Solo Amore e Luce ha per confine
Si parlava, la volta scorsa, di angeli, demoni e inferno. Proviamo quest’oggi a fare due semplici ragionamenti sul Paradiso: sarà certamente più difficile, anche perché con il male abbiamo di solito, una maggior dimestichezza.
Potremmo partire dalle esperienze di pre-morte, di cui ci parla Antonio Socci nel suo ultimo libro, Tornati dall’aldilà. In queste esperienze il Paradiso viene percepito come un luogo senza tempo, di luce e di amore. Siano vere “visioni” o meno, luce e amore vanno benissimo per il nostro discorso. Dante definisce proprio il Paradiso come il luogo che “solo amore e luce ha per confine”.
Ebbene, se pensiamo alla luce,
a questo corpo così sottile, impalpabile, capace di donare bellezza alle cose, viene inevitabile pensare alla conoscenza.
La luce è ciò che permette, a noi qui sulla terra, di vedere e di conoscere la realtà. Anche la comprensione intellettuale viene spesso definita “illuminazione”. Dunque il Paradiso non è il “luogo” dell’annullamento nirvanico, in cui tutto ciò che è stato si rivela nulla, né quello del godimento sensuale, come nella visione islamica, ma il luogo in cui conosceremo, definitivamente, integralmente, “faccia a faccia”: “Nella tua luce, vedremo la luce”. Lì troveremo ciò che di vero abbiamo cercato; comprenderemo ciò che di bello e buono abbiamo vagamente, saltuariamente, percepito.
Il grande logico-matematico Kurt Gödel, come ricorda il suo biografo Gabriele Lolli, sosteneva che “il mondo è ordinato razionalmente, ma senza una vita dopo la morte le potenzialità che gli esseri umani mostrano in vita e la preparazione che paiono fare non avrebbero senso. Il mondo come mostra la scienza presenta la più grande regolarità e ordine a ogni livello. Secondo la scienza ha avuto un inizio e avrà una fine nel nulla. Perché dovrebbe esserci solo questo mondo? L’essenza dell’essere umano ha una potenzialità di sviluppo talmente grande che non riesce ad analizzare se non in millesima parte. Le persone tuttavia, attraverso l’apprendimento, pervengono ad una vita migliore, dotata di maggior senso. Ma si impara soprattutto facendo errori e questi predominano in modo eccessivo nel corso della vita. La parte più consistente dell’apprendimento avverrà nella prossima vita”.
Un ragionamento analogo appartiene alla teologia tradizionale, a cui attingerò tramite un ottimo filosofo cattolico, Enrico Maria Radaelli, autore di un testo, “Ingresso alla bellezza” (Fede & Cultura), di rara profondità e originalità.
Scrive Radaelli: “la ragione – l’intelligenza, l’intelletto- è una cosa inarrestabile, è un moto che non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine. L’intelletto si muove, va avanti, va sempre avanti, non c’è nulla che lo fermi-nemmeno il nulla che non c’è – poiché davanti ad esso nessuna cosa è sufficientemente priva di essere da risucchiarne la vita: l’intelletto infatti è vivente, è la vita, è il vivente, è l’Essere stesso in atto”. Affermando, come Gödel, la possibilità sulla terra di una forma di conoscenza, per quanto limitata, contro lo scetticismo pirroniano, Radaelli aggiunge: “non solo è impossibile che sia impossibile, ma è anche impossibile che la conoscenza non giunga ad un termine estremo e conclusivo, ovvero è impossibile che essa non sia eterna, fuori del tempo, nel tuttoinsieme invulnerabile dalla morte…appena si dà la scintilla della conoscenza, appena si ha nel creato la conoscenza, essa, anche nel creato, è per sempre insopprimibile…perché tende a Dio, e finché non raggiunge il suo bene, Dio, non si arresta”.
San Tommaso scriveva che l’Essenza di Dio sarà insieme l’oggetto e il mezzo con cui la nostra anima compirà l’intellezione di Dio. Non sarà dunque un semplice contemplare qualcosa d’Altro, ma un abbeverarsi nella grandezza di Dio, toccando e non toccando con mano, non saprei come altrimenti dire, la profonda Alterità di Dio (un po’ come l’innamorato e l’innamorata, due e uno solo nello stesso tempo).
