State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...
State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

mercoledì 28 agosto 2013

Salvi nella speranza


Pachelbel     Canon in D 


Pachelbel Canon in D (106 participants from 30 countries): Virtual Symphony v 1.0

Little Symphony is an online collaborative project whose goal is to promote classical music to the young generation. This first video is made up of 106 youtube submissions from 30 countries. Please join us in our endeavor! http://littlesymphony.com/
https://www.facebook.com/LittleSympho...


DI AUTORI VARI

navi

dal blog di Costanza Miriano


“Nell’epoca moderna il pensiero del Giudizio finale sbiadisce: la fede cristiana viene individualizzata ed è orientata soprattutto verso la salvezza personale dell’anima; la riflessione sulla storia universale, invece, è in gran parte dominata dal pensiero del progresso. Il contenuto fondamentale dell’attesa del Giudizio, tuttavia, non è semplicemente scomparso. Ora però assume una forma totalmente diversa. L’ateismo del XIX e del XX secolo è, secondo le sue radici e la sua finalità, un moralismo: una protesta contro le ingiustizie del mondo e della storia universale. Un mondo, nel quale esiste una tale misura di ingiustizia, di sofferenza degli innocenti e di cinismo del potere, non può essere l’opera di un Dio buono.
Il Dio che avesse la responsabilità di un simile mondo, non sarebbe un Dio giusto e ancor meno un Dio buono. È in nome della morale che bisogna contestare questo Dio. Poiché non c’è un Dio che crea giustizia, sembra che l’uomo stesso ora sia chiamato a stabilire la giustizia. Se di fronte alla sofferenza di questo mondo la protesta contro Dio è comprensibile, la pretesa che l’umanità possa e debba fare ciò che nessun Dio fa né è in grado di fare, è presuntuosa ed intrinsecamente non vera. Che da tale premessa siano conseguite le più grandi crudeltà e violazioni della giustizia non è un caso, ma è fondato nella falsità intrinseca di questa pretesa. Un mondo che si deve creare da sé la sua giustizia è un mondo senza speranza. Nessuno e niente risponde per la sofferenza dei secoli. Nessuno e niente garantisce che il cinismo del potere – sotto qualunque accattivante rivestimento ideologico si presenti – non continui a spadroneggiare nel mondo.
[... ] Ora Dio rivela il suo Volto proprio nella figura del sofferente che condivide la condizione dell’uomo abbandonato da Dio, prendendola su di sé. Questo sofferente innocente è diventato speranza-certezza: Dio c’è, e Dio sa creare la giustizia in un modo che noi non siamo capaci di concepire e che, tuttavia, nella fede possiamo intuire. Sì, esiste la risurrezione della carne. Esiste una giustizia . Esiste la « revoca » della sofferenza passata, la riparazione che ristabilisce il diritto. Per questo la fede nel Giudizio finale è innanzitutto e soprattutto speranza – quella speranza, la cui necessità si è resa evidente proprio negli sconvolgimenti degli ultimi secoli. Io sono convinto che la questione della giustizia costituisce l’argomento essenziale, in ogni caso l’argomento più forte, in favore della fede nella vita eterna. Il bisogno soltanto individuale di un appagamento che in questa vita ci è negato, dell’immortalità dell’amore che attendiamo, è certamente un motivo importante per credere che l’uomo sia fatto per l’eternità; ma solo in collegamento con l’impossibilità che l’ingiustizia della storia sia l’ultima parola, diviene pienamente convincente la necessità del ritorno di Cristo e della nuova vita.”

commenti a “Salvi nella speranza”

“Ascoltiamo l’appello del Papa per la pace in Siria. Se i Paesi occidentali vogliono creare una vera democrazia devono costruirla con la riconciliazione, con il dialogo fra cristiani e musulmani, non con le armi. L’attacco pianificato dagli Stati Uniti è un atto criminale, che mieterà altre vittime, oltre alle migliaia di questi due anni di guerra. Ciò farà crollare la fiducia del mondo arabo verso il mondo occidentale”. È quanto afferma all’agenzia missionaria AsiaNews Gregorio III Laham, patriarca greco-cattolico di Antiochia, di tutto l’Oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti.

Una questione mondiale




[Text: FrançaisEnglishEspañol]
A prima vista l’immagine è quasi idilliaca: una giovane famiglia — padre, madre e un bambinetto — s’inoltra, cavalcando un asino, in un paesaggio desertico. L’asciutta didascalia della foto descrive invece, senza bisogno di commenti, una tragedia che sembra senza fine: sono profughi che lasciano la Siria diretti in Iraq, per mettersi in salvo da un conflitto già troppo lungo e feroce, ma che potrebbe essere ancor più aggravato da scelte le cui conseguenze sono imprevedibili.
La foto scattata nel deserto siriano sembra anche una struggente e drammatica raffigurazione moderna di un’altra fuga: quella in Egitto della piccola famiglia di Gesù per scampare all’odio di Erode, descritta anch’essa con scarne parole nel vangelo di Matteo e nel corso dei secoli innumerevoli volte rappresentata in oriente e in occidente. A questa immagine se ne aggiungono tantissime altre, che arrivano quasi ogni giorno da molte parti del mondo, disegnando i contorni tragici di una vera e propria questione planetaria, quella delle migrazioni forzate.
Fenomeno ricorrente e mutevole, nella seconda metà del Novecento i flussi migratori si sono fatti più drammatici e imponenti come conseguenza dei conflitti, al punto da indurre le istituzioni internazionali a mobilitarsi e a istituire organismi specializzati. In questo scenario, drammatico in diverse parti del mondo, la Santa Sede intervenne soprattutto con la costituzione apostolica Exsul familia pubblicata da Pio XII nel 1952.
A questo ampio testo di riferimento — che si apre indicando appunto nella sorte della famiglia di Nazaret quella di ogni persona costretta a fuggire dalla violenza — hanno fatto seguito ripetuti interventi e provvedimenti. Tutti volti a sostenere l’impegno di moltissimi cattolici e cristiani per i quali la parabola del buon samaritano rimane «criterio di misura», come ha scritto Benedetto XVI nella sua prima enciclica e già in diversi modi ha mostrato al mondo Papa Francesco: scegliendo Lampedusa come meta del suo primo viaggio, annunciando la visita al centro Astalli di Roma e denunciando ripetutamente il crimine della tratta di persone, «la schiavitù più estesa» di questo secolo.
Un impegno per la Chiesa irrinunciabile, ripete ora il documento Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate di due consigli pontifici (quello della Pastorale per i migranti e gli itineranti insieme a Cor unum) pubblicato nello scorso giugno. Per affrontare una questione dalle dimensioni mondiali e destinata a espandersi nei prossimi decenni, che richiede sempre più l’impegno internazionale e l’accoglienza delle comunità cristiane. Giovanni Maria Vian

