State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...
State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

venerdì 27 giugno 2014

due semplici ragionamenti sul Paradiso...

Solo Amore e Luce ha per confine

paradiso

Si parlava, la volta scorsa, di angeli, demoni e inferno. Proviamo quest’oggi a fare due semplici ragionamenti sul Paradiso: sarà certamente più difficile, anche perché con il male abbiamo di solito, una maggior dimestichezza.
Potremmo partire dalle esperienze di pre-morte, di cui ci parla Antonio Socci nel suo ultimo libro, Tornati dall’aldilà. In queste esperienze il Paradiso viene percepito come un luogo senza tempo, di luce e di amore. Siano vere “visioni” o meno, luce e amore vanno benissimo per il nostro discorso. Dante definisce proprio il Paradiso come il luogo che “solo amore e luce ha per confine”.
Ebbene, se pensiamo alla luce,
a questo corpo così sottile, impalpabile, capace di donare bellezza alle cose, viene inevitabile pensare alla conoscenza.

La luce è ciò che permette, a noi qui sulla terra, di vedere e di conoscere la realtà. Anche la comprensione intellettuale viene spesso definita “illuminazione”. Dunque il Paradiso non è il “luogo” dell’annullamento nirvanico, in cui tutto ciò che è stato si rivela nulla, né quello del godimento sensuale, come nella visione islamica, ma il luogo in cui conosceremo, definitivamente, integralmente, “faccia a faccia”: “Nella tua luce, vedremo la luce”. Lì troveremo ciò che di vero abbiamo cercato; comprenderemo ciò che di bello e buono abbiamo vagamente, saltuariamente, percepito.
Il grande logico-matematico Kurt Gödel, come ricorda il suo biografo Gabriele Lolli, sosteneva che “il mondo è ordinato razionalmente, ma senza una vita dopo la morte le potenzialità che gli esseri umani mostrano in vita e la preparazione che paiono fare non avrebbero senso. Il mondo come mostra la scienza presenta la più grande regolarità e ordine a ogni livello. Secondo la scienza ha avuto un inizio e avrà una fine nel nulla. Perché dovrebbe esserci solo questo mondo? L’essenza dell’essere umano ha una potenzialità di sviluppo talmente grande che non riesce ad analizzare se non in millesima parte. Le persone tuttavia, attraverso l’apprendimento, pervengono ad una vita migliore, dotata di maggior senso. Ma si impara soprattutto facendo errori e questi predominano in modo eccessivo nel corso della vita. La parte più consistente dell’apprendimento avverrà nella prossima vita”.

Un ragionamento analogo appartiene alla teologia tradizionale, a cui attingerò tramite un ottimo filosofo cattolico, Enrico Maria Radaelli, autore di un testo, “Ingresso alla bellezza” (Fede & Cultura), di rara profondità e originalità.
Scrive Radaelli: “la ragione – l’intelligenza, l’intelletto- è una cosa inarrestabile, è un moto che non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine. L’intelletto si muove, va avanti, va sempre avanti, non c’è nulla che lo fermi-nemmeno il nulla che non c’è – poiché davanti ad esso nessuna cosa è sufficientemente priva di essere da risucchiarne la vita: l’intelletto infatti è vivente, è la vita, è il vivente, è l’Essere stesso in atto”. Affermando, come Gödel, la possibilità sulla terra di una forma di conoscenza, per quanto limitata, contro lo scetticismo pirroniano, Radaelli aggiunge: “non solo è impossibile che sia impossibile, ma è anche impossibile che la conoscenza non giunga ad un termine estremo e conclusivo, ovvero è impossibile che essa non sia eterna, fuori del tempo, nel tuttoinsieme invulnerabile dalla morte…appena si dà la scintilla della conoscenza, appena si ha nel creato la conoscenza, essa, anche nel creato, è per sempre insopprimibile…perché tende a Dio, e finché non raggiunge il suo bene, Dio, non si arresta”.

San Tommaso scriveva che l’Essenza di Dio sarà insieme l’oggetto e il mezzo con cui la nostra anima compirà l’intellezione di Dio. Non sarà dunque un semplice contemplare qualcosa d’Altro, ma un abbeverarsi nella grandezza di Dio, toccando e non toccando con mano, non saprei come altrimenti dire, la profonda Alterità di Dio (un po’ come l’innamorato e l’innamorata, due e uno solo nello stesso tempo).
In parole semplici? Nel Paradiso la nostra sete di conoscere e capire si acquieterà in Dio; o meglio si “muoverà” in Lui, in un eterno presente. Lì la nostra esistenza terrestre e l’esistenza dell’universo si riveleranno non come illusioni, come nella dottrine orientali, ma come immagini; non come inganni, ma come tracce poste su un cammino che ha una meta; lì saranno massime la nostra conoscenza e la nostra autocoscienza, perché, come scriveva Boezio, l’eternità è “il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile”.

Oltre che conoscere Dio, in Paradiso, le anime lo amano e sono amate. Scrive Radaelli che la stesso Dio, Trinitario, è Essere, Intelletto, Amore, “nella loro triplice, infinita ed eterna attuazione. L’eternità di Dio esprime bene il dato della intrinseca inarrestabilità dell’intelligenza: Dio Trinità è vivente, intelligente, amante in atto ab aeterno e ad aternum”. Conoscenza e amore vanno insieme, si richiamano l’uno l’altro. Infatti la vita conoscitiva è “una vita di relazione, di partecipazione, di comunione”. Per questo nel Vangelo di San Giovanni Cristo è Logos, ma anche Amore. “Il regno dei cieli, ha scritto Madeleine Delbrêl, è l’amore personale, in Cristo, di Dio per ciascuno di noi, e di ciascuno di noi per ognuno degli altri”.

Il Foglio, 26/6/2014

dello stesso autore ....