In parole semplici? Nel Paradiso la nostra sete di conoscere e capire si acquieterà in Dio; o meglio si “muoverà” in Lui, in un eterno presente. Lì la nostra esistenza terrestre e l’esistenza dell’universo si riveleranno non come illusioni, come nella dottrine orientali, ma come immagini; non come inganni, ma come tracce poste su un cammino che ha una meta; lì saranno massime la nostra conoscenza e la nostra autocoscienza, perché, come scriveva Boezio, l’eternità è “il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile”.
Oltre che conoscere Dio, in Paradiso, le anime lo amano e sono amate. Scrive Radaelli che la stesso Dio, Trinitario, è Essere, Intelletto, Amore, “nella loro triplice, infinita ed eterna attuazione. L’eternità di Dio esprime bene il dato della intrinseca inarrestabilità dell’intelligenza: Dio Trinità è vivente, intelligente, amante in atto ab aeterno e ad aternum”. Conoscenza e amore vanno insieme, si richiamano l’uno l’altro. Infatti la vita conoscitiva è “una vita di relazione, di partecipazione, di comunione”. Per questo nel Vangelo di San Giovanni Cristo è Logos, ma anche Amore. “Il regno dei cieli, ha scritto Madeleine Delbrêl, è l’amore personale, in Cristo, di Dio per ciascuno di noi, e di ciascuno di noi per ognuno degli altri”.
Il Foglio, 26/6/2014
Si parlava, la volta scorsa, di angeli, demoni e inferno. Proviamo quest’oggi a fare due semplici ragionamenti sul Paradiso: sarà certamente più difficile, anche perché con il male abbiamo di solito, una maggior dimestichezza.
Potremmo partire dalle esperienze di pre-morte, di cui ci parla Antonio Socci nel suo ultimo libro, Tornati dall’aldilà. In queste esperienze il Paradiso viene percepito come un luogo senza tempo, di luce e di amore. Siano vere “visioni” o meno, luce e amore vanno benissimo per il nostro discorso. Dante definisce proprio il Paradiso come il luogo che “solo amore e luce ha per confine”.
Ebbene, se pensiamo alla luce,
a questo corpo così sottile, impalpabile, capace di donare bellezza alle cose, viene inevitabile pensare alla conoscenza.
La luce è ciò che permette, a noi qui sulla terra, di vedere e di conoscere la realtà. Anche la comprensione intellettuale viene spesso definita “illuminazione”. Dunque il Paradiso non è il “luogo” dell’annullamento nirvanico, in cui tutto ciò che è stato si rivela nulla, né quello del godimento sensuale, come nella visione islamica, ma il luogo in cui conosceremo, definitivamente, integralmente, “faccia a faccia”: “Nella tua luce, vedremo la luce”. Lì troveremo ciò che di vero abbiamo cercato; comprenderemo ciò che di bello e buono abbiamo vagamente, saltuariamente, percepito.
Il grande logico-matematico Kurt Gödel, come ricorda il suo biografo Gabriele Lolli, sosteneva che “il mondo è ordinato razionalmente, ma senza una vita dopo la morte le potenzialità che gli esseri umani mostrano in vita e la preparazione che paiono fare non avrebbero senso. Il mondo come mostra la scienza presenta la più grande regolarità e ordine a ogni livello. Secondo la scienza ha avuto un inizio e avrà una fine nel nulla. Perché dovrebbe esserci solo questo mondo? L’essenza dell’essere umano ha una potenzialità di sviluppo talmente grande che non riesce ad analizzare se non in millesima parte. Le persone tuttavia, attraverso l’apprendimento, pervengono ad una vita migliore, dotata di maggior senso. Ma si impara soprattutto facendo errori e questi predominano in modo eccessivo nel corso della vita. La parte più consistente dell’apprendimento avverrà nella prossima vita”.
Un ragionamento analogo appartiene alla teologia tradizionale, a cui attingerò tramite un ottimo filosofo cattolico, Enrico Maria Radaelli, autore di un testo, “Ingresso alla bellezza” (Fede & Cultura), di rara profondità e originalità.