L'Osservatore Romano


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 Il Prefetto della Congregazione per le Chiese orientali rilancia l’appello del Papa per la pace. Ore critiche per la Siria. Chiari segnali di un attacco imminente senza attendere gli accertamenti dell’Onu sull’uso di armi chimiche

Nelle ore drammatiche che vedono moltiplicarsi i segnali di un possibile attacco militare in Siria — si parla di tre giorni di bombardamenti missilistici su siti militari a partire da domani — da parte di potenze occidentali e non solo, le voci di pace e persino i richiami al diritto internazionale minacciano di rimanere inascoltati. Eppure proprio in queste ore sarebbe ancora più necessaria una riflessione costruttiva sull’appello lanciato da Papa Francesco all’Angelus di domenica scorsa alla comunità internazionale perché «metta tutto il suo impegno per aiutare la amata Nazione siriana a trovare una soluzione a una guerra che semina distruzione e morte». In una dichiarazione rilasciata oggi al nostro giornale il cardinale Leonardo Sandri, prefetto della Congregazione per le Chiese orientali, afferma che «in queste ore di trepidazione si intensifica la preghiera per la situazione in Siria, che si è aggravata nel delicato contesto mediorientale, con ferite aperte in Egitto, Iraq e altre regioni».
«L’ardente appello di Papa Francesco all’Angelus di domenica 25 agosto — continua la dichiarazione — ha portato conforto a tutta la popolazione siriana, come assicurano alla Congregazione per le Chiese orientali i pastori e i fedeli che continuano a invocare il dono della pace. Alle comunità della madrepatria si uniscono i molti orientali sparsi nel mondo nello stesso appello perché la riconciliazione sia più forte del clamore delle armi».
Facendo eco al messaggio inviato in occasione della consacrazione episcopale del nuovo pastore dell’arcieparchia melkita di Bosra e Hauran in Siria, avvenuta il 25 agosto presso Beirut alla presenza del patriarca Gregorio III, la cui sede principale è a Damasco, e dei nunzi apostolici in Libano e in Siria, il cardinale continua affermando: «Preghiamo per la pace in Medio Oriente e nel mondo, chiedendo al Signore Gesù e al Cuore Immacolato di Maria di fortificare la speranza di tutti i fedeli orientali. I nostri cuori si volgono verso la Siria, immersa nella “grande tribolazione”. Che la violenza si fermi: che Dio onnipotente illumini la coscienza dei responsabili e consoli ogni dolore con la nostra carità».
La dichiarazione ricorda altresì che «altri vescovi ordinati per la Siria faticano a raggiungere le loro sedi. I pastori con i loro fedeli sono costretti a continui trasferimenti nel territorio siriano per ovviare ai gravi pericoli purtroppo tanto diffusi e senza volto».
«Con profonda amarezza e immensa tristezza — conclude la dichiarazione — ma insieme con altrettanta speranza, gli orientali cattolici si stringono in preghiera intorno al Papa nella certezza che il Dio della pace e di ogni consolazione mai abbandonerà la terra santificata dagli inizi della redenzione. Il cuore si apre ai cristiani di ogni confessione e a quanti credono nell’unico Dio perché la superiore istanza di pace e di vita per il Medio Oriente prevalga su ogni altro interesse o risentimento di parte. Siano prioritarie su ogni altra ragione per la comunità internazionale la giustizia, la riconciliazione e il rispetto solidale dei diritti personali e sociali, anche religiosi, di tutte indistintamente le componenti della popolazione mediorientale».
Alle voci delle comunità religiose e della società civile che chiedono ai responsabili governativi comportamenti in linea con quanto auspicato dal Papa, si è aggiunta oggi quella di Mairead Maguire, insignita nel 1976 del premio Nobel per la pace per l’impegno in Irlanda del Nord. Secondo Maguire, un intervento di potenze straniere potrebbe portare «alla morte di migliaia di siriani e alla frantumazione della Siria», alla fuga di altri profughi, alla destabilizzazione di tutto il Vicino Oriente, «lasciando l’area in preda alla violenza senza controllo».
Quasi tutte le fonti di stampa danno per certo l’attacco — prospettato con termini come “limitato” o “chirurgico”, come tante volte fatto in casi che si sono poi tradotti in guerre pluriennali — e attribuiscono la stessa incertezza del presidente Barack Obama a valutazioni più di opportunità politica che di merito. Il portavoce della Casa Bianca, Jay Carney, ha comunque ribadito ancora ieri che Obama non ha preso alcuna decisione e che, in ogni caso, gli Stati Uniti non si prefiggono come obiettivo quello di intervenire nella guerra civile siriana e di rovesciare il presidente Bashar Al Assad.
Sia Obama sia il primo ministro britannico, David Cameron, sono impegnati in consultazioni con i rispettivi Parlamenti. Il punto cruciale è nelle presunte prove della responsabilità attribuita ad Assad di un attacco con armi chimiche sferrato il 21 agosto. Il segretario di Stato americano, John Kerry, ha parlato lunedì sera di prove fornite da fonti di intelligence, ma ha anche detto che le reazioni si sono basate su immagini diffuse dall’opposizione siriana sui social network.
Sulla stessa linea sono Cameron e il presidente francese, François Hollande — che si è anche detto pronto a fornire più armi ai ribelli siriani — oltre che i Governi di Turchia, Australia e di altri Paesi. Accuse ad Assad ha mosso anche la Lega araba, in un comunicato diffuso ieri al Cairo. Secondo fonti diplomatiche a spingere per questa presa di posizione sono stati Arabia Saudita e Qatar. Nel comunicato si chiede il deferimento dei responsabili davanti alla giustizia internazionale.
Né sembrano scalfire tali certezze i precedenti storici — prove rivelatesi false di armi chimiche in possesso dell’Iraq furono addotte per giustificare l’intervento anglo-statunitense del 2003 — e le considerazioni avanzate da diversi osservatori e da alcuni Governi sulla possibilità di una manipolazione mediatica, oltre che le perplessità su una simile azione da parte del Governo di Damasco. A molti, infatti, sembra difficilmente comprensibile che quest’ultimo, proprio mentre l’esercito conseguiva successi rilevanti e per gran parte degli osservatori ormai decisivi, abbia varcato la “linea rossa” dell’uso di armi chimiche.
In tutto questo, alcuni sembrano ritenere irrilevanti le ispezioni che l’Onu sta conducendo in Siria. Secondo quanto scrive oggi «The Wall Street Journal», già domenica scorsa Susan Rice, il consigliere di Obama per la sicurezza, avrebbe scritto a diversi ambasciatori all’Onu, compresa la statunitense Samantha Power, per sollecitare un ritiro degli ispettori. Il quotidiano pubblica una e-mail attribuita a Rice nella quale si legge che «l’indagine dell’Onu è tardiva e ci dirà quello che già sappiamo, ovvero che le armi chimiche sono state usate. Non ci dirà chi le ha usate».
Il Governo siriano ha sfidato chiunque a fornire prove e ha sottolineato che l’azione dell’Onu è ostacolata nelle aree controllate dai ribelli, compresa quella del presunto attacco del 21 agosto. Il portavoce dell’Onu Farhan Haq ha dichiarato che «se qualche Stato ha informazioni al riguardo deve condividerle con la missione degli ispettori».
Sulle gravi conseguenze di un attacco alla Siria insiste il Governo di Mosca. «Qualsiasi uso della forza militare contro la Siria non farà altro che destabilizzare ulteriormente il Paese e la regione», ha detto il ministro degli Esteri russo, Serghiei Lavrov in una conversazione telefonica con l’inviato in Siria dell’Onu e della Lega araba, Brahimi. I due, secondo il sito del ministero degli Esteri russo, «si sono detti d’accordo sul fatto che in questo momento critico tutte le parti, compresi anche i “giocatori” esterni, devono agire con la massima responsabilità, senza ripetere gli errori del passato».

