State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...
State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

lunedì 30 aprile 2018

Signore, Ricordati degli uomini di cattiva volontà

Pieve di Romena, 29 Aprile 2018
Le riflessioni e l'omelia di Luigi Verdi durante la messa. (Podcast)

Ricordati degli uomini di cattiva volontà

“Signore, ricordati
non solo
degli uomini di buona volontà,
ma anche
di quelli di cattiva volontà.
Non ricordarti di tutte le sofferenze
che ci hanno afflitto.
Ricordati, invece, dei frutti
che noi abbiamo portato
grazie al nostro soffrire:
la nostra fraternità,
la lealtà,
l’umiltà,
il coraggio,
la generosità,
la grandezza di cuore
che sono fioriti
da tutto ciò che abbiamo patito.
E quando questi uomini
giungeranno al giudizio,
fa’ che tutti questi frutti
che abbiamo fatto nascere
siano il loro perdono”.
Preghiera scritta da un anonimo ebreo
e trovata nel lager di Ravensbrück
alla fine della II guerra mondiale.

Appunti:

domenica 29 aprile 2018

Mi porterò una Bibbia e quei due libretti sottili, le Lettere a un giovane poeta e, in qualche angolino dello zaino, riuscirò a farci stare Il libro d’ore?

MI PORTERÒ UNA BIBBIA…

“…Mi procurerò uno zaino e porterò con me lo stretto necessario, poco, ma tutto di buona qualità. Mi porterò una Bibbia e quei due libretti sottili, le Lettere a un giovane poeta e, in qualche angolino dello zaino, riuscirò a farci stare Il libro d’ore? Non mi porto ritratti di persone care, ma alle ampie pareti del mio io interiore voglio appendere le immagini dei molti visi e gesti che ho raccolto, e quelle rimarranno sempre con me.”

venerdì 20 aprile 2018

I 50 anni del Cammino Neocatecumenale con Papa Francesco

Il Papa riceve l’equipe del Cammino Neocatecumenale



www.lastampa.it

Papa Francesco ha ricevuto oggi 19 aprile, alle 11.30, l’equipe internazionale del Cammino Neocatecumenale nel Palazzo Apostolico vaticano. Motivo principale dell’incontro è stato parlare del 50esimo anniversario del Cammino che si celebrerà con un grande evento presieduto dallo stesso Pontefice a Tor Vergata il prossimo 5 maggio. 

Durante l’udienza - informa una nota - Francesco ha voluto ringraziare Kiko Argüello per il bene che il Cammino sta facendo alla Chiesa e si è rallegrato di sapere che invierà 36 nuove missio ad gentes in tutto il mondo e 20 comunità in missione alle periferie di Roma. Tra gli altri temi affrontati quello dell’evangelizzazione e del lavoro missionario che l'itinerario neocatecumenale sta portando avanti nei cinque continenti. 


Francesco ha quindi dato appuntamento a Kiko Argüello al 5 maggio quando le comunità neocatecumenali dei cinque continenti si ritroveranno a Tor Vergata per celebrare il 50esimo anniversario dell’arrivo di questa diffusa realtà ecclesiale a Roma, dopo i suoi inizi a Madrid alla fine degli anni '60. 

Il luogo scelto per l’incontro - che si terrà alle 11 - è l’area universitaria di Tor Vergata, situata nella periferia di Roma, in omaggio a San Giovanni Paolo II, che durante i suoi 26 anni di pontificato ha accolto e sostenuto il Cammino Neocatecumenale. Sullo stesso enorme prato Wojtyla celebrò anche l’indimenticabile incontro con i giovani per la Giornata Mondiale della Gioventù del 2000. 

All’evento del 5 maggio parteciperanno circa 150 mila persone da tutto il mondo, in rappresentanza delle 135 nazioni in cui è presente il Cammino. Esso si concluderà con il canto dell’inno Te Deum. Vi prenderanno parte anche cardinali, vescovi e altre personalità.
By Kairos

Don Tonino Bello... “una vera ricchezza”.