Scrive Radaelli: “la ragione – l’intelligenza, l’intelletto- è una cosa inarrestabile, è un moto che non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine. L’intelletto si muove, va avanti, va sempre avanti, non c’è nulla che lo fermi-nemmeno il nulla che non c’è – poiché davanti ad esso nessuna cosa è sufficientemente priva di essere da risucchiarne la vita: l’intelletto infatti è vivente, è la vita, è il vivente, è l’Essere stesso in atto”. Affermando, come Gödel, la possibilità sulla terra di una forma di conoscenza, per quanto limitata, contro lo scetticismo pirroniano, Radaelli aggiunge: “non solo è impossibile che sia impossibile, ma è anche impossibile che la conoscenza non giunga ad un termine estremo e conclusivo, ovvero è impossibile che essa non sia eterna, fuori del tempo, nel tuttoinsieme invulnerabile dalla morte…appena si dà la scintilla della conoscenza, appena si ha nel creato la conoscenza, essa, anche nel creato, è per sempre insopprimibile…perché tende a Dio, e finché non raggiunge il suo bene, Dio, non si arresta”.
San Tommaso scriveva che l’Essenza di Dio sarà insieme l’oggetto e il mezzo con cui la nostra anima compirà l’intellezione di Dio. Non sarà dunque un semplice contemplare qualcosa d’Altro, ma un abbeverarsi nella grandezza di Dio, toccando e non toccando con mano, non saprei come altrimenti dire, la profonda Alterità di Dio (un po’ come l’innamorato e l’innamorata, due e uno solo nello stesso tempo).
In parole semplici? Nel Paradiso la nostra sete di conoscere e capire si acquieterà in Dio; o meglio si “muoverà” in Lui, in un eterno presente. Lì la nostra esistenza terrestre e l’esistenza dell’universo si riveleranno non come illusioni, come nella dottrine orientali, ma come immagini; non come inganni, ma come tracce poste su un cammino che ha una meta; lì saranno massime la nostra conoscenza e la nostra autocoscienza, perché, come scriveva Boezio, l’eternità è “il possesso intero, perfetto e simultaneo di una vita interminabile”.
Oltre che conoscere Dio, in Paradiso, le anime lo amano e sono amate. Scrive Radaelli che la stesso Dio, Trinitario, è Essere, Intelletto, Amore, “nella loro triplice, infinita ed eterna attuazione. L’eternità di Dio esprime bene il dato della intrinseca inarrestabilità dell’intelligenza: Dio Trinità è vivente, intelligente, amante in atto ab aeterno e ad aternum”. Conoscenza e amore vanno insieme, si richiamano l’uno l’altro. Infatti la vita conoscitiva è “una vita di relazione, di partecipazione, di comunione”. Per questo nel Vangelo di San Giovanni Cristo è Logos, ma anche Amore. “Il regno dei cieli, ha scritto Madeleine Delbrêl, è l’amore personale, in Cristo, di Dio per ciascuno di noi, e di ciascuno di noi per ognuno degli altri”.
Il Foglio, 26/6/2014
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Angeli e demoni
Nelle prediche di papa Francesco, accanto a riferimenti costanti alla Misericordia di Dio, non mancano quelli al demonio e all’Inferno. Anzi, non pochi osservatori si sono stupiti di quanto la figura di Satana compaia sovente nelle parole del pontefice, non come se si parlasse di un simbolo, bensì di una forza personale operante nella storia.Ma chi è il demonio?Anzitutto è bene ricordare che si tratta di un angelo, cioè di una creatura di Dio, di grande bellezza, ribellatasi al suo Creatore. Gli angeli, sostiene san Tommaso nella Quaestio 50 della prima parte della Summa, sono creature del tutto immateriali, puri spiriti senza materia, che, a differenza di Dio, ricevono l’essere,non lo possiedono originariamente, da sé (Thomas Tyn, Gli angeli in san Tommaso d’Aquino, Fede & Cultura, 2014). Dante li definisce “creati/ sì come sono, in loro essere intero”: in essi la materia non limita lo spirito, oppure, utilizzando un grande logico matematico che credeva nell’esistenza di intelligenze senza corpo, Kurt Godel, il cervello non limita, con la sua debolezza, la potenza e il “desiderio” della mente. Proprio sugli angeli, sul loro ruolo nella storia della Chiesa, dell’arte, della