L'Osservatore Romano


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Radio Vaticana 

In Iraq, continua a salire il numero delle vittime di una serie di attentati che hanno devastato Baghdad oggi, dove si contano oltre 70 morti e 200 feriti. E’ l’ennesimo atto della violenza tra i sunniti e gli sciiti iracheni. E un appello a mettere fine a sanguinose (...) 

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Vatican Insider 

(Giorgio Bernardelli) Da Baghdad a Gerusalemme patriarchi e guide delle comunità contrari ai missili dalle navi americane. E dalla Siria anche la comunità di padre Dall'Oglio si schiera contro l'intervento armato -- È unanime la posizione delle comunità cristiane del (...)


Pachelbel     Canon in D (the ultimate best version)

martedì 27 agosto 2013

Lo chiamavo sano egoismo,

Eric Whitacre's Virtual Choir - 'Lux Aurumque'

Sano egoismo da Gianna

Non è stato facile, anzi...

ma alla fine, in parte, ce l'ho fatta e, stando bene con me stessa, sto bene anche con gli altri e gli altri con me




Music I like .....



Music I like .....  Ayman Al-Hafeth

venerdì 23 agosto 2013

«Sei Stefano Cabizza?... Ciao, sono papa Francesco, ho letto la tua lettera...»

Quel telefono nella stanza 201...


Quel telefono nella stanza 201 filo diretto di Francesco col mondo
di Paolo Rodari
in “la Repubblica” del 28 agosto 2013

Che cosa fare se telefona il Papa



Papa Bergoglio (LaPresse)
Papa Bergoglio (LaPresse)


Stefano Cabizza (web)
Stefano Cabizza (web)






Squilla il telefono fisso di casa Cabizza, Angela alza la cornetta e dal filo esce una voce maschile, matura e allegra: «Buongiorno, c'è Stefano Cabizza per favore?». Papa Francesco non si era presentato e se l'avesse fatto forse Angela l'avrebbe liquidato con un «sì, e io sono la regina Elisabetta». Domenica scorsa Stefano comunque non era in casa a quell'ora, intorno alle 12.30. «Quando lo trovo?», ha chiesto il Pontefice. «Dopo le 17». E alle 17, puntuale come agli appuntamenti che contano, risuona il telefono di questa casetta di Camin, fra i capannoni industriali della prima periferia di Padova. «Sei Stefano Cabizza?... Ciao, sono papa Francesco, ho letto la tua lettera...». Così, come un vecchio amico, semplice, normale, diretto. Ne sono seguiti otto minuti di conversazione fra il Santo Padre e questo diciannovenne studente di Ingegneria che divide il suo tempo fra i manuali universitari, l'impegno sociale e il campo di calcio, tutte cose che al Papa non dispiacciono. «Gli otto minuti più emozionanti della mia vita, una cosa grandissima, non volevo crederci, volevo dargli del lei e lui mi ha detto che era meglio il tu, mi ha ricordato che anche gli Apostoli e Gesù si davano del tu... », racconta il giovane padovano che è riuscito a chiacchierare con papa Bergoglio grazie a una lettera da lui stesso consegnata nelle mani di un porporato il giorno di Ferragosto, alla fine della messa di Castel Gandolfo. «Ero lì con la mia famiglia, siamo partiti in macchina il giorno prima da Padova perché volevamo vederlo da vicino. Era la prima volta, ci siamo seduti in prima fila... La lettera l'avevo scritta prima di partire, ma senza crederci molto. Alla fine della celebrazione l'abbiamo consegnata a mano a uno dei cardinali che avevano distribuito la comunione. A questo punto vorrei sapere chi era per poterlo ringraziare infinitamente».
Cosa aveva scritto Stefano da indurre Bergoglio a chiamarlo dopo appena tre giorni? «I contenuti preferisco tenerli per me». In ogni caso pare che dietro non ci sia alcuna tragedia. Stefano è persona riservata e non avrebbe mai voluto che la notizia fosse diffusa. «Posso dire che all'inizio abbiamo anche scherzato sulla prima telefonata, quando ha risposto mia sorella e io avevo pensato che fosse un dirigente della squadra di calcio. Mi ha chiesto se studio, se vado a messa, mi ha chiesto di pregare molto Santo Stefano e per lui stesso e mi ha dato la benedizione». Il giovane non vuole aggiungere altro: «Dico solo che mi è successa una cosa straordinaria». A ricordare cos'è andata dopo l'emozionante telefonata è la nonna, la devota signora Leda: «Ha chiamato subito me urlando "nonnaaa! Ho parlato col Papa, ho parlato col Papa, non ci credi vero?...». E la sera stessa è andato alla messa nella chiesa del Santissimo Salvatore, dove a celebrare c'era don Everaldo, un sacerdote brasiliano che sostituiva il parroco: «È venuto in canonica con un sorriso largo così: devo dirti una cosa incredibile...». Il sacerdote ha chiamato immediatamente il parroco, don Ezio, che conosce Stefano da quando faceva il chierichetto: «Ho una notizia strabiliante da darti...». Insomma, da Camin non era mai passato un Papa, neppure via cavo e dunque l'evento è stato eccezionale da tutti i punti di vista. Ma non per il Papa venuto dalla fine del mondo che con i suoi semplici gesti sta infrangendo protocolli secolari. Dopo l'elezione al soglio pontificio, senza passare da alcuna segreteria vaticana, aveva per esempio telefonato al suo edicolante di Buenos Aires dal quale prima riceveva la copia quotidiana delClarin: «Hola Daniel, soy el cardenal Jorge, yo no necesito los periódicos, gracias por todo». Non aveva più bisogno della copia del giornale e lo ringraziava di tutto. Stessa graditissima sorpresa per Mery Alfonso, la libraia colombiana che conosceva bene e che si era trasferita in Italia dopo la laurea: «Signora Mery, come sta?». «Santità!». «Come hai fatto a riconoscermi?». Nemmeno Carlos Samaria credeva alle sue orecchie, quando Bergoglio, in nome della Chiesa di «prossimità» che cerca ovunque, trovò il tempo di informarlo che purtroppo non poteva più ordinargli le scarpe rosse.
Fino a Stefano, studente universitario di Camin, figlio di un tipografo e di un infermiera, che non smette di sorridere: «È stata l'emozione più grande della mia vita». 
Andrea Pasqualetto
apasqualetto@rcs.it

giovedì 22 agosto 2013

È solo cenere ...