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Servi inutili a tempo pieno di don Tonino Bello

Papa ad Alessano: “capire i poveri” era per don Tonino Bello “Non accodarci dietro ai potenti di turno”

“Sono giunto pellegrino in questa terra che ha dato i natali al Servo di Dio Tonino Bello. Ho appena pregato sulla sua tomba, che non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra: Don Tonino, seminato nella sua terra, sembra volerci dire quanto ha amato questo territorio”. Sono le prime parole del primo discorso del Papa nella sua visita pastorale in Salento. Poco dopo aver pregato dieci minuti in silenzio, da solo, accanto al vescovo Angiuli, sulla sua tomba, sulla quale ha deposto un mazzo di fiori, e aver goduto del primo bagno di folla durante il giro sulla jeep bianca scoperta nel piazzale antistante il cimitero, salutato da una folla di 20mila persone, Francesco ha citato alcune parole di “gratitudine” di don Tonino Bello verso la sua terra natale: “Grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli”. “Capire i poveri era per lui vera ricchezza”, ha commentato il Papa: “Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa”. “Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda”, la speciale supplica di Francesco: “Il Vangelo – eri solito ricordarlo a Natale e a Pasqua – chiama a una vita spesso scomoda, perché chi segue Gesù ama i poveri e gli umili. Così ha fatto il Maestro, così ha proclamato sua Madre, lodando Dio perché ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili”. “Una Chiesa che ha a cuore i poveri – ha ammonito il Papa – rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene”.
Riflessioni di Don Tonino Bello - Servi inutili a tempo pieno


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PIETRE VIVE: 

Don Tonino Bello nel ricordo del segretario:

 “Tutte le sue scelte coraggiose nascevano dalla preghiera”


di Gianni Fiorentino
segretario di don Tonino Bello

Penso alla straordinaria esperienza degli incontri di Quaresima e di Avvento che viveva con i giovani. La Cattedrale si riempiva per ascoltare le sue parole vibranti. Era in quelle occasioni che toccavamo tutti con mano il suo cuore contemplativo e la sorgente della sua carica profetica, della sua passione per la giustizia, del suo impegno per la pace. Perché la preghiera quando è autentica ci umanizza di più, ma soprattutto non ti avvicina soltanto a Dio, ma anche agli uomini e ai suoi drammi


In tanti mi hanno chiesto in questi giorni una testimonianza su don Tonino. Solo ora mi sto rendendo conto che pur avendo toccato tanti aspetti importanti della sua vita di credente e di pastore, non ho dato il giusto risalto alla sua vita interiore, alla sua preghiera.
Spero di poter recuperare una così grave omissione con questo piccolo contributo. Anche perché – alla luce della stessa esperienza di Gesù riportata nei vangeli – tutte le sue scelte coraggiose partono, secondo me, proprio da questo suo rapporto speciale con Dio nella preghiera.

La lusinga del potere non risparmia nessuno e la si può vincere solo se si lascia entrare Dio nella vita.
Anche Gesù, subito dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani, quando la folla si mette sulle sue tracce per farlo re, si ritira sul monte a pregare (cfr. Gv 6, 15).
La forte e determinata distanza critica da ogni forma di potere, da dove proverrebbe in don Tonino se non da una sua frequentazione diuturna e sincera con Dio nella preghiera?! E così pure il suo impegno coraggioso per la pace, l’accoglienza per gli immigrati, la carità “sine modo” per gli ultimi, da dove lo avrebbe attinto?! Non ho dubbi: da quella sorgente di amore e di vita che è la preghiera.

Ebbene, quando ricordo don Tonino che prega non posso fare a meno di immaginarlo nella cappella dell’episcopio, una specie di piccolo cenacolo dove trascorreva i momenti più importanti della sua giornata di Vescovo in compagnia del Signore.

Era lì al mattino presto, prima di entrare nel vortice delle tante incombenze pastorali;nel pomeriggio, prima di uscire per raggiungere le varie comunità e gruppi della Diocesi; la sera, dopo cena, prima di ritirarsi nella sua cameretta.

Il tabernacolo al centro, incastonato nel meraviglioso altare dell’ottocento pieno di intarsi preziosi posto sulla parete di fronte, un inginocchiatoio davanti, sulle pareti laterali i quadretti di una modesta via crucis color argento e subito, appena si entra a sinistra, una piccola scrivania con sopra la Bibbia, il breviario, una penna e qualche foglio bianco; e accanto una libreria essenziale.