letteratura… è consigliabile un testo davvero completo e interessante, a cura di Saverio Gaeta e Marcello Stanzione, intitolato Inchiesta sugli angeli (Mondadori, 2014).Tra gli angeli, messaggeri di Dio, vi è dunque anche Lucifero, la cui colpa principale fu la superbia: quel peccato che oscura la capacità di vedere, di capire davvero. Anche tra gli uomini, le menti potenzialmente più brillanti ed acute possono raggiungere una straordinaria incapacità di comprensione, quando siano accecate proprio dall’orgoglio. Credo che si possa dire, in quest’ottica, che, come la superbia ottunde ed obnubila l’intelligenza, così l’umiltà l’acuisce e illumina. Di qui la frase di Gesù: “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. Dove piccoli non significa, appunto, sciocchi, corti, ma umili, cioè davvero capaci di comprensione.Cosa fa e cosa vuole il demonio? Ce lo racconta l’esorcista Sante Babolin nel suo L’esorcismo (Messaggero, 2014) e in una intervista al settimanale Tempi. Interpellato con la domanda: “Chi sei tu?”, il demonio ha risposto: “Sono nessuno. Ho perduto il mio nome”. Come a dire che egli è colui che, separandosi definitivamente dal Creatore, ha smarrito ogni sua ragione di essere, e persino se stesso. Ecco perché viene definito, nella tradizione, il Menzognero, l’Omicida, il Distruttore, il Divisore… Il demonio esiste, ma vorrebbe non esistere più; è figlio della creazione, ma vive per la distruzione, sua e del mondo intero. Vuole annichilire tutto ciò che nel mondo indica comunione, amore, cioè ciò che lui ha voluto negare. Per questo, aggiunge Babolin, il demonio vuole profanare e distruggere la famiglia e l’eucaristia: ciò che unisce gli uomini tra loro, e il sacramento che unisce l’uomo a Dio.
Il demonio dunque, nella teologia cattolica, è un essere personale che agisce nella storia. Su quanto sia grande la sua potenza, si è sempre discusso: vi è chi la sopravvaluta, dimenticando che Satana non è un dio; e chi la sottovaluta, e riduce il demonio ad un simbolo. Nella predicazione il pendolo si muove spesso tra gli estremi. Ma si fa un pessimo servizio alla fede, sia quando lo si trasforma nel burattinaio onnipotente, riducendo l’uomo a una comparsa, sia quando si nega del tutto la sua azione. Si va così, nella storia della Chiesa, dall’Inquisizione che nel Seicento colpisce spesso gli esorcisti, rei di vedere il diavolo ovunque, favorendo una religiosità talora cupa e pessimista, alla Chiesa di anni più recenti, che emargina questi importanti ministri, tace l’azione del demonio, annullando così, implicitamente, il senso dell’Incarnazione e dei sacramenti. Il diavolo, diceva sant’Agostino, è un cane alla catena: morde chi gli si avvicina.Se c’è il diavolo, c’è anche l’inferno (chi ci sia dentro, la Chiesa, che ha il potere di identificare alcuni salvati, i santi, non lo sa e non può saperlo). Potrà sembrare strano, ma non si tratta di una “invenzione” della Chiesa. La quale, al contrario, ha “inventato” il Paradiso. Michelangelo Tàbet, in Inferno e dintorni (a cura di Serafino Lanzetta, Cantagalli, 2010), ricorda proprio come nel mondo pre-cristiano l’aldilà fosse visto per lo più come un luogo infero, sotterraneo, buio, infelice. L’Ade greco è a lungo solo un luogo oscuro, senza speranza e senza beatitudine; presso i popoli dell’Oriente “domina un concetto di giustizia divina descritto non di rado come forza arbitraria, capricciosa, desiderosa di vendetta”; tra i “babilonesi la vita del giusto nell’oltretomba non era per niente desiderabile: un cammino senza ritorno, una realtà priva di luce, dove l’alimento è polvere e fango”…Certo, qua e là emerge, più o meno confusa, la necessità di una sorte diversa per buoni e malvagi, ma mentre gli inferi sono ben caratterizzati in modo negativo, la condizione dei giusti ha ben poco a che vedere con quella beatitudine che, secondo il Nuovo Testamento, è stata preparata per i buoni da un Dio definito, da san Giovanni, come “Amore”. Il Foglio, 19/6/2014
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