Lux Aurumque (Light and Gold) - Eric Whitacre


 Ribloggato da Il blog di Costanza Miriano:

Clicca per visitare l'articolo originale

È solo cenere



DI ADMIN

Non sono di Cl, ma ieri dopo avere letto le ultime notizie sugli esponenti di Comunione e liberazione indagati in Lombardia, e tutti gli attacchi a Cl fatti da chi non aspettava altro, per correre ho deciso di mettere la maglietta del meeting di Rimini, regalatami dalla mia amica Elisabetta. Un coraggioso gesto dimostrativo, me ne rendo conto, che deve avere sicuramente impressionato le cornacchie e le pecore che pascolavano lungo gli stradelli dell'Appia antica.

domenica 18 agosto 2013

Facebook non è solo un gioco... la convinzione che Facebook non sia solamente un passatempo futile, persino detestabile...

Facebook non è solo un gioco

lastampa.it

Dopo il caso Di Cataldo una miss trevigiana denuncia online le violenze del marito
Un’altra donna ha usato Facebook per far sapere al mondo che il suo uomo la picchia. E’ una realtà che merita attenzione, a meno che non diventi un format. Quando lo farà una casalinga, un’impiegata o chiunque non sia donna di spettacolo, artista o modella, non avremo nemmeno questo fastidioso rovello.
E’ bene invece che s’inizi a percepire collettivamente la convinzione che Facebook non sia solamente un passatempo futile, persino detestabile, ma comunque dedicato a scambiarsi inutili frivolezze o a compiacere deprecabili narcisismi. Oramai quello che scriviamo, magari digitando sullo smartphone e pensando ad altro, entra comunque in un circuito reale di persone che leggono e, a loro volta, divulgano. Nel caso scrivessimo di fatti o circostanze penalmente rilevanti, saremmo in ogni caso chiamati a risponderne. Per paradosso ci saremo dentro molto di più di quanto potrebbe accadere se ci fossimo limitati a sparlare tra amici al bar, o a vergare elaborate sconcezze all’indirizzo di chiunque sia, di nascosto col pennarello sui muri di un gabinetto.
E’ fatale che, sempre più donne, usciranno allo scoperto e useranno un semplice post, o una foto, o un tweet per accendere una luce sulle vicende più indicibili delle loro “felicissime” unioni sentimentali. Ciò che noi intendevamo come privato non esiste più da anni, è ora che iniziamo a valutare il senso del tempo che viviamo. Anche i famosi panni sporchi, finora affidati per omertoso mandato alla lavatrice di famiglia, saranno sempre più sciorinati di fronte a migliaia e migliaia di perfetti sconosciuti, con tutte quelle imbarazzanti macchie che denunciano le nostre più vergognose incontinenze.
Un post non è più un gioco relegato alla realtà on line, può portare, come si è visto, a vere indagini nel mondo concreto. Comunque vada qualcuno sarà condannato a una pena, potrebbe accadere a chi abbia realmente usato violenza; come a chi abbia mentito, millantando quella violenza.
Dobbiamo pure evitare la facile conclusione che, chi scriva su Facebook di una ripugnante e sistematica violenza, sia fisica quanto psicologica, lo faccia pensandolo come alternativa a una regolare denuncia alle autorità competenti ad amministrare la legge. Spesso lo fa per proprio riuscire ad avere il sostegno e la forza per denunciare.
In rete magari si continuerà a pensare che sia tutto un gioco, ancora una volta si formeranno le due fazioni degli scettici e degli indignati. Ci saranno quelli che si sentiranno in dovere di sparare diagnosi, quadri clinici, analisi di segnali subliminali, elementi di scienza forense e medicina legale. A loro si contrapporranno feroci quelli che chiederanno lo smembramento del colpevole, la sua castrazione, la gogna, la ghigliottina, l’impalamento.
La rete sociale può solo suscitare il caso, ma non risolverlo. La certezza la darà solo la verifica dei fatti, che non spetta ad amici o followers.
Il folklore digitale, come sempre, lascerà il tempo che trova: per i prolissi commentatori non c’è mai molta differenza tra un gattino abbandonato o una donna pestata, l’importante é mostrare veemente spirito civico e sincera partecipazione emotiva.

Ecco lo sguardo di un sacerdote che fissa negli occhi coloro che dopo due secondi lo fucileranno.Niente odio, nessuna paura della morte.

Come agnelli tra i lupi


martinez
Ecco lo sguardo di un sacerdote che fissa negli occhi coloro che dopo due secondi lo fucileranno. Niente odio, nessuna paura della morte.
La foto-agenzia EFE, riflette il volto di un sacerdote spagnolo, catturato dai miliziani repubblicani durante la guerra civile spagnola, alcuni momenti prima di essere fucilato il 18 di agosto del 1936. L’autore dell’istantanea è il fotografo tedesco Hans Gutmann.
La fotografia l’aveva nel suo ufficio il Decano della Facoltà di Teologia di Madrid San Dámaso, Pablo Dominguez (L’Ultima Cima), morto qualche tempo fa in un incidente di montagna. Su questa fotografia, Pablo affermò: “La ottenni a Mosca, in un congresso. Mi piacque e, leggendo le frasi del riquadro, mi interessai alla cosa ancora di più. È la fotografia – mentre lo spiegava gli brillavano gli occhi, si sentiva emozionato e con voglia di imitarlo; sembrava che parlasse di sé – di un sacerdote spagnolo il beato Martín Martínez Pascual presbitero e martire, membro della Società di Sacerdoti Operai Diocesani, di Valdealgorfa (Teruel), diocesi di Saragozza. Fissatevi bene sul suo sguardo fermo, le braccia, sicuro e coraggioso…”
Il 4 giugno scorso papa Francesco ha autorizzato il riconoscimento del martirio di 95 cattolici uccisi dai repubblicani durante la guerra civile spagnola. Fra loro si contano moltissimi sacerdoti e religiosi e anche diversi laici assassinati tra il 1936 e il 1939 in odio alla fede. I martiri dell’ondata anticattolica degli anni Trenta in Spagna, durante la quale anche il 70 per cento delle chiese subì devastazioni, sono migliaia. Già Giovanni Paolo II, tra il 1987 e il 2001, ne aveva beatificati 460. Tra il 2005 e il 2011 Benedetto XVI ne ha beatificati più di cinquecento. Con i 522 che saranno beatificati il 13 ottobre prossimo a Tarragona, la Chiesa avrà qualcosa come 1.500 beati martiri uccisi in Spagna negli anni Trenta, di cui alcuni già canonizzati.
«Ma questi rappresentano solo una piccola percentuale delle circa 10 mila persone morte per Cristo», spiega a tempi.it monsignor Vicente Cárcel Ortí, storico ed esperto dei rapporti Stato-Chiesa nella Spagna del XX secolo e autore di numerosi libri sui martiri di quel periodo.
continua a leggere l’intervista di Benedetta Frigerio su tempi.it a Vicente Cárcel Ortí