Spesso nel cuore della notte si raccoglieva in preghiera e nel clima dell’adorazione notturna, seduto a quella scrivania, scriveva le lettere, le omelie e i discorsi, i messaggi augurali di Natale e Pasqua, i programmi pastorali annuali; quei testi bellissimi, insomma, che avevamo poi la possibilità di leggere sul nostro settimanale diocesano.

E mi pare di vederlo ancora là. Sì, perché almeno un paio di volte, svegliato da qualche rumore – quello della porta della sua stanza che si apre e quello dei suoi passi – e attratto da quell’unica luce accesa nel grande appartamento dell’episcopio ancora immerso nel buio della notte, furtivamente, a sua insaputa, mi sono avvicinato per “spiare” la sua sagoma e, quindi, la sua postura e il suo sguardo rapito in quell’atmosfera di intimità e di raccoglimento.

Mi pare di vederlo – dicevo – mentre scrive e poi si ferma a riflettere e poi ancora ripete ad alta voce gli appunti raccolti sul foglio, rivolgendo lo sguardo verso il tabernacolo come a voler strappare al suo importante Interlocutore divino una sorta di consenso: “Che ne dici? Va bene così o correggo? È un po’ anche il tuo pensiero?”.
Sembrava insomma che quello scritto fosse il frutto di una preziosa collaborazione. O che stesse lì a comporre quelle riflessioni per trattenere in quelle righe non solo le sue intuizioni geniali, ma anche il palpito del cuore di Cristo, “suo indistruttibile amore”, come lo definisce in una sua bellissima relazione.
E dire che quando gli chiedevano di parlare della sua preghiera rispondeva che era rammaricato del fatto che non riuscisse a dedicare a Dio più tempo, e che quando invece gli riusciva si accorgeva che le difficoltà pastorali si dissolvevano come “un cubetto di ghiaccio che si scioglie al sole”.

E comunque una idea originalissima di preghiera lui ce l’ha lasciata nella parola “contemplattività”.

Il vero cristiano – ripeteva – è un contemplattivo perché il suo rapporto col Signore non va vissuto come fuga dal mondo e dai problemi quotidiani. E soprattutto non fa diventare la preghiera una realtà di contorno, una cosa marginale, una sorta – diceva – di “merletto che si aggiunge al panno della propria giornata che, per questo, rischia facilmente di lacerarsi dall’abito dell’esistenza alla prima difficoltà e alla prima sofferenza”.

Tutto questo vissuto interiore, don Tonino è riuscito a trasmettercelo in maniera efficace soprattutto quando celebrava l’Eucaristia o, ancora, quando semplicemente si univa alla preghiera del suo popolo.
E penso ora alla straordinaria esperienza degli incontri di Quaresima e di Avvento che viveva con i giovani. La Cattedrale si riempiva per ascoltare le sue parole vibranti. Era in quelle occasioni che toccavamo tutti con mano il suo cuore contemplativo e la sorgente della sua carica profetica, della sua passione per la giustizia, del suo impegno per la pace. Perché la preghiera quando è autentica ci umanizza di più, ma soprattutto non ti avvicina soltanto a Dio, ma anche agli uomini e ai loro drammi.
(fonte: Sir 19/04/2018)
Don Tonino Bello, 
coerente e appassionato
testimone del Vangelo
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Vatican n  ews



Papa in Puglia ‘Sui passi di don Tonino Bello’
anticipazione doc Tv2000



Come seguire in tv:

25.mo della morte di mons. Tonino Bello. La visita del Papa. Discorso ad Alessano e omelia a Molfetta



25.mo della morte di mons. Tonino Bello. La visita del Papa a Molfetta. L'omelia: "Don Tonino, proprio nel tempo di Pasqua, augurava di accogliere la grande novità di vita alla quale richiama il Risorto, passando finalmente dalle parole ai fatti. Perciò esortava accoratamente chi non aveva il coraggio di cambiare: «gli specialisti della perplessità. I contabili pedanti dei pro e dei contro. I calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi"