Angeli e demoni  


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Nelle prediche di papa Francesco, accanto a riferimenti costanti alla Misericordia di Dio, non mancano quelli al demonio e all’Inferno. Anzi, non pochi osservatori si sono stupiti di quanto la figura di Satana compaia sovente nelle parole del pontefice, non come se si parlasse di un simbolo, bensì di una forza personale operante nella storia.Ma chi è il demonio?Anzitutto è bene ricordare che si tratta di un angelo, cioè di una creatura di Dio, di grande bellezza, ribellatasi al suo Creatore. Gli angeli, sostiene san Tommaso nella Quaestio 50 della prima parte della Summa, sono creature del tutto immateriali, puri spiriti senza materia, che, a differenza di Dio, ricevono l’essere,non lo possiedono originariamente, da sé (Thomas Tyn, Gli angeli in san Tommaso d’Aquino, Fede & Cultura, 2014). Dante li definisce “creati/ sì come sono, in loro essere intero”: in essi la materia non limita lo spirito, oppure, utilizzando un grande logico matematico che credeva nell’esistenza di intelligenze senza corpo, Kurt Godel, il cervello non limita, con la sua debolezza, la potenza e il “desiderio” della mente. Proprio sugli angeli, sul loro ruolo nella storia della Chiesa, dell’arte, della letteratura… è consigliabile un testo davvero completo e interessante, a cura di Saverio Gaeta e Marcello Stanzione, intitolato Inchiesta sugli angeli (Mondadori, 2014).Tra gli angeli, messaggeri di Dio, vi è dunque anche Lucifero, la cui colpa principale fu la superbia: quel peccato che oscura la capacità di vedere, di capire davvero. Anche tra gli uomini, le menti potenzialmente più brillanti ed acute possono raggiungere una straordinaria incapacità di comprensione, quando siano accecate proprio dall’orgoglio. Credo che si possa dire, in quest’ottica, che, come la superbia ottunde ed obnubila l’intelligenza, così l’umiltà l’acuisce e illumina. Di qui la frase di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Dove piccoli non significa, appunto, sciocchi, corti, ma umili, cioè davvero capaci di comprensione.Cosa fa e cosa vuole il demonio? Ce lo racconta l’esorcista Sante Babolin nel suo L’esorcismo (Messaggero, 2014) e in una intervista al settimanale Tempi. Interpellato con la domanda: “Chi sei tu?”, il demonio ha risposto: “Sono nessuno. Ho perduto il mio nome”. Come a dire che egli è colui che, separandosi definitivamente dal Creatore, ha smarrito ogni sua ragione di essere, e persino se stesso. Ecco perché viene definito, nella tradizione, il Menzognero, l’Omicida, il Distruttore, il Divisore… Il demonio esiste, ma vorrebbe non esistere più; è figlio della creazione, ma vive per la distruzione, sua e del mondo intero. Vuole annichilire tutto ciò che nel mondo indica comunione, amore, cioè ciò che lui ha voluto negare. Per questo, aggiunge Babolin, il demonio vuole profanare e distruggere la famiglia e l’eucaristia: ciò che unisce gli uomini tra loro, e il sacramento che unisce l’uomo a Dio.demone-con-donna
Il demonio dunque, nella teologia cattolica, è un essere personale che agisce nella storia. Su quanto sia grande la sua potenza, si è sempre discusso: vi è chi la sopravvaluta, dimenticando che Satana non è un dio; e chi la sottovaluta, e riduce il demonio ad un simbolo. Nella predicazione il pendolo si muove spesso tra gli estremi. Ma si fa un pessimo servizio alla fede, sia quando lo si trasforma nel burattinaio onnipotente, riducendo l’uomo a una comparsa, sia quando si nega del tutto la sua azione. Si va così, nella storia della Chiesa, dall’Inquisizione che nel Seicento colpisce spesso gli esorcisti, rei di vedere il diavolo ovunque, favorendo una religiosità talora cupa e pessimista, alla Chiesa di anni più recenti, che emargina questi importanti ministri, tace l’azione del demonio, annullando così, implicitamente, il senso dell’Incarnazione e dei sacramenti. Il diavolo, diceva sant’Agostino, è un cane alla catena: morde chi gli si avvicina.Se c’è il diavolo, c’è anche l’inferno (chi ci sia dentro, la Chiesa, che ha il potere di identificare alcuni salvati, i santi, non lo sa e non può saperlo). Potrà sembrare strano, ma non si tratta di una “invenzione” della Chiesa. La quale, al contrario, ha “inventato” il Paradiso. Michelangelo Tàbet, in Inferno e dintorni (a cura di Serafino Lanzetta, Cantagalli, 2010), ricorda proprio come nel mondo pre-cristiano l’aldilà fosse visto per lo più come un luogo infero, sotterraneo, buio, infelice. L’Ade greco è a lungo solo un luogo oscuro, senza speranza e senza beatitudine; presso i popoli dell’Oriente “domina un concetto di giustizia divina descritto non di rado come forza arbitraria, capricciosa, desiderosa di vendetta”; tra i “babilonesi la vita del giusto nell’oltretomba non era per niente desiderabile: un cammino senza ritorno, una realtà priva di luce, dove l’alimento è polvere e fango”…Certo, qua e là emerge, più o meno confusa, la necessità di una sorte diversa per buoni e malvagi, ma mentre gli inferi sono ben caratterizzati in modo negativo, la condizione dei giusti ha ben poco a che vedere con quella beatitudine che, secondo il Nuovo Testamento, è stata preparata per i buoni da un Dio definito, da san Giovanni, come “Amore”. Il Foglio, 19/6/2014

mercoledì 25 giugno 2014

La morte spiegata da una bambina con cancro terminale


La morte spiegata da una bambina 
con cancro terminale


Come oncologo con 29 anni di esperienza professionale, posso affermare di essere cresciuto e cambiato a causa dei drammi vissuti dai miei pazienti. Non conosciamo la nostra reale dimensione fino a quando, in mezzo alle avversità, non scopriamo di essere capaci di andare molto più in là.

Ricordo con emozione l'Ospedale Oncologico di Pernambuco, dove ho mosso i primi passi come professionista. Ho iniziato a frequentare l'infermeria infantile e mi sono innamorato dell'oncopediatria.