commenti a “Come agnelli tra i lupi” ...
Bariom

“Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.”


No me parece que el comentario intente poner claridad sobre una posible incongruencia, sino que solamente quiere aliviar la duda. Si quien ha comentado así sabe algo cierto, que no sea una opinión deducida, que lo diga. Por amantes de la duda es lleno el mundo y son los mismos que dudan de la Resurección de Cristo: “Donde están las pruebas?”, “Cual es la fuente?”, “Quien lo dice?” ecc ecc.
Al final de todo, tampoco sería importante saber de quien es esa mirada y esa fotografía, lo que importa es cómo y porqué Martinez Pascual se ha muerto y, como él, millar de persones de las cuales no tenemos fotografías ni miradas, excepto que en la memoria de los que les han conocido.
Que mantengan sus dudas, yo mantengo mi Fé.
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También se menciona el autor de la fotografía. Él seguro che sabe bien a quién y cuándo fue tomada esta foto.



Episodi della guerra civile spagnola nella zona di Teruel.

sabato 17 agosto 2013

Papa Francesco parla ancora delle donne nella Chiesa. Un ruolo grande e importante.


Donne nella chiesa

Il dramma dell’Europa e il ruolo della donna


(Lucetta Scaraffia) Papa Francesco, ricordando nella festa dell’Assunta l’anniversario della Mulieris dignitatem, ha chiesto ancora una volta di proseguire il lavoro di ricerca per dare alle donne un posto adeguato alla loro importanza evangelica e spirituale: affinché «in tutta la Chiesa si approfondisca e si capisca di più il tanto grande e importante ruolo della donna».
Prima che questi studi diano frutti e ne nascano proposte innovative di peso, si possono però cercare altri modi per riflettere e intervenire sul ruolo delle donne, prendendo atto con attenzione del lavoro, molto significativo, che le laiche e le consacrate già svolgono nella vita ecclesiale. Ma tenendo conto anche della loro assenza in situazioni decisive per definire la condizione della metà femminile del popolo di Dio.
Stupisce per esempio trovare così poche donne nei processi di formazione dei futuri sacerdoti. Innanzi tutto, sarebbe una buona idea introdurre un maggior numero di insegnanti di sesso femminile nei seminari, come già avviene in diversi Paesi: un esempio da imitare e da estendere. E questo non soltanto perché molte sono le donne che hanno titoli e capacità, ma perché così i futuri preti se ne farebbero un’idea più reale. Senza cioè pensare che le donne sono solo figure secondarie che preparano da mangiare e stirano i loro vestiti, ma anche, se non soprattutto, persone autorevoli, da ascoltare e rispettare.
In questo modo, una volta ordinati sacerdoti, sarebbero pronti a una collaborazione più paritaria con le donne, sia religiose che laiche. Collaborazione da realizzare quando saranno impegnati nella loro missione, coinvolgendole di più nella vita pastorale e diventando così più aperti a un intervento creativo femminile nella vita della Chiesa. La comunità che si forma intorno a ogni parrocchia potrebbe così contare su nuove iniziative, evitando il rischio di relegare le donne nel ruolo di mere esecutrici. L’obiettivo è quello di valorizzare tutte le energie disponibili, e le donne costituiscono veramente un tesoro nascosto, finora troppo ignorato.
La presenza femminile dovrebbe poi essere abituale e significativa anche nelle residenze di ecclesiastici che già vi fanno ricorso, ma non di rado soprattutto come collaboratrici domestiche. Un ruolo diverso deve invece essere assicurato a quelle donne, quasi sempre consacrate, che aiutano il clero nelle necessità quotidiane, e mai devono essere considerate come personale di servizio, specialmente quando provengono dal Sud del mondo.
Ci sono congregazioni femminili fondate da donne che, per evitare queste situazioni, non hanno mai mandato delle loro sorelle ad assistere i sacerdoti, mentre altre hanno scelto come missione proprio l’assistenza al clero. Una presenza che vorrebbe essere soprattutto spirituale, ma che offre anche un materno aiuto nella vita quotidiana. Si tratta di donne che scelgono una via di umiltà e per questo vanno particolarmente ammirate. Bisogna però ricordare che non è scritto da nessuna parte che la virtù dell’umiltà debba essere declinata solo al femminile. L’opera delle donne nell’accoglienza è sempre stata molto importante, e andrebbe anzi valorizzata, come lo era per esempio nelle Chiese domestiche del primo cristianesimo.
Il ruolo della donna nella Chiesa è legato a queste figure assenti o mortificate, e finché la situazione non cambia sarà molto difficile migliorare il rapporto complessivo fra donne e uomini nella vita cristiana e attingere a questo tesoro nascosto. E bisogna anche ricordare che la condizione femminile nella Chiesa, proprio perché comporta l’impossibilità di fare carriera in senso mondano, conduce spesso a una condizione di libertà e di profondità spirituale straordinarie. Sarebbe un vero peccato farne a meno.

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“La Chiesa approfondisca e capisca di più il tanto grande e importante ruolo della donna”. L’invito di Papa Francesco e il magistero di Giovanni Paolo II




Nel corso dell’Angelus, dettato a Castel Gandolfo per la solennità dell’Assunta, Papa Francesco ha rivolto alla Chiesa l’esplicito invito ad approfondire i temi riguardanti la vocazione e la dignità della donna. “Meditando il mistero biblico della donna, – precisa il Pontefice – condensato in Maria, tutte le donne vi trovino se stesse e la pienezza della loro vocazione, e in tutta la Chiesa si approfondisca e si capisca di più il tanto grande e importante ruolo della donna”.