Visita Pastorale del Santo Padre ad Alessano (Lecce), nella Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, e a Molfetta (Bari) nella Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, nel 25.mo anniversario della morte di S.E. Mons. Tonino Bello (20 aprile 2018) 
Omelia del Santo Padre
Le Letture che abbiamo ascoltato presentano due elementi centrali per la vita cristiana: il Pane e la Parola.
Il Pane. Il pane è il cibo essenziale per vivere e Gesù nel Vangelo si offre a noi come Pane di vita, come a dirci: “di me non potete fare a meno”. E usa espressioni forti: “mangiate la mia carne e bevete il mio sangue” (cfr Gv 6,53). Che cosa significa? Che per la nostra vita è essenziale entrare in una relazione vitale, personale con Lui. Carne e sangue. 
L’Eucaristia è questo: non un bel rito, ma la comunione più intima, più concreta, più sorprendente che si possa immaginare con Dio:
una comunione d’amore tanto reale che prende la forma del mangiare. La vita cristiana riparte ogni volta da qui, da questa mensa, dove Dio ci sazia d’amore. Senza di Lui, Pane di vita, ogni sforzo nella Chiesa è vano, come ricordava don Tonino Bello: «Non bastano le opere di carità, se manca la carità delle opere. Se manca l’amore da cui partono le opere, se manca la sorgente, se manca il punto di partenza che è l’Eucaristia, ogni impegno pastorale risulta solo una girandola di cose»[1].
Gesù nel Vangelo aggiunge: «Colui che mangia me vivrà per me» (v. 57). Come a dire: chi si nutre dell’Eucaristia assimila la stessa mentalità del Signore. Egli è Pane spezzato per noi e chi lo riceve diventa a sua volta pane spezzato, che non lievita d’orgoglio, ma si dona agli altri: smette di vivere per sé, per il proprio successo, per avere qualcosa o per diventare qualcuno, ma vive per Gesù e come Gesù, cioè per gli altri. Vivere per è il contrassegno di chi mangia questo Pane, il “marchio di fabbrica” del cristiano. Si potrebbe esporre come avviso fuori da ogni chiesa: “Dopo la Messa non si vive più per sé stessi, ma per gli altri”. Sarebbe bello che in questa diocesi di don Tonino ci fosse questo avviso fuori la chiesa perché sia letto da tutti. Don Tonino ha vissuto così: tra voi è stato un Vescovo-servo, un Pastore fattosi popolo, che davanti al Tabernacolo imparava a farsi mangiare dalla gente. Sognava una Chiesa affamata di Gesù e intollerante ad ogni mondanità, una Chiesa che «sa scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, della sofferenza, della solitudine»[2]. Perché, diceva, «l’Eucarestia non sopporta la sedentarietà» e senza alzarsi da tavola resta «un sacramento incompiuto»[3]. Possiamo chiederci: in me, questo Sacramento si realizza? Più concretamente: mi piace solo essere servito a tavola dal Signore o mi alzo per servire come il Signore? Dono nella vita quello che ricevo a Messa? E come Chiesa potremmo domandarci: dopo tante Comunioni, siamo diventati gente di comunione?
Il Pane di vita, il Pane spezzato è infatti anche Pane di pace. Don Tonino sosteneva che «la pace non viene quando uno si prende solo il suo pane e va a mangiarselo per conto suo. […] La pace è qualche cosa di più: è convivialità». È «mangiare il pane insieme con gli altri, senza separarsi, mettersi a tavola tra persone diverse», dove «l’altro è un volto da scoprire, da contemplare, da accarezzare»[4]. Perché i conflitti e tutte le guerre «trovano la loro radice nella dissolvenza dei volti»[5]. E noi, che condividiamo questo Pane di unità e di pace, siamo chiamati ad amare ogni volto, a ricucire ogni strappo; ad essere, sempre e dovunque, costruttori di pace.
