatore umano, quanto perché lo si è inteso benissimo ma si rifiuta di risconoscersi insufficienti rigettando la grazia in nome di una “morale della padronanza di sé”.
Il problema, non di poco conto, è che per una creatura è impossibile giudicare cosa sia davvero avvenuto nel cuore di un’altra creatura, in primo luogo se si trovi o meno in stato di ignoranza invincibile. Creatura che ad ogni modo reca sempre in sé il calco di Dio almeno come presenza di creazione (forse anche di grazia, ma non lo sappiamo). Questo non ha nulla a che vedere col buonismo del “volemose ben”, che annacqua l’annuncio onde evitare ogni scontro, cioè la manifestazione esteriore della reazione negativa interiore.
Perciò non bisogna confondere la “santa ira”, o la “ira moderata” di cui parla san Tommaso d’Aquino, con l’indignazione farisaica. La prima è quella forte passione con cui il cristiano “incarna” la resistenza al male, è una sorta di “supporto emotivo” con cui diamo forza ed efficacia alle nostre azioni buone che, altrimenti, resterebbero allo stato potenziale, ineffettive. Un magistrato che nell’esercizio delle sue funzioni non fosse spinto da una forte passione per la giustizia è a rischio. Rischia di diventare un mero funzionario capace di servire indifferentemente anche un ordine giuridico di stampo nichilista. Gli esempi attuali si sprecano.
La santa ira è espressione di misericordia. La misericordia non è, come spesso alcuni sembrano credere, la semplice “tenerezza”. Misericordioso è chi prova afflizione per il male (fisico e morale) che ha ghermito un’altra creatura come se avesse colpito se stesso. E per questo vorrebbe levarle quel peso, liberarla dal male che l’aggredisce.

Questo è il fondamento dell’ira di Dio, è il motivo per cui le Scritture Gli attribuiscono la gelosia: vedere la propria creatura che si autodistrugge e reagire con forza per rammentarle che il suo posto non è insieme ai porci nel pantano a mangiar ghiande, ma sono le nozze eterne con lo Sposo, il Dio-Creatore. Non bisogna dare letture troppo “umane” dei passi evangelici e interpretare le “parole dure” di Gesù come un salvacondotto che legittimi le nostre personali rudezze. Bisogna sempre chiedersi se la nostra durezza è ispirata da questo amore infinito e misericordioso oppure da moventi assai più terreni. Altrimenti diventiamo delle maschere teatrali, degli imitatori scadenti e superficiali, rischiando di infliggere ferite molto profonde al nostro prossimo.
L’indignazione è tutt’altra cosa: è quello stato d’animo sentenzioso, giudicante e risentito di chi si sente interiormente “giusto”, perennemente in cerca di “colpevoli” da additare. “Indignati” sono tutti gli “incorruttibili” della storia, l’eterno “partito dei puri” che comprende coloro che sono soliti presentarsi, alla stregua dei farisei, come i “più giusti dei giusti” . Questa falsa purezza si presenta sempre sotto forma di ipersensibilità allo scandalo. Stracciarsi le vesti con troppa frequenza, come Caifa “scandalizzato” di fronte a Gesù per le sue “bestemmie”, è il sintomo di un’anima che non sente più bisogno di conversione. Cieca di fronte al proprio male, vede solo quello altrui. Non vedere in sé alcuna traccia di male equivale ad esserne pervasi al punto da essere divenuti ciechi. Per questo qualcuno ha detto che l’attitudine all’indignazione permanente è indice di una grande povertà di spirito.

Il “puro” ha una necessità assoluta, quasi fisiologica, dello “scandalo”, è il suo rifugio psicologico. E’ la cosiddetta “memoria negativa”. Il “puro” ha bisogno di sentirsi moralmente superiore. Perciò ricorda e nota solo ciò che conferma la sua convinzione di vivere in un mondo orribile.
È una tentazione cui tutti siamo soggetti (di chi scrive per primo, ripeto a scanso di equivoci): usare le cose sante della fede come valvola di sfogo del nostro malessere, ripetere ossessivamente che tutto va male, denunciare le cospirazioni dei malvagi per sentirci migliori. È umano cadere ed è sbagliato anche essere troppo duri con se stessi. Ma la tentazione va riconosciuta come tale per poter essere contrastata. In caso contrario rischiamo di cadere inavvertitamente nella tentazione del «Signore degli Anelli»: combattere il male con gli strumenti forgiati dal Signore oscuro. Col rischio, poco alla volta, di finire per assumere le sue sembianze.

sempre dal blog di Costanza Miriano

13 MARZO 2014

La foglia di Vite

DI ANDREA TORQUATO GIOVANOLI
La foglia di vite
di Andrea Torquato Giovanoli
Lo confesso: ho un passato da artigiano.
Poi le circostanze della vita mi hanno chiamato ad un diverso esercizio dei talenti concessimi, ma dentro rimango un artigiano, e lo sa bene mia moglie, quando sopporta che io rubi tempo alla nostra famiglia facendo castelli di Lego (d’inverno) e castelli di sabbia (d’estate).
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