A tal proposito – oltre alla Lettera Apostolica “Mulieris dignitatem”, del beato Papa Giovanni Paolo II, ricordata da Papa Francesco in occasione del 25° anniversario dalla pubblicazione – vi è un altro documento che mette a tema l’importante ruolo della donna, rilanciandone e moltiplicandone la responsabilità ecclesiale a livello europeo. Nel 2003 Giovanni Paolo II, infatti, pubblicava l’Esortazione Apostolica post-sinodale Ecclesia in Europa. Il testo metteva in evidenza con estrema chiarezza il processo di trasformazione  verso cui l’Europa si stava dirigendo e la profonda crisi di valori che – nonostante il potere economico e politico raggiunto in diversi Stati – iniziava a minacciare la stabilità dei suoi cittadini. Il tempo che stiamo vivendo – affermava il Pontefice – appare come una stagione di smarrimento; “Tanti uomini e donne sembrano disorientati, incerti, senza speranza e non pochi cristiani condividono questi stati d'animo. Numerosi sono i segnali preoccupanti che, all'inizio del terzo millennio, agitano l'orizzonte del Continente europeo” (Ecclesia in Europa, 7).
La preoccupazione principale messa a tema da Giovanni Paolo II – ripresa anche dal suo successore Benedetto XVI – riguardava oltretutto “lo smarrimento della memoria e dell'eredità cristiane, accompagnato da una sorta di agnosticismo pratico e di indifferentismo religioso, per cui molti europei danno l'impressione di vivere senza retroterra spirituale e come degli eredi che hanno dilapidato il patrimonio loro consegnato dalla storia. Non meravigliano più di tanto, perciò, i tentativi di dare un volto all'Europa escludendone la eredità religiosa e, in particolare, la profonda anima cristiana, fondando i diritti dei popoli che la compongono senza innestarli nel tronco irrorato dalla linfa vitale del cristianesimo” (Ibid.) .


Karol Wojtyla ricordava però che il principale contributo relativo alla crescita della cultura europea era stato offerto dal cristianesimo, che nel corso dei secoli aveva dato forma all’Europa imprimendovi alcuni valori fondamentali e aveva saputo integrare tra loro popoli e culture diverse.
In Europa dunque, per non lasciarsi travolgere dal sistema modernista del non senso, che a poco a poco avrebbe fatto prevalere un'antropologia senza Dio e senza Cristo, bisognava avere il coraggio di rintracciare la propria identità. L’Europa, infatti, asseriva Giovanni Paolo II, “pur essendosi venuta a costituire come una realtà fortemente variegata, deve costruire un modello nuovo di unità nella diversità […]. Per dare nuovo slancio alla propria storia, essa deve «riconoscere e ricuperare con fedeltà creativa quei valori fondamentali, alla cui acquisizione il cristianesimo ha dato un contributo determinante, riassumibili nell'affermazione della dignità trascendente della persona umana, del valore della ragione, della libertà, della democrazia, dello Stato di diritto e della distinzione tra politica e religione»” (Ibid., 109).


Nel panorama culturale appena delineato, Giovanni Paolo II, volle così affidare alle donne un compito importante. Egli, a nome di tutta la Chiesa, ne riconosceva il valore, ricordando – attraverso le vicende storiche dalla comunità cristiana – come le donne abbiano sempre avuto un posto di rilievo nella testimonianza del Vangelo. “Va ricordato – precisava – quanto esse hanno fatto, spesso nel silenzio e nel nascondimento, nell'accogliere e nel trasmettere il dono di Dio, sia attraverso la maternità fisica e spirituale, l'opera educativa, la catechesi, la realizzazione di grandi opere di carità, sia attraverso la vita di preghiera e di contemplazione, le esperienze mistiche e la redazione di scritti ricchi di sapienza evangelica” (Ibid., 42).
Karol Wojtyla riconosceva alle donne la singolare capacità di favorire la crescita della speranza in tutti gli ambiti della vita sociale, sottolineando la capacità che le donne hanno di accogliere, condividere e generare nell'amore, con tenacia e gratuità; e in risposta ai paradossi e alle incongruenze del mondo moderno, il Pontefice – guardando al ruolo e all’intelligenza della donna – affermava: “Si pensi, ad esempio, alla diffusa mentalità scientifico-tecnica che pone in ombra la dimensione affettiva e la funzione dei sentimenti, alla carenza di gratuità, al timore diffuso di dare la vita a nuove creature, alla difficoltà a porsi in reciprocità con l'altro e ad accogliere chi è diverso da sé. È in questo contesto che la Chiesa s'attende dalle donne l'apporto vivificante di una nuova ondata di speranza” (Ibid).

Perché tutto questo possa realizzarsi veramente è necessario – ricordava Wojtyla – promuovere nella Chiesa la dignità della donna, valorizzare la missione della donna come sposa e madre e la sua dedizione alla vita familiare. Il Pontefice, inoltre, poneva in rilievo l’esigenza di applicare realmente le leggi a tutela della donna, mettendo “in atto misure efficaci contro l'uso umiliante di immagini femminili nella propaganda commerciale e contro il flagello della prostituzione”, auspicando che il servizio reso dalla madre, allo stesso modo di quello reso dal padre, nella vita domestica “sia considerato come contributo al bene comune, anche mediante forme di riconoscimento economico” (Ibid).

E’ di questi giorni un interessante intervento di Ina Siviglia, docente della Facoltà teologica di Sicilia “San Giovanni Evangelista”, che ai microfoni del Sir ha dichiarato: “Ci siamo bloccati sul discorso del sacerdozio alle donne, che non è l’aspetto principale né quello su cui si può lavorare. Proprio in questo periodo Papa Bergoglio ha spiegato che il discorso del ministero ordinato alle donne è già stato risolto e chiuso da Giovanni Paolo II. Quindi, non possiamo tornare su questa linea, ma dobbiamo sviluppare un altro polmone di vita ecclesiale: una maggiore responsabilità delle donne negli ambiti decisionali”. C’è, per la teologa, “ancora un maschilismo sotterraneo. Per questo, c’è da rivedere come la laicità esiga una valorizzazione a pari merito tra uomini e donne. Certo, nella Chiesa dal Concilio a oggi molta strada è stata fatta, ma ancora c’è molto da fare per la valorizzazione dei carismi delle donne o, come diceva Giovanni Paolo II, del genio femminile”.

venerdì 16 agosto 2013

il classico sasso nel classico stagno ...