Insieme col Pane, la Parola. Il Vangelo riporta aspre discussioni attorno alle parole di Gesù: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?» (v. 52). C’è un’aria di disfattismo in queste parole. Tante nostre parole assomigliano a queste: come può il Vangelo risolvere i problemi del mondo? A che serve fare del bene in mezzo a tanto male? E così cadiamo nell’errore di quella gente, paralizzata dal discutere sulle parole di Gesù, anziché pronta ad accogliere il cambiamento di vita chiesto da Lui. Non capivano che la Parola di Gesù è per camminare nella vita, non per sedersi a parlare di ciò che va e non va. Don Tonino, proprio nel tempo di Pasqua, augurava di accogliere questa novità di vita, passando finalmente dalle parole ai fatti. Perciò esortava accoratamente chi non aveva il coraggio di cambiare: «gli specialisti della perplessità. I contabili pedanti dei pro e dei contro. I calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi»[6]. A Gesù non si risponde secondo i calcoli e le convenienze del momento, ma si risponde col “sì” di tutta la vita. Egli non cerca le nostre riflessioni, ma la nostra conversione. Punta ai cuori.
È la stessa Parola di Dio a suggerirlo. Nella prima Lettura, Gesù risorto si rivolge a Saulo e non gli propone sottili ragionamenti, ma gli chiede di mettere in gioco la vita. Gli dice: «Alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare» (At 9,6). Anzitutto: «Alzati». La prima cosa da evitare è rimanere a terra, subire la vita, restare attanagliati dalla paura. Quante volte don Tonino ripeteva: “In piedi!”, perché «davanti al Risorto non è lecito stare se non in piedi»[7]. Rialzarsi sempre, guardare in alto, perché l’apostolo di Gesù non può vivacchiare di piccole soddisfazioni.
Il Signore poi dice a Saulo: «Entra in città». Anche a ciascuno di noi dice: “Va’, non rimanere chiuso nei tuoi spazi rassicuranti, rischia!”. La vita cristiana va investita per Gesù e spesa per gli altri. Dopo aver incontrato il Risorto non si può attendere, non si può rimandare; bisogna andare, uscire, nonostante tutti i problemi e le incertezze. Vediamo ad esempio Saulo che, dopo aver parlato con Gesù, sebbene cieco, si alza e va in città. Vediamo Anania che, sebbene pauroso e titubante, dice: «Eccomi, Signore!» (v. 10) e subito va da Saulo. Siamo chiamati tutti, in qualsiasi situazione ci troviamo, a essere portatori di speranza pasquale, “cirenei della gioia”, come diceva don Tonino; servitori del mondo, ma da risorti, non da impiegati. Senza mai contristarci, senza mai rassegnarci. È bello essere “corrieri di speranza”, distributori semplici e gioiosi dell’alleluia pasquale.
Infine Gesù dice a Saulo: «Ti sarà detto ciò che devi fare». Saulo, uomo deciso e affermato, tace e va, docile alla Parola di Gesù. Accetta di obbedire, diventa paziente, capisce che la sua vita non dipende più da lui. Impara l’umiltà. Perché umile non vuol dire timido o dimesso, ma docile a Dio e vuoto di sé. Allora anche le umiliazioni, come quella provata da Saulo per terra sulla via di Damasco, diventano provvidenziali, perché spogliano della presunzione e permettono a Dio di rialzarci. E la Parola di Dio fa così: libera, rialza, fa andare avanti, umili e coraggiosi al tempo stesso. Non fa di noi dei protagonisti affermati e campioni della propria bravura, ma dei testimoni genuini di Gesù morto e risorto nel mondo.
Pane e Parola; cari fratelli e sorelle, ad ogni Messa ci nutriamo del Pane di vita e della Parola che salva: viviamo ciò che celebriamo! Così, come don Tonino, saremo sorgenti di speranza, di gioia e di pace.