Ho assistito al dramma dei miei pazienti, piccole vittime innocenti del cancro. Con la nascita della mia prima figlia, ho cominciato a sentirmi a disagio vedendo la sofferenza dei bambini. Fino al giorno in cui un angelo è passato accanto a me!

Vedo quell'angelo nelle sembianze di una bambina di 11 anni, spossata da due lunghi anni di trattamenti diversi, manipolazioni, iniezioni e tutti i problemi che comportano i programmi chimici e la radioterapia. Ma non ho mai visto cedere quel piccolo angelo. L'ho vista piangere molte volte; ho visto anche la paura nei suoi occhi, ma è umano!

Un giorno sono arrivato in ospedale presto e ho trovato il mio angioletto solo nella stanza. Ho chiesto dove fosse la sua mamma. Ancora oggi non riesco a raccontare la risposta che mi diede senza emozionarmi profondamente.

“A volte la mia mamma esce dalla stanza per piangere di nascosto in corridoio. Quando sarò morta, penso che la mia mamma avrà nostalgia, ma io non ho paura di morire. Non sono nata per questa vita!”

“Cosa rappresenta la morte per te, tesoro?”, le chiesi.

“Quando siamo piccoli, a volte andiamo a dormire nel letto dei nostri genitori e il giorno dopo ci svegliamo nel nostro letto, vero? (Mi sono ricordato delle mie figlie, che all'epoca avevano 6 e 2 anni, e con loro succedeva proprio questo)”.

“È così. Un giorno dormirò e mio Padre verrà a prendermi. Mi risveglierò in casa Sua, nella mia vera vita!”

Rimasi sbalordito, non sapendo cosa dire. Ero scioccato dalla maturità con cui la sofferenza aveva accelerato la spiritualità di quella bambina.

“E la mia mamma avrà nostalgia”, aggiunse.

Emozionato, trattenendo a stento le lacrime, chiesi: “E cos'è la nostalgia per te, tesoro?”

“La nostalgia è l'amore che rimane!”

Oggi, a 53 anni, sfido chiunque a dare una definizione migliore, più diretta e più semplice della parola “nostalgia”: è l'amore che rimane!

Il mio angioletto se ne è andato già molti anni fa, ma mi ha lasciato una grande lezione che mi ha aiutato a migliorare la mia vita, a cercare di essere più umano e più affettuoso con i miei pazienti, a ripensare ai miei valori. Quando scende la notte, se il cielo è limpido e vedo una stella la chiamo il “mio angelo”, che brilla e risplende in cielo.

Immagino che nella sua nuova ed eterna casa sia una stella folgorante.

Grazie, angioletto, per la vita che ho avuto, per le lezioni che mi hai insegnato, per l'aiuto che mi hai dato. Che bello che esista la nostalgia! L'amore che è rimasto è eterno.

(Dr. Rogério Brandão, oncologo)

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

(Fonte: Aleteia)

martedì 24 giugno 2014

Meriam è libera ...l’hanno rilasciata e ora sta tornando a casa”

Meriam è libera!

DI ADMIN
Meriam Ibrahim with her daughter, who was born in Omdurman women's prison last week
“Meriam è libera, l’hanno rilasciata e ora sta tornando a casa”. Lo ha confermato alla Bbc Elshareef Ali, avvocato di Meriam Yahia Ibrahim Ishag, la donna cristiana condannata a morte in Sudan per apostasia per aver sposato un cristiano pur avendo padre musulmano. Oggi la sentenza è stata annullata dalla Corte d’appello. “Siamo molto felici e ora stiamo andando da lei”, ha aggiunto il legale.
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da Papa Francesco al Cammino NC ...STATUTI

Con una Lettera inviata all’iniziatore Kiko Argüello, viene riaffermata la validità degli Statuti approvati nel 2008 - Cammino.info