Kairòs


di Aldo Maria Valli | 09 agosto 2013 
La replica alle critiche all'articolo su Berlusconi di qualche giorno fa: "è la capacità di elaborazione di un pensiero politico consapevole da parte del cattolicesimo italiano il problema che mi interessa"



Vorrei ringraziare tutti gli intervenuti al dibattito scatenato dal mio intervento sul rapporto tra berlusconismo, Chiesa e cattolici italiani. Come sa bene Giorgio Bernardelli - deus ex machina di vinonuovo.it - il mio desiderio era proprio quello di suscitare un dibattito vasto, acceso, senza reticenze. Volevo gettare il classico sasso nel classico stagno, perché l'acqua mi sembrava veramente troppo ferma e melmosa. Così ho scagliato un sasso bello grosso, e l'effetto è stato quello desiderato. (E' singolare che a volte tocchi a noi timidi prenderci questi incarichi. Ma d'altra parte, si sa, quando un timido decide di scatenarsi diventa una belva).
A questo punto mi permetto di rivolgere una richiesta a tutti: abbandoniamo le questioni di schieramento. Non parliamo di destra, sinistra, centro, centrodestra, centrosinistra eccetera. Non è questa la strada che ci deve interessare.
Scusate se faccio il mio esempio personale, ma è solo per spiegarmi. Se con la parola "sinistra" intendiamo il pensiero marxista o quanto meno di ispirazione marxista, io non sono mai stato di sinistra, eppure fin dall'inizio dell'impresa politica berlusconiana ho provato un forte sospetto e poi una totale avversione verso il pifferaio e tutto il suo abborracciato armamentario culturale e politico. Dirò di più: non solo non sono mai stato di sinistra, ma da giovane mi consideravo un liberale cattolico, fortemente antistatilista. Dunque, teoricamente, sarei stato un perfetto berlusconiano, e invece per me Berlusconi è sempre stato la negazione del pensiero liberale, da lui usato per i suoi fini personalistici, esattamente come ha fatto con i cattolici e il cattolicesimo.
Dunque, dicevo, sforziamoci di abbandonare le questioni di schieramento, che non ci aiutano a fare passi avanti nella comprensione. Evitiamo di restare bloccati nelle accuse reciproche e puntiamo dritti alla domanda che ho posto: com'è stato possibile che ampi settori di elettorato cattolico e di gerarchia ecclesiale abbiano sposato il berlusconismo? Secondo me, rispondere a questa domanda significa interrogarsi sullo spessore culturale del cattolicesimo italiano e sulla sua reale capacità di elaborazione di un pensiero politico consapevole: ed è esattamente questo il problema che mi interessa.
Capisco bene l'obiezione di chi sostiene che ora sarebbe meglio guardare avanti e voltare pagina, senza attardarsi in dibattiti che possono sembrare datati. Ma, mi chiedo, se non ci sforziamo di giudicare il rapporto tra cattolicesimo italiano e berlusconismo, come possiamo pensare di poter voltare pagina in modo costruttivo? Se non cerchiamo di trarre una lezione da ciò che accaduto, che senso possiamo dare a tutto ciò che abbiamo vissuto negli ultimi due decenni?
Io ripropongo qui il mio pensiero e aspetto che qualcuno mi risponda non con gli insulti ma con altri pensieri. Prima metterò in luce il radicale contrasto tra berlusconismo e dottrina sociale della Chiesa, poi proporrò un abbozzo di risposta sulla cultura dei cattolici italiani.
Fin dalla sua discesa in campo, Berlusconi ha rappresentato la negazione di tutto ciò che la dottrina sociale della Chiesa insegna a proposito di politica e impegno civile. Seguendo il consiglio del suo protettore Bettino Craxi, l'imprenditore immobiliare e televisivo Berlusconi decise di dedicarsi alla politica e di fondare un partito per tornaconto personale e per meglio perseguire i propri interessi. Tutto il contrario di quanto insegna la Chiesa, secondo la quale la politica, in quanto alta forma di carità, deve essere ispirata al servizio verso gli altri, specialmente verso i più indifesi, nel segno di quel valore centrale che è il bene comune.
Per la Chiesa, il singolo che si impegna in politica assume su di sé i problemi di tutti e si fa interprete di essi per trovare soluzioni condivise, ma nel caso di Berlusconi la decisione di dedicarsi alla politica nasce sempre e soltanto dalla necessità di tutelare se stesso, per trovare soluzioni a ciò che più gli sta a cuore.
E vogliamo parlare della morale? Il Compendio della dottrina sociale della Chiesa al riguardo non potrebbe essere più chiaro. Coloro che hanno responsabilità politica, afferma, non devono mai dimenticare o sottovalutare la "dimensione morale della rappresentanza". Il politico, per il fatto di essere delegato a occuparsi dei problemi di tutti, deve dare testimonianza personale di assoluta trasparenza e moralità. Non c'è distinzione tra sfera privata e sfera pubblica. Anzi, l'autorità responsabile è, secondo l'insegnamento della Chiesa, soltanto quella esercitata mediante il ricorso alle virtù che favoriscono una concezione e una pratica del potere come servizio. Tali virtù sono elencate esplicitamente: sono la pazienza, la modestia, la moderazione, la carità, lo sforzo di condivisione. Ebbene, ce n'è forse una che il signor Berlusconi abbia mai praticato? O non è stato piuttosto egli il campione dell'impazienza e dell'insofferenza verso le regole democratiche così come della presunzione, dell'immodestia, della vanità, della ricchezza ostentata, dell'esagerazione, dell'eccesso, dell'intemperanza, dell'egocentrismo, dell'amore di sé, del narcisismo e dell'uso strumentale degli altri e delle altre?
L'autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale, sostiene la Chiesa cattolica. E' la morale il criterio-guida che precede e fonda gli altri. Tale moralità ha un modo molto pratico ed evidente di manifestarsi: consiste nell'emanare leggi giuste, cioè conformi al bene comune, e nel rispettare la divisione fra i poteri. Ma anche in questi casi Berlusconi, con la sua costante azione legiferante a favore di se stesso, con la pretesa di far prevalere nettamente l'esecutivo, con i ripetuti attacchi verso gli altri poteri e con la battaglia ingaggiata nei confronti della magistratura ha disatteso l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa.
Parlare di morale vuol dire parlare anche di famiglia, e sotto questo profilo lo spettacolo offerto da Berlusconi non potrebbe essere più lontano da quanto la Chiesa propone e insegna. Dal punto di vista personale, l'uomo ha fornito uno degli esempi più desolanti che mai sia stato offerto da un politico occidentale. Inutile dilungarsi su vicende che sono note. Basti ricordare l'uso avvilente e umiliante della donna.
L'autorità deve lasciarsi guidare dalla legge morale. Leggere queste parole della Dottrina sociale della Chiesa e metterle al confronto con la vita di Berlusconi fa capire l'abisso che esiste fra le due realtà, ma ci porta anche ad aumentare l'incredulità: quest'uomo è stato eletto con voti cattolici ed ha ricevuto il consenso di esponenti della gerarchia cattolica!