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[1] «Configurati a Cristo capo e sacerdote», Cirenei della gioia, 2004, 54-55.
[2] «Sono credibili le nostre Eucarestie?», Articoli, corrispondenze, lettere, 2003, 236.
[3] «Servi nella Chiesa per il mondo», ivi, 103-104.
[4] «La non violenza in una società violenta», Scritti di pace, 1997, 66-67.
[5] «La pace come ricerca del volto», Omelie e scritti quaresimali, 1994, 317.
[6] «Lievito vecchio e pasta nuova», Vegliare nella notte, 1995, 91.
[7] Ultimo saluto al termine della Messa Crismale, 8 aprile 1993

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25.mo anniversario della morte di Mons. Tonino Bello. La visita di Papa Francesco alla tomba (Alessano). Discorso: "In questa terra, Antonio nacque Tonino e divenne don Tonino. Questo nome, semplice e familiare, che leggiamo sulla sua tomba, ci parla ancora. Racconta il suo desiderio di farsi piccolo per essere vicino, di accorciare le distanze, di offrire una mano tesa"


Se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione. Diceva, speranzoso, don Tonino: «Dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini».
Visita Pastorale del Santo Padre ad Alessano (Lecce), nella Diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca, e a Molfetta (Bari) nella Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, nel 25.mo anniversario della morte di S.E. Mons. Tonino Bello (20 aprile 2018).
Cari fratelli e sorelle,
sono giunto pellegrino in questa terra che ha dato i natali al Servo di Dio Tonino Bello. Ho appena pregato sulla sua tomba, che non si innalza monumentale verso l’alto, ma è tutta piantata nella terra: Don Tonino, seminato nella sua terra, sembra volerci dire quanto ha amato questo territorio. Su questo vorrei riflettere, evocando anzitutto alcune sue parole di gratitudine: «Grazie, terra mia, piccola e povera, che mi hai fatto nascere povero come te ma che, proprio per questo, mi hai dato la ricchezza incomparabile di capire i poveri e di potermi oggi disporre a servirli»[1].
Capire i poveri era per lui vera ricchezza. Aveva ragione, perché i poveri sono realmente ricchezza della Chiesa. Ricordacelo ancora, don Tonino, di fronte alla tentazione ricorrente di accodarci dietro ai potenti di turno, di ricercare privilegi, di adagiarci in una vita comoda. Il Vangelo – eri solito ricordarlo a Natale e a Pasqua – chiama a una vita spesso scomoda, perché chi segue Gesù ama i poveri e gli umili. Così ha fatto il Maestro, così ha proclamato sua Madre, lodando Dio perché «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1,52). Una Chiesa che ha a cuore i poveri rimane sempre sintonizzata sul canale di Dio, non perde mai la frequenza del Vangelo e sente di dover tornare all’essenziale per professare con coerenza che il Signore è l’unico vero bene.
Don Tonino ci richiama a non teorizzare la vicinanza ai poveri, ma a stare loro vicino, come ha fatto Gesù, che per noi, da ricco che era, si è fatto povero (cfr 2 Cor 8,9). Don Tonino sentiva il bisogno di imitarlo, coinvolgendosi in prima persona, fino a spossessarsi di sé. Non lo disturbavano le richieste, lo feriva l’indifferenza. Non temeva la mancanza di denaro, ma si preoccupava per l’incertezza del lavoro, problema oggi ancora tanto attuale. Non perdeva occasione per affermare che al primo posto sta il lavoratore con la sua dignità, non il profitto con la sua avidità. Non stava con le mani in mano: agiva localmente per seminare pace globalmente, nella convinzione che il miglior modo per prevenire la violenza e ogni genere di guerre è prendersi cura dei bisognosi e promuovere la giustizia. Infatti, se la guerra genera povertà, anche la povertà genera guerra[2]. La pace, perciò, si costruisce a cominciare dalle case, dalle strade, dalle botteghe, là dove artigianalmente si plasma la comunione. Diceva, speranzoso, don Tonino: «Dall’officina, come un giorno dalla bottega di Nazareth, uscirà il verbo di pace che instraderà l’umanità, assetata di giustizia, per nuovi destini»[3].
Cari fratelli e sorelle, questa vocazione di pace appartiene alla vostra terra, a questa meravigliosa terra di frontiera – finis-terrae – che Don Tonino chiamava “terra-finestra”, perché dal Sud dell’Italia si spalanca ai tanti Sud del mondo, dove «i più poveri sono sempre più numerosi mentre i ricchi diventano sempre più ricchi e sempre di meno»[4]. Siete una «finestra aperta, da cui osservare tutte le povertà che incombono sulla storia»[5], ma siete soprattutto una finestra di speranza perché il Mediterraneo, storico bacino di civiltà, non sia mai un arco di guerra teso, ma un’arca di pace accogliente[6].