La Segreteria di Stato ha inviato lo scorso 3 aprile una lettera del Santo Padre a Kiko Argüello, iniziatore, insieme Carmen Hernández, del Cammino Neocatecumenale, confermando la prassi liturgica del Cammino riguardo all’Eucarestia e alla Veglia Pasquale. Nella Lettera, il Santo Padre conferma che “per quanto riguarda la celebrazione della veglia pasquale e dell’Eucaristia domenicale, (…) gli articoli 12 e 13 [degli Statuti], letti nella loro interezza, costituiscono, pertanto, il quadro normativo di riferimento“. Questa lettera è la risposta ad una missiva inviata in precedenza da Kiko Argüello al Papa, in cui manifestava la sua preoccupazione per alcune interpretazioni negative delle parole del Santo Padre rivolte a 12.000 neocatecumeni durante l’udienza del 1° febbraio 2014. Nella sua risposta, Papa Francesco non solo conferma la piena validità dello Statuto del Cammino Neocatecumenale, ma afferma di conoscere “molto bene il dinamismo evangelizzatore del Cammino Neocatecumenale, l’esperienza di vera conversione di vita di moltissimi fedeli e frutti di bene prodotti grazie alla presenza delle comunità in tutto il mondo“. Il Papa “conferma la sua paterna vicinanza” e “la sua parola affettuosa parola di incoraggiamento a Kiko Argüello e a tutti coloro che partecipano al Cammino.” E conclude assicurando l’iniziatore del Cammino la “vicinanza” e “il ricordo nel Signore” di Papa Francesco, mentre “manda con tutto il suo cuore a voi, all’equipe internazionale e a tutti i membri del Cammino Neocatecumenale la Benedizione Apostolica”. A più di un mese di distanza, abbiamo chiesto a Kiko Argüello di spiegarci il significato di questa lettera.
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Kiko, che significato ha la lettera di Papa Francesco?
Kiko Argüello: Nel corso dell’udienza che il Papa ebbe il 1° febbraio, Francesco inviò 450 famiglie in missione in Cina, Vietnam, India e Mongolia, così come in molte altre città in Europa e nel mondo. Nelle indicazioni fornite alle famiglie, pieno di gioia al vedere tanti figli, ha detto che a volte, per cercare la comunione con la diocesi dove le famiglie sono state inviate, si potrebbe cedere su “alcuni dettagli” in funzione della comunione ecclesiale con la diocesi. Siamo d’accordo che la comunione ecclesiale è molto importante, ma queste parole sono state lette fuori del contesto e interpretate negativamente da alcune persone non favorevoli al Cammino: immediatamente hanno tolto l’Eucaristia celebrata in comunità il sabato notte alla vigilia della domenica e hanno eliminato la Veglia pasquale delle comunità che è un danno terribile. Questo sviluppo mi ha spinto a scrivere una lettera al Papa esprimendo le mie preoccupazioni. Perché il problema è: chi decide quali sono i dettagli che possono essere rimossi? Forse che gli statuti approvati dalla Santa Sede non sono più validi? A causa di queste interpretazioni, alcuni parroci e vescovi hanno cominciato a cambiare la prassi liturgica del Cammino Neocatecumenale che è stato approvato nel 2008 da cinque Congregazioni della Santa Sede, dopo un processo durati diversi anni.
 Che valore ha, a questo riguardo, la risposta del Santo Padre?
Kiko Argüello: Il Santo Padre, in questa lettera inviata attraverso mons. Becciu, afferma che ciò che ha detto nelle indicazioni alle famiglie non tocca per nulla gli Statuti del Cammino Neocatecumenale e, citando l’articolo 12, che parla della Veglia pasquale, e l’articolo 13, che parla dell’Eucaristia del Cammino, afferma che “per quanto attiene alle celebrazioni della Veglia Pasquale e dell’Eucaristia domenicale”, essi sono “il quadro normativo di riferimento” per il Cammino. Quindi, grazie a Dio, il Papa ci ha salvato, perché i dettagli di un canto o di cose particolari possono essere cambiati – siamo d’accordo – ma qui abbiamo queste interpretazioni che sembravano annullare gli statuti. Siamo molto felici che il Papa ci vuole bene e ci difende.
Perché questi due articoli sono così importanti?
Kiko Argüello: L’articolo 13 è molto importante perché dice che il Cammino Neocatecumenale celebra l’Eucaristia dopo i primi vespri della domenica in piccole comunità, e che queste celebrazioni fanno parte della pastorale liturgica della parrocchia e sono aperte a tutti. Questa è una cosa meravigliosa perché le comunità sono piene di giovani e siamo riusciti a far sì che i giovani, invece di andare nelle discoteche il sabato sera, vengano all’Eucarestia della domenica. La Santa Sede, comprendendo questo motivo pastorale, ha permesso alcune concessioni per aiutare la partecipazione di tanti giovani. Per noi questo è fondamentale, perché alla fine il punto è uno solo: perché abbiamo così tanti figli?  È come se alcuni ci volessero punire per questo. Il fatto di aver obbedito all’Humanae Vitae ha fatto sì che siamo pieni di giovani e questi giovani sono tutti in Chiesa e da questi giovani nascono le vocazioni per i seminari. Ci sono cento seminari, dove si trovano le vocazioni che provengono da queste famiglie e questo il Papa lo ha capito molto bene.
Per quanto riguarda l’articolo 12, le comunità di tutto il mondo stanno aiutando le parrocchie a riscoprire la Veglia pasquale. La Santa Sede, nel documento fondamentale per la Veglia pasquale Paschalis Solemnitatis, esprimeva dolore vedendo che la Veglia pasquale, invece di essere “la madre di tutte le veglie” e il centro della vita liturgica dei Fedeli, è diventata invece in molte parrocchie soltanto una Messa vespertina. L’articolo 12 dello statuto stabilisce appunto che “il neocatecumenato stimolerà la parrocchia ad una celebrazione più ricca della veglia pasquale”. Il cardinale Cañizares, prefetto della Congregazione per il Culto Divino, ha sottolineato proprio questo ruolo delle comunità neocatecumenali dicendo che la Conferenza Episcopale polacca, ad esempio, ha ringraziato il Cammino perché sta aiutando a recuperare e riscoprire l’importanza della Veglia pasquale in tutta la Polonia.
*
Per il testo integrale della Lettera di mons. Angelo Becciu cliccare qui
fonte: http://www.zenit.org/it/articles/il-papa-conferma-la-liturgia-del-cammino-neocatecumenale

venerdì 20 giugno 2014

Farsi sedurre dalla vita con un sorriso


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Il nuovo libro per l'estate di Costanza Miriano


di Pippo Corigliano
Costanza Miriano nel suo libro più recente, “Obbedire è meglio”, mette insieme le due tecniche di racconto che prediligo. La prima è raccontare i fatti propri mescolandoli ai fatti degli altri. Sembra strano ma tanti ignorano quali sono i livelli di attenzione. Il primo livello è quando si raccontano i fatti propri (uno si chiede perché, ma è così).
Il secondo livello è quando si raccontano i fatti degli altri. Il terzo è quando si usano immagini, parabole, metafore, fiabe. Il quarto livello, il più basso, è quando si fanno teorie: in genere chi scrive ha studiato all’università ed ha assimilato il metodo scientifico, crede di essere almeno un piccolo Aristotele e riesce a far stramazzare di noia anche il più volenteroso lettore. Costanza ti seduce raccontandoti tutti i guai che ha combinato lungo la giornata assieme alla descrizione pittoresca di ciò che fa e non fa una sua amica e poi… Questo è il punto: ciò che spunta alla fine. Siamo condotti alla conclusione portati da una corrente di buonumore, come se andassimo nel paese dei balocchi e invece ci si trova ai vertici di un trattato di ascetica e mistica ovvero di un corso di teoria e tecnica della spiritualità e santificazione.
In fondo Costanza viene incontro ad un’esigenza forte e urgente che è la domanda di come ci si possa identificare con Cristo vivendo con molti figli, con l’orario d’ufficio, con le difficoltà del traffico, con i mille impegni necessari o superflui e dovendo pagare tante tasse.
Se uno scorre nel messale le festività dei santi trova una sequenza di personaggi meravigliosi (fondatori, regnanti, monaci, papi…) nessuno dei quali ha condotto una vita simile alla nostra. E allora bisogna trovare la strada, occorre inventarsela e Costanza ci racconta come se la inventa lei e ti offre una pista senza farti faticare.
Abbiamo un bel dire che la gente dovrebbe leggere di più, ma ci rendiamo conto qual è il genere di vita di un cittadino medio? Nell’800 si leggeva molto ma si aveva anche il tempo di un personaggio agreste di Tolstoj. Come si può pretendere che nei piccoli spazi di tempo disponibili uno si legga un mattone che forse leggerebbe volentieri se fosse in campagna su una sedia a dondolo? Perciò viva Costanza Miriano che ti seduce facendoti ridere e poi ti mette in testa lo stile di un vero mistico.
Morale: quest’estate portatevi sotto l’ombrellone “Obbedire è meglio”. Imparerete ad essere contenti di ciò che avete e ad evitare la nostalgia del magari: magari non mi fossi sposato, magari avessi studiato ingegneria… Oggi, adesso ho davanti il quadro della mia vocazione: sta nella mia vita così com’è. Là imparo ad amare Dio e gli altri e posso farlo sorridendo.