Ma andiamo avanti. Nel Compendio della dottrina sociale c'è un capitolo dedicato all'informazione, e anche sotto questo profilo l'insegnamento è assai chiaro. L'informazione, si precisa, è tra i principali strumenti di partecipazione democratica, perché non è immaginabile alcuna forma di partecipazione senza la conoscenza dei problemi della comunità e senza il possesso dei dati conoscitivi riguardanti chi governa. Ebbene, Berlusconi che cosa ha fatto, per anni e anni, se non cercare di condizionare a proprio favore l'informazione per evitare che la comunità avesse una conoscenza corretta della realtà? Quest'uomo, che ha sostenuto apertamente che la libertà di stampa non è un valore assoluto, come si pone rispetto a un insegnamento della Chiesa che sostiene la necessità di garantire il pluralismo dell'informazione agevolando, mediante leggi appropriate, condizioni di uguaglianza nel possesso e nell'uso dei mass media?
Lascia senza parole verificare come Berlusconi incarni, anche in questo campo, l'esatto contrario di quanto la Chiesa insegna. Tra gli ostacoli che si frappongono alla piena realizzazione del pluralismo e di quel diritto fondamentale che è l'obiettività dell'informazione, si legge nel Compendio, merita particolare attenzione il fenomeno delle concentrazioni editoriali e televisive, che hanno "pericolosi effetti per l'intero sistema democratico", specialmente "quando a tale fenomeno corrispondono legami sempre più stretti tra l'attività governativa, i poteri finanziari e l'informazione".
E che cosa dire a proposito dei contenuti culturali e morali veicolati dalle tv di cui Berlusconi è proprietario e delle quali ha in un modo o nell'altro assunto il controllo? La questione essenziale, afferma la dottrina sociale della Chiesa, è verificare se il sistema dell'informazione e dell'intrattenimento contribuisca a "rendere la persona umana migliore, cioè più matura spiritualmente, più cosciente della dignità della sua umanità, più responsabile, più aperta agli altri". Appunto.
Un'ultima annotazione riguarda l'alibi con il quale Berlusconi ha legittimato spesso le sue scelte, ovvero il consenso degli elettori. "Abbiamo i numeri per farlo, abbiamo il mandato degli elettori": questo ha sempre sostenuto. E che i numeri ci siano stati, per molti anni, è fuori discussione. Ma che cosa dice in proposito l'insegnamento della Chiesa? Ecco la risposta, tratta ancora una volta dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa: "Il solo consenso popolare non è tuttavia sufficiente a far ritenere giuste le modalità di esercizio dell'autorità politica". Si tratta di un punto centrale. Per il cristiano all'origine dell'autorità c'è la morale, ci sono quelle virtù di cui abbiamo parlato in precedenza. I soli numeri non bastano. Anzi, il cristiano sa bene che le maggioranze possono appoggiare scelte politiche moralmente sbagliate e i governanti possono guadagnarsi il consenso della maggioranza attraverso operazioni moralmente reprensibili. La legittimità morale dei governanti ha un modo per essere verificata: l'autorità deve emanare leggi giuste, cioè "conformi alla dignità della persona umana e ai dettami della retta ragione". Se questa conformità, come nel caso dei governi Berlusconi e delle leggi pro domo sua, è mancante, è dovere del cristiano non solo evitare di dare il proprio voto, ma denunciare apertamente l'autorità priva di principi morali.
Naturalmente Berlusconi è padronissimo di non conoscere la dottrina sociale della Chiesa o di farsene beffe, ma il punto non è questo. Il punto è che tantissimi cattolici hanno votato per lui e una parte importante della Chiesa istituzionale lo ha appoggiato!
Certo, molti di coloro che si dicono cattolici forse non sanno neppure che esista una dottrina della Chiesa in campo sociale e politico e non hanno mai sentito parlare di un testo come il Compendio. Già questa ignoranza dovrebbe costituire, di per sé, motivo di riflessione. Ma non è forse vero che un cattolico, anche in mancanza di queste conoscenze specifiche, dovrebbe pur sempre avere e utilizzare come bussola il Vangelo, dal quale alcuni valori discendono con chiarezza? Eccoci così alla domanda che mi sta a cuore, sul grado di consapevolezza culturale dei cattolici italiani e conseguentemente sulla loro capacità di elaborazione politica.
La mia tesi è che questo livello sia gravemente insufficiente e penso che una risposta circa il perché di tale insufficienza dovrebbe partire da un'approfondita analisi storica. Per esempio, quali sono le responsabilità della Dc? E quali quelle del ruinismo? Come si è arrivati a un moderatismo cattolico fatto di immobilismo, afasia e opportunismo con robuste venature clericali?
Ho citato il ruinismo e sarà dunque il caso di ricordare che durante quella stagione la Chiesa istituzione ha sperato a lungo di ottenere dal potere politico vantaggi sul fronte di alcuni valori "non negoziabili" come la difesa della vita e aiuti per la scuola non statale e la sanità cattolica. Ebbene, al posto di questo aiuto che cosa c'è stato?
Ci sono state affermazioni grottesche, come quando Berlusconi si è paragonato a De Gasperi, o quando, per guadagnarne il voto, si è dichiarato paladino del mondo cattolico senza tuttavia far seguire alcuna iniziativa concreta. E c'è stata la vicenda delle dimissioni di Dino Boffo, il direttore dell'Avvenire costretto a lasciare il quotidiano della Conferenza episcopale italiana dopo gli attacchi subiti da parte del Giornale, quotidiano di proprietà della famiglia Berlusconi, scatenato contro Boffo per alcune misurate osservazioni critiche fatte da questi nei confronti delle intemperanze morali del leader.
Ma Berlusconi si è reso responsabile di un atto se possibile ancora più odioso. E' successo quando nel 2002 Giovanni Paolo, con riferimento alle mire americane sull'Iraq, chiese di non lasciarsi imprigionare dalle logiche di scontro fra culture e di salvaguardare i diritti fondamentali dei popoli. Berlusconi applaudì, ma pochi giorno dopo, appiattendosi sulle posizioni di George Bush, diede il suo ok ai bombardamenti. Nel suo discorso al Parlamento italiano Papa Wojtyla chiese poi un segno di clemenza verso i detenuti e atti politici concreti a favore dell'occupazione e contro la povertà, e di nuovo da Berlusconi arrivarono applausi, ma niente venne fatto in proposito dal suo governo. Alla morte di Wojtyla, Berlusconi definì Giovanni Paolo II "un grande Papa", ma nei fatti si prese gioco di lui.

Questi, secondo me, sono i fatti, e su questo chiedo che si discuta tenendo ben presente la domanda che ho posto. Solo se saremo capaci di confrontarci a viso aperto, questi difficili vent'anni di storia italiana non saranno passati invano.