Don Tonino è uomo della sua terra, perché in questa terra è maturato il suo sacerdozio. Qui è sbocciata la sua vocazione, che amava chiamare evocazione: evocazione di quanto follemente Dio predilige, ad una ad una, le nostre fragili vite; eco della sua voce d’amore che ci parla ogni giorno; chiamata ad andare sempre avanti, a sognare con audacia, a decentrare la propria esistenza per metterla al servizio; invito a fidarsi sempre di Dio, l’unico capace di trasformare la vita in una festa. Ecco, questa è la vocazione secondo don Tonino: una chiamata a diventare non solo fedeli devoti, ma veri e propri innamorati del Signore, con l’ardore del sogno, lo slancio del dono, l’audacia di non fermarsi alle mezze misure. Perché quando il Signore incendia il cuore, non si può spegnere la speranza. Quando il Signore chiede un “sì”, non si può rispondere con un “forse”. Farà bene, non solo ai giovani, ma a tutti noi, a tutti quelli che cercano il senso della vita, ascoltare e riascoltare le parole di Don Tonino.
In questa terra, Antonio nacque Tonino e divenne don Tonino. Questo nome, semplice e familiare, che leggiamo sulla sua tomba, ci parla ancora. Racconta il suo desiderio di farsi piccolo per essere vicino, di accorciare le distanze, di offrire una mano tesa. Invita all’apertura semplice e genuina del Vangelo. Don Tonino l’ha tanto raccomandata, lasciandola in eredità ai suoi sacerdoti. Diceva: «Amiamo il mondo. Vogliamogli bene. Prendiamolo sotto braccio. Usiamogli misericordia. Non opponiamogli sempre di fronte i rigori della legge se non li abbiamo temperati prima con dosi di tenerezza»[7]. Sono parole che rivelano il desiderio di una Chiesa per il mondo: non mondana, chiesa non mondana   ... che il Signore ci dia una chiesa non mondana ...ma per il mondo, al servizio del mondo. Una Chiesa monda di autoreferenzialità ed «estroversa, protesa, non avviluppata dentro di sé»[8]; non in attesa di ricevere, ma di prestare pronto soccorso; mai assopita nelle nostalgie del passato, ma accesa d’amore per l’oggi, sull’esempio di Dio, che «ha tanto amato il mondo» (Gv 3,16).
Il nome di “don Tonino” ci dice anche la sua salutare allergia verso i titoli e gli onori, il suo desiderio di privarsi di qualcosa per Gesù che si è spogliato di tutto, il suo coraggio di liberarsi di quel che può ricordare i segni del potere per dare spazio al potere dei segni[9]. Don Tonino non lo faceva certo per convenienza o per ricerca di consensi, ma mosso dall’esempio del Signore. Nell’amore per Lui troviamo la forza di dismettere le vesti che intralciano il passo per rivestirci di servizio, per essere «Chiesa del grembiule, unico paramento sacerdotale registrato dal Vangelo»[10].
Da questa sua amata terra che cosa don Tonino ci potrebbe ancora dire? Questo credente con i piedi per terra e gli occhi al Cielo, e soprattutto con un cuore che collegava Cielo e terra, ha coniato, tra le tante, una parola originale, che tramanda a ciascuno di noi una grande missione. Gli piaceva dire che noi cristiani «dobbiamo essere dei contempl-attivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione»[11], della gente che non separa mai preghiera e azione. Caro don Tonino, ci hai messo in guardia dall’immergerci nel vortice delle faccende senza piantarci davanti al tabernacolo, per non illuderci di lavorare invano per il Regno[12]. E noi ci potremmo chiedere se partiamo dal tabernacolo o da noi stessi. Potresti domandarci anche se, una volta partiti, camminiamo; se, come Maria, Donna del cammino, ci alziamo per raggiungere e servire l’uomo, ogni uomo. Se ce lo chiedessi, dovremmo provare vergogna per i nostri immobilismi e per le nostre continue giustificazioni. Ridestaci allora alla nostra alta vocazione; aiutaci ad essere sempre più una Chiesa contempl-attiva, innamorata di Dio e appassionata dell’uomo!
Cari fratelli e sorelle, in ogni epoca il Signore mette sul cammino della Chiesa dei testimoni che incarnano il buon annuncio di Pasqua, profeti di speranza per l’avvenire di tutti. Dalla vostra terra Dio ne ha fatto sorgere uno, come dono e profezia per i nostri tempi. E Dio desidera che il suo dono sia accolto, che la sua profezia sia attuata. Non accontentiamoci di annotare bei ricordi, non lasciamoci imbrigliare da nostalgie passate e neanche da chiacchiere oziose del presente o da paure per il futuro. Imitiamo don Tonino, lasciamoci trasportare dal suo giovane ardore cristiano, sentiamo il suo invito pressante a vivere il Vangelo senza sconti. È un invito forte rivolto a ciascuno di noi e a noi come Chiesa. Davvero ci aiuterà a spandere oggi la fragrante gioia del Vangelo.