*

L’articolo toppato e il libro che non avrei mai pensato di leggere


di Chiara Beretta Mazzotta
Il titolo del pezzo è provocatorio: “Donne, imparate l’arte dell’obbedienza”. Ed è corredato da una foto tristanzuola con donna – non è una gara di bellezza, ovvio, ma manco di bruttezza– un po’ sciatta seduta in una chiesa deserta. Invitante no, non direi proprio.
Leggo e scopro che si parla di una autrice, Costanza Miriano, che ha all’attivo saggi comeSposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei. Stavolta si parla di Obbedire è meglio, sottotitolole regole della Compagnia dell’agnello.
Non credo ci voglia l’acume di Einstein per capire che il primo libro era rivolto alle donne, il secondo agli uomini e questo a entrambi i sessi. O forse sì. Fatto sta che, di primo acchito, l’intervista pare raccontarci di una tizia uscita dal Medioevo – giorno più giorno meno – un po’ mesta, seriosa e maschilista. Anzi, masochista, perché votata alla sottomissione al maschio e alla famiglia.
Premessa: sono atea claudicante (cioè alle volte qualche moto di conversione ce l’ho), sono nata in una famiglia cattolica ma che in chiesa ci andava pochino, ho frequentato 11 anni di scuola cattolica e l’università cattolica (e gli ultimi due punti potrebbero giustificare da soli l’inaridimento spirituale). In giovine età sono stata credente, convinta e lieta, crescendo non ne sono stata più capace. Confesso però una certa invidia verso chi vive la propria spiritualità con il sorriso, mettendola in pratica, facendo del bene e riuscendo a trovare sostegno fuori da sé. Al contrario detesto i baciapile, i blateroni che fanno i teologi illuminati ma sono incapaci d’amore e/o rispetto verso il prossimo, quelli che aiutano i bimbi del Congo ma i propri figli manco li filano e trattano moglie, colleghi e umani tutti come servi.
A questi punti do una sbirciatina in rete. La Miriano ha una faccia sorridente e simpatica, distante qualche luna dall’immagine tristanzuola
costanza-e-lavinia suggerita dal pezzo di “D Repubblica”. Leggo qualche post su Facebook e direi che ha pure senso dell’umorismo. Quindi compro l’ebook ché ’sta faccenda dell’obbedienza, agnello compreso, mi incuriosisce assai.
E rido. Rido un mucchio. Il paragone più banale potrebbe essere con la Sarah Jessica Parker di Ma come fa a far tutto? in versione cattolica però.
L’autrice è sposata, ha quattro figli, è giornalista (lavora per Rai Vaticano) e di notte scrive i suoi romanzi. E ci racconta di una obbedienza alla vita intesa come allontanamento dal proprio egocentrismo (dalla “propria voce”), un affidarsi all’altro e all’esistenza che ci viene data. Non in modo passivo, perché si tratta di accogliere e trasformare, un bel lavoro insomma. Obbedire nel senso di essere docili, ascoltare. Tenendo a bada quell’emotività che spesso equivale all’insoddisfazione capricciosa che ci divora facendoci zigzagare alla ricerca di qualcosa d’altro, di meglio, di boh. Gli Agnelli sono le persone cui fare affidamento: gli amici veri (simboli di obbedienza nel lavoro, nella famiglia…), il marito, i figli. Una rete che ci àncora, ci critica amandoci, ci sostiene (nessun uomo è un’isola, insomma). Inutile dire che LA guida è una e una sola: Dio.
Costanza_Miriano FBIl tutto viene raccontato con aneddoti piuttosto gustosi a base di inciampi quotidiani e altri disastri con divagazioni su diete, corna, cura di sé, trucco e parrucco compresi. La Miriano sa prendersi in giro ed è portatrice sana di un ego normodotato. Però, per un’ateaccia come la sottoscritta, svariate affermazioni sono distanti e inconcepibili: andare a messa tutti i giorni trovandolo un modo per ricaricare le pile, evitare tutti gli stratagemmi che ci fanno stare al sicuro nella vita (e sono tanti tra i quali spicca pure il controllo delle nascite) e parecchio altro… storco il naso e sbuffo pure, ma non è colpa della Miriano, al massimo mia e della mia fede latitante.
“Curiosità” è una delle poche parole che mi sentirei di usare in risposta alla domanda “qual è il tuo miglior pregio?” e sono lieta di averla
Screenshot 2014-06-20 11.45.34soddisfatta leggendo questo libro. Perché è buono, pensato con amore, motivato in ogni sua parte. E leggero (non facile, banale, furbetto), leggero perché sono state eliminate le inutili zavorre. Direi che la Miriano fa con la fede quello che io cerco di fare con i libri: toglie la polvere, gli stereotipi, l’immagine triste e noiosa del credente tipo. E lo sa fare bene.
Le uniche note stonate? Non sono nel libro ma nel pezzo di “D Repubblica”. Chi lo ha titolato non ha capito un tubo di tutta la faccenda. E la giornalista ha posto domande banali e fuorvianti che nel complesso sembrano voler confermare al lettore l’idea che nel libro si parli di una donna che si fa mettere i piedi in testa. Una occasione mancata, insomma. La carta cosa, come dice Alino Milan su Radio24, e andrebbe impiegata meglio.

Obbedire è meglio. "compagnia dell'agnello"

Costanza Miriano invita i suoi lettori ad unirsi alla "compagnia dell'agnello"
Dopo lo straordinario successo di Sposati e sii sottomessa e Sposala e muori per lei, autentici casi letterari tra il 2011 e il 2012, con oltre 80mila copie vendute, Costanza Miriano ha ripreso a scalare le classifiche dei bestseller con il suo terzo libro Obbedire è meglio. Le regole della compagnia dell’agnello (Sonzogno, 2014).
Andando oltre i consueti temi della famiglia e dei rapporti uomo-donna, la Miriano si è soffermata sul desiderio umano di felicità, individuandone la chiave proprio nell’obbedienza, che non ha nulla a che vedere con l’azzeramento dello spirito critico, ma riguarda piuttosto la fedeltà alla propria vocazione (di moglie o di marito, ad esempio) da un lato, e alla natura e alla realtà, dall’altro.
Al contrario, tanto più l’essere umano diventa schiavo dei propri sentimenti e del proprio io, quanto più sarà irrequieto e frustrato.
Con la consueta ironia, Costanza Miriano descrive vari tipi di obbedienza. Questo atteggiamento non è mai unidirezionale ma comporta una reciprocità: si può obbedire alla società, alla vita, alla famiglia, al lavoro, agli amici, accettando i loro consigli. La moglie obbedisce al marito, così come il marito obbedisce alla moglie, i figli obbediscono ai genitori e perfino i genitori, per certi versi… obbediscono ai figli!
La “compagnia dell’agnello” menzionata nel titolo non è altro che l’insieme dei piccoli grandi eroi della vita quotidiana, uomini e donne che si rimboccano le maniche, che sfidano tutte le crisi, che riescono a crescere i loro figli, e che sono un esempio positivo per chiunque è intorno a loro.
A colloquio con ZENIT, la scrittrice ha raccontato lo spirito che anima il suo ultimo libro.
Il tuo primo libro era dedicato alle donne e alle mogli, il secondo agli uomini e ai mariti. Anche il terzo è rivolto ad un pubblico specifico?
Volevo un po’ uscire dai temi maschile-femminile dei miei primi due libri, in cui rischiavo di rimanere intrappolata. Il tentativo era molto ambizioso: una critica dell’antropologia contemporanea, secondo la quale l’uomo deve ascoltare se stesso e realizzare se stesso, mentre la proposta cristiana è fondamentalmente nella relazione con un Altro, con un Padre che ci ama. Il discorso ambizioso, quindi, era quello di riflettere su chi è l’uomo per noi cristiani e io ho cercato di farlo con un linguaggio divertente. Anzi, proprio perché dovevo parlare di croce, di fatica e di obbedienza, ho premuto più del solito l’acceleratore sugli aspetti ironici e divertenti che la vita e l’obbedienza, alla fine, portano alla luce, e sulla sproporzione tra quello che vogliamo e quello che viviamo.
Che differenza c’è tra la sottomissione e l’obbedienza?
In un altro passaggio San Paolo usa l’espressione “reciprocamente sottomessi” (cfr. Ef5,21), tuttavia nel primo libro facevo riferimento al desiderio di controllo femminile. L’obbedienza fa riferimento soprattutto al rapporto con Dio, quindi comporta un discorso diverso.
Cosa rappresenta la “compagnia dell’agnello”?
Sono i miei amici in Cristo, fratelli nella fede, persone che mi hanno mostrato la bellezza dell’obbedienza in situazioni difficili, alla fatica, alla propria chiamata, alla propria vocazione. Io credo che abbiamo bisogno della Chiesa, di una compagnia, di un’amicizia, per vedere che quello che ci viene richiesto non è impossibile, ma anche di qualcuno che ci testimoni che è bello vivere questo.
Se fosse stato sufficiente mandarci un libro o una lettera, Gesù non avrebbe fondato la Chiesa, anzi avrebbe scritto Lui stesso direttamente. Invece i Vangeli sono nati da un passaparola, dalla necessità di raccontare. Dio non ci dà delle “istruzioni per l’uso” disincarnate ma ci mette sempre accanto delle persone che incarnano una strada possibile, con tutti i limiti, i peccati, le debolezze e le cadute. Quindi, tutto quello che ho imparato, l’ho visto prima vivere da altri: le madri, le spose, chi segue i metodi naturali, chi accoglie i figli… Ho sempre visto fare queste cose e vedere la felicità di altre persone mi ha in qualche modo provocato.
La notorietà ti ha fatto guadagnare molte nuove amicizie. Cosa rappresenta per te l’amicizia?
Proprio oggi riflettevo sul fatto che forse ho perso qualche vecchio amico. È difficile gestire tutto e probabilmente avere così tanti amici ti fa perdere, non dico la profondità ma quantomeno la consuetudine nei vecchi rapporti e di questo un po’ mi dispiace. Il dono più grande, però, è quello di avere conosciuto – attraverso i miei libri – molte persone significative, belle e importanti. In loro ho visto la carità dei cristiani in atto nei miei confronti e anche tra di loro. Ho sperimentato quanto l’amicizia tra cristiani sia una cosa significativa. Dall’amicizia non si può prescindere, bisogna viverla, incarnarla, condividere, spezzare il pane insieme, perché è importantissimo vedere che altri fratelli stanno vivendo la tua fatica o la tua difficoltà.
Il tuo successo come scrittrice ti ha mai esposto a tentazioni (ad esempio la vanità)?
Sicuramente. Tutto quello che ho scritto, penso sia credibile nella misura in cui l’ho vissuto nella fedeltà al mio quotidiano, a tutto quello che ho fatto negli anni della fatica, quando avevo i bambini piccoli. Poi mi sono un po’ goduta la vita e c’è stato il rischio delle lusinghe – non tanto del successo, perché con i libri non si diventa ricchi, in compenso hai tante soddisfazioni – il rischio di perdere il contatto con la propria realtà e la propria misura. Quindi mi sono posta il problema se mollare o aggiustare il tiro. Scrivo perché mi gratifica ma anche perché è un servizio. Mi rendo conto che c’è bisogno di questo servizio nella Chiesa: vedere persone normali che cercano di portare un po’ di allegria e di buonumore. Credo ci sia del bene anche nel rischio del male.
L. Marcolivio