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[1] «Grazie, Chiesa di Alessano», La terra dei miei sogni. Bagliori di luce dagli scritti ugentini, 2014, 477.
[2] Cfr S. Giovanni Paolo II, «Se cerchi la pace, va’ incontro ai poveri», Messaggio per la Giornata mondiale della Pace, 1° gennaio 1993.
[3] La terra dei miei sogni, 32.
[4] «Il pentalogo della speranza», Scritti vari, interviste aggiunte, 2007, 252.
[5] «La speranza a caro prezzo», Scritti di pace, 1997, 348.
[6] Cfr «La profezia oltre la mafia», ivi, 280.
[7] «Torchio e spirito. Omelia per la Messa crismale 1993», Omelie e scritti quaresimali, 2015, 97.
[8] «Sacerdoti per il mondo», Cirenei della gioia, 2004, 26.
[9] «Dai poveri verso tutti», ivi, 122 ss.
[10] «Configurati a Cristo capo e sacerdote», ivi, 61.
[11] Ivi, 55.
[12] Cfr «Contempl-attivi nella ferialità quotidiana», Non c’è fedeltà senza rischio, 2000, 124; «Soffrire le cose di Dio e soffrire le cose dell’uomo»,

domenica 8 aprile 2018

Ciao David ciao amico mio. Un altro anno e passato....

Ciao “Marcello”





Tutti abbiamo un'angelo che dall'altro continuerà a proteggerci...!

A SERA

In questa sera placida,
seduto sotto gli alberi grandi e vecchi d’anni,
il mio pensiero corre a Te o compagna
 di tante ore serene e spensierate.

Oh, possa il tempo mai mutar l’affetto
che il cuore mio ti porta!
poiché se grave
talvolta è il peso degli affanni umani,
già mi sembra più lieve
se diviso con te.

E se pure un giorno,
per altra via dovrai volgere i passi,
una parte di me verrà con te 
sempre , dovunque andrai…

Alta nel cielo, su sopra il mio capo,
viva si è accesa già la prima stella,
ch’ella ti porti il mio saluto
e possa, col suo raggio gentile,
dirti le cose ch’io non ti so dire.

Poesia di “Marcello” 
 
>>>   Gianmaria Testa

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By Marcello

RICORDANDO Marcello

Quando ti sentirai solo e stanco...
Quando non avrai amici accanto a te.
Quando la vita ti sarà toroppo dura e
solo il dolore ti sarà compagno.

Non rattristarti.
pensa alla nonnina che tiaspetta.

Essa è là , in un gran prato pieno di fiori.
all'ombra dei cipressi che la vegliano.

Così la troverai, tu timoroso di tanta Pace,
che l'orecchio avrai uso ai rumori del mondo.

Ma ella ti verrà incontro
come un bimbo ti prenderà per mano;
I tuoi capelli vorrà ,
come una volta accarezzare con le mani scarne.

Oh quelle mani avvezze a scalzettare!...

Ti sembrerà dischiuso il paradiso ed al suo fianco
confortato sarai di tanto male.
                                           MARCELLO
Marcello
David detto " Marcello"

By Marcello
By Marcello
C'è silenzio nell'aria dopo il baccano della festa...

By Marcello
A  Marcello

E’ GIÀ PASSATO UN ALTRO ANNO…


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Ascoltando Chopen"

Malinconia

E' strano in una notte come questa
sentire il mio Cuore che batte,
mi sembra, se stendo la mano,
toccare il tuo volto tremante.

Tristezza di un fragile sogno 

che resta soltanto un bel sogno...

Talvolta il profumo di un fiore

mi parla di te con passione,
le stelle che brillano in cielo
son simili agli occhi che hai tu.

Tristezza di un fragile sogno

che rivela di averti vicino,
ma sfuma lontano nel nulla
al raggio del primo mattino.

Poesie di "Marcello"  David B.

CIAO MARCELLO

http://florentiadomus.tumblr.com

Vittorio Gassman - Verra' La Morte e Avra' i Tuoi Occhi




🙏🏻Grazie David🌹