Farsi sedurre dalla vita con un sorriso

DI AUTORI VARI
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di Pippo Corigliano
Costanza Miriano nel suo libro più recente, “Obbedire è meglio”, mette insieme le due tecniche di racconto che prediligo. La prima è raccontare i fatti propri mescolandoli ai fatti degli altri. Sembra strano ma tanti ignorano quali sono i livelli di attenzione. Il primo livello è quando si raccontano i fatti propri (uno si chiede perché, ma è così).
Il secondo livello è quando si raccontano i fatti degli altri. Il terzo è quando si usano immagini, parabole, metafore, fiabe. Il quarto livello, il più basso, è quando si fanno teorie: in genere chi scrive ha studiato all’università ed ha assimilato il metodo scientifico, crede di essere almeno un piccolo Aristotele e riesce a far stramazzare di noia anche il più volenteroso lettore. Costanza ti seduce raccontandoti tutti i guai che ha combinato lungo la giornata assieme alla descrizione pittoresca di ciò che fa e non fa una sua amica e poi… Questo è il punto: ciò che spunta alla fine. Siamo condotti alla conclusione portati da una corrente di buonumore, come se andassimo nel paese dei balocchi e invece ci si trova ai vertici di un trattato di ascetica e mistica ovvero di un corso di teoria e tecnica della spiritualità e santificazione.
In fondo Costanza viene incontro ad un’esigenza forte e urgente che è la domanda di come ci si possa identificare con Cristo vivendo con molti figli, con l’orario d’ufficio, con le difficoltà del traffico, con i mille impegni necessari o superflui e dovendo pagare tante tasse.
Se uno scorre nel messale le festività dei santi trova una sequenza di personaggi meravigliosi (fondatori, regnanti, monaci, papi…) nessuno dei quali ha condotto una vita simile alla nostra. E allora bisogna trovare la strada, occorre inventarsela e Costanza ci racconta come se la inventa lei e ti offre una pista senza farti faticare.
Abbiamo un bel dire che la gente dovrebbe leggere di più, ma ci rendiamo conto qual è il genere di vita di un cittadino medio? Nell’800 si leggeva molto ma si aveva anche il tempo di un personaggio agreste di Tolstoj. Come si può pretendere che nei piccoli spazi di tempo disponibili uno si legga un mattone che forse leggerebbe volentieri se fosse in campagna su una sedia a dondolo? Perciò viva Costanza Miriano che ti seduce facendoti ridere e poi ti mette in testa lo stile di un vero mistico.
Morale: quest’estate portatevi sotto l’ombrellone “Obbedire è meglio”. Imparerete ad essere contenti di ciò che avete e ad evitare la nostalgia del magari: magari non mi fossi sposato, magari avessi studiato ingegneria… Oggi, adesso ho davanti il quadro della mia vocazione: sta nella mia vita così com’è. Là imparo ad amare Dio e gli altri e posso farlo sorridendo.
 

mercoledì 18 giugno 2014

Il più grande peccato che possiamo fare è presumere che il peccato altrui non ci tocchi.


Peccato originale

di Paolo Curtaz


“Amavo un’altra, ora datemi il massimo della pena”. Leggo sui giornali la macabra storia del marito che, invaghito di una collega e non corrisposto, immagina nei suoi oscuri meandri mentali di tornare ad essere single per avere una qualche opportunità e, dopo averci fatto l’amore, sgozza la moglie, uccide nel sonno i due figli poi […]

Noi abitualmente (il demonio) ...


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  ALTRUI  


Il più grande peccato che possiamo fare è presumere che il peccato altrui non ci tocchi.

IL FIATO DEL DEMONIO E LA NOSTRA LIBERTÀ

UN BELLISSIMO ARTICOLO TRATTO DAL QUOTIDIANO AVVENIRE.




Noi abitualmente (il demonio) non lo nominiamo; eppure lui lavora, tarla, disfa. Anche più forte, in un tempo che vuole ignorare il peccato, e che fa a meno del perdono di Dio.



di Marina Corradi

E al trentacinquesimo minuto, gol! Tutti esultano davanti allo schermo, in un pub nel Pavese. Un bel ragazzo bruno tifa e urla come gli altri. Ed è qui che ci troviamo sull’orlo di un abisso. Come poteva Carlo Lissi guardare la partita, mentre a casa la moglie e i suoi due bambini giacevano nel sangue? La vicenda di Motta Visconti toglie il fiato. Nello stesso giorno in cui viene fermato, ci assicurano, l’assassino di Yara Gambirasio. Se è vero, anche a Brembate a uccidere è stato un padre di famiglia, con tre figli coetanei di quella bambina trovata morta in un campo, dopo mesi.

È stato un padre, anche a Motta Visconti. E non nell’attimo di un raptus. C’è invece come il filo di una sostanza fredda, che percorre quest’ultima tragedia di provincia. Eppure Carlo Lissi – hanno raccontato i vicini – a Giulia, la figlia maggiore, 5 anni, voleva montare la piscinetta in giardino, e poche sere fa le insegnava a pattinare. E allora, chi, che cosa è stato?, ci chiediamo sgomenti. Perché fra esseri umani, normalmente, ci capiamo: possiamo arrivare a capire chi ruba, e perfino forse chi uccide, per vendetta, o per soldi. Ma uccidere due figli piccoli nel sonno, quando sono abbandonati e innocenti come agnelli, no, questo non riusciamo proprio a capirlo. Ci interroghiamo fra amici, fra colleghi: follia? Eppure perfino la scelta della sera della partita, con il suo baccano, sembra lucidamente pensata. E la finta rapina messa in scena? Ecco quel filo – freddo, calmo. Se non follia, allora che cosa? Ci mancano le parole, o forse non osiamo pronunciare quella che ci viene in mente. Il diavolo, probabilmente, dice infine qualcuno; con imbarazzo, perché di quella parola un po’ ci vergogniamo come fosse, il diavolo, una favola per bambini. Il diavolo, robabilmente, annuisce allora un altro; non sapendo, non potendo spiegare altrimenti quel gioire per l’Italia, con negli occhi la festa della morte, là a casa.

Il diavolo: ma non lo diciamo forse con sgomento, eppure con una punta di sollievo? Così come nei delitti nei paesi la reazione istintiva degli abitanti è affermare che è stato qualcuno che veniva da fuori, così anche fra noi l’evocare il diavolo potrebbe in qualche modo sgravare la tragedia della sua umana drammaticità. Perché insomma, se quel padre sabato scorso, o quell’altro, in una notte di novembre, avevano il diavolo nel cuore, non erano in quel momento proprio uomini come noi: erano portati via come rami in una piena, erano trascinati da qualcosa di più grande e terribile di loro. Ma quel demonio che Papa Francesco nomina spesso e apertamente, passa attraverso la libertà degli uomini. Ci deve essere un consenso al male, perché lo spazio per quel male nel cuore si faccia così largo, perché un disegno di morte si stabilisca nel petto – come in un nido. Il padre di Motta Visconti ha spiegato la sua ‘logica’: la moglie e i figli, ha detto, gli erano ormai d’ostacolo, innamorato come era di un’altra. Ostacolo, quei figli amati fino a non molto tempo fa. Che accecamento: i tuoi bambini, una all’asilo, l’altro che barcolla nei primi passi, «ostacolo». Qualcuno, certamente un nemico, nel tempo deve avere sussurrato, sobillato nel cuore di quell’uomo; e non ha trovato, a resistergli, né fedeltà né memoria. Il nemico soffiava e l’io in quell’uomo si gonfiava, egocentrico, fino a sommergere e annichilire tutto, attorno a sé. Come, forse, è accaduto quella sera del 2010 nella Bergamasca. Quando un padre di famiglia non ha visto, in una bambina di 13 anni, una figlia uguale ai figli suoi, ma solo una inerme povera preda.

Nel suo penultimo Angelus Benedetto XVI ci aveva parlato, come in un monito, proprio di questa eterna sfida, e del continuo dover scegliere, gli uomini, fra l’io, e Dio. In una tragedia come quella di Motta Visconti si vede di cosa può essere capace, se lo si asseconda, il nemico. Noi abitualmente non lo nominiamo; eppure lui lavora, tarla, disfa. Anche più forte, in un tempo che vuole ignorare il peccato, e che fa a meno del perdono di Dio.
Quando fu, dunque, l’attimo in cui quel padre di tre figli si incapricciò di Yara, una bambina? E quando, quanto tempo fa è stato, in una villetta del Pavese, l’istante in cui una moglie e due figli, d’improvviso, sono apparsi «ostacolo»? L’attimo della scelta, magari in una sera come tante, è con la sua vertigine ciò che più dovrebbe spaventarci. La frazione di secondo in cui un uomo spalanca il cuore all’antico nemico. Poi, il resto, è assurdo come l’incubo di un ubriaco. Tre anni e mezzo di vita con una maschera in volto, il lavoro, le tasse, le vacanze, per l’assassino di Yara; oppure, come l’altra notte a Motta Visconti, il giovane padre che gridava ai gol dell’Italia come se niente fosse veramente accaduto.


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APPROFONDIMENTI...


«Oggi, noi chiamiamo amore l'unione di due solitudini: ognuno vive il suo sogno con proprie sensazioni e propri colori e vi trasporta l'immagine dell'altro. La relazione di due individualità così distinte non è una relazione propriamente detta, essa è costantemente minacciata dal pericolo della fusione. Chi vuole diventare "padrone dell'altro" arriva alla "negazione dell'altro" o peggio al "cannibalismo". L'egoismo della passione impedisce di riconoscere nel partner un essere altro e il risultato è una sempre maggiore spinta alla separazione della coppia. Non sempre la crisi o la rottura costituiscono un'eventualità negativa, spesso, infatti, è proprio quello il momento del riconoscimento dell'esistenza dell'altro e della possibilità dell'inizio di una relazione sana» (Marc Augé, antropologo - sintesi)
VincoloDiMandato

contunua a leggere      >>> AMORE E DISTRUZIONE  SCRITTO DA MADDALENA NEGRI 

Perdonare o punire?

DI ANDREAS HOFER
cristo-adultera
di Andreas Hofer
Funzione penale della città. Bisognerebbe che con la punizione il criminale si sentisse reintegrato nella città e non escluso.
(Simone Weil)
Cala nell’intimo un senso di profonda costernazione dinanzi a raggelanti fatti di sangue come la brutale uccisione di Motta Visconti, l’anonima frazione della provincia milanese dove un padre di famiglia ha trucidato la moglie e due figlioletti ancora in tenera età.
Non è certo di conforto, in simili occasioni, il meccanismo mediatico che sembra imporsi nell’opinione pubblica, dove va in scena, secondo un copione ormai consolidato, una rituale disputa tra i partigiani della misericordia e i propugnatori della giustizia, con i primi a invocare il perdono senza condizioni e i secondi ad appellarsi a punizioni assolutamente esemplari.
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