State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...
State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

venerdì 28 febbraio 2014


Papa Francesco

Francesco alla conquista di Facebook


In Vaticano si stanno definendo gli ultimi dettagli tecnici in vista dell’imminente apertura del profilo sul celebre social network

GIACOMO GALEAZZI CITTA' DEL VATICANO


Un profilo per Francesco sul più celebre social network. In Vaticano si stanno definendo gli ultimi dettagli tecnici prima per consentire l'apertura della pagina Facebook di papa Bergoglio. Secondo quanto appreso in Curia da "Vatican Insider", l'operazione è in fase molto avanzata di elaborazione e se ne occupano gli uffici tecnici del Vaticano. In vista dello sbarco del Pontefice su Fb, infatti, la Santa Sede ha assegnato a un équipe di informatici il compito di studiare come ovviare all'eventuale tentativo di pubblicazione sul profilo di messaggi e contenuti offensivi o inappropriati da parte degli utenti della Rete. 

I dati dimostrano che le nuove tecnologie rappresentano una straordinaria opportunità di diffusione per la predicazione di un Pontefice popolarissimo e apprezzato dai giovani di tutto il mondo. Già adesso, oltre dodici milioni di persone seguono Francesco su Twitter. Inoltre i suoi "cinguettii" sono più retwittati persino di quelli del presidente Usa, Obama e raggiungono una platea di sessanta milioni di utenti.
L'account papale «@Pontifex», voluto da Joseph Ratzinger, era stato inaugurato il 12 dicembre 2012 in otto lingue. Poi il 17 gennaio 2013 è stata aggiunta una nona lingua, il latino, che ha subito suscitato interesse e un sorprendente seguito. Circa 3 milioni di seguaci erano già stati raggiunti il 28 febbraio, giorno della fine del pontificato di Benedetto XVI. Durante la sede vacante l’account è stato sospeso per essere riaperto il 17 marzo, cinque giorni dopo l’elezione di Bergoglio. Da allora si è registrato un crescendo inarrestabile. Attualmente la lingua-record è lo spagnolo, seguita dall’inglese e dall’italiano. Ma non ci sono solo i "seguaci diretti": un numero cinque volte superiori di utenti riceve i tweet di Francesco grazie al fenomeno del re-tweetting. Cioè i messaggi del Papa vengono «re-tweettati», cioè rilanciati dai suoi «amici» e in questo modo, secondo un calcolo per difetto (come osserva monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali) più di 60 milioni di persone ricevono il tweet del Papa che l’arcivescovo definisce «una pillola», «una goccia di spiritualità e di speranza».

Aggiunge Celli: «Il Papa vuole parlare agli uomini e alle donne di oggi con un linguaggio che è comprensibile e molto usato». Quindi «utilizza 140 caratteri per un suo pensiero e quel tweet che possiamo leggere sul cellulare ci aiuta a capire che c’è una vicinanza, che non siamo soli». Inoltre «anche la presenza del Papa su News.va ha una risonanza in continuo aumento». È «nel silenzio che si può acquistare la capacità di trasmettere concetti e valori che sono fondamentali per la vita dell’uomo contemporaneo». E ciò «con semplicità e immediatezza: in appena 140 caratteri».

Il cardinale Gianfranco Ravasi, ministro vaticano della Cultura, contestualizza teologicamente gli effetti sull’individuo e la società delle innovazioni tecnologiche. «La lingua italiana conta 150 mila vocaboli, mentre i giovani oggi ne usano dagli ottocento ai mille», spiega il porporato. «È mutato il modello antropologico dei “nativi digitali”, quindi un vescovo che non sa muoversi in questa nuova atmosfera si mette fuori della sua missione». Nulla di nuovo sotto il sole. «Gesù anticipa il linguaggio sintetico dei tweet: “Il regno di Dio è vicino, convertitevi”, “Ama il prossimo tuo come te stesso”», precisa Ravasi. 

Già Benedetto XVI, nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2011, aveva sottolineato che Facebook e le chat non sono da demonizzare, anzi «permettono alle persone di incontrarsi oltre i confini dello spazio e delle stesse culture, inaugurando così un intero nuovo mondo di potenziali amicizie». Quindi, «bene i social network, però sul Web non createvi falsi profili». Da parte sua Joseph Ratzinger ha elogiato la rivoluzione sociale provocata da Internet, mettendo però in guardia i giovani dal confinarsi solo in territori virtuali e in «un mondo parallelo».

E' stato, infatti, Benedetto XVI a dettare le linee-guida per un uso etico della Rete. Dunque, nella partecipazione ai «social network» e nella ricerca di un sempre maggior numero di «amici» bisogna restare «fedeli a se stessi» e mai cedere a trucchi o «illusioni» come la creazione di una falsa identità attraverso il proprio profilo. I «social network», a cui sempre più persone, soprattutto giovani, partecipano su Internet, offrono «nuove opportunità di condivisione, dialogo, scambio, solidarietà, creazione di relazioni positive». Occorre però «evitarne i pericoli», ossia «il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo o l'eccessiva esposizione al mondo virtuale». Come «ogni altro frutto dell'ingegno umano, le nuove tecnologie della comunicazione chiedono di essere poste al servizio del bene integrale della persona e dell'umanità intera». Se usate saggiamente, «possono contribuire a soddisfare il desiderio di senso, di verità e di unità che rimane l'aspirazione più profonda dell'essere umano». Esistono tuttavia «alcuni limiti tipici della comunicazione digitale: la parzialità dell'interazione, la tendenza a comunicare solo alcune parti del proprio mondo interiore, il rischio di cadere in una sorta di costruzione dell'immagine di sè, che può indulgere all'autocompiacimento». Il coinvolgimento nella pubblica arena digitale, quella creata dai social network, «conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé». Dunque, «si pone la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma dell'autenticità del proprio essere». E' opportuno chiedersi anche sul Web «chi è il mio prossimo?» per non incorrere nel «pericolo di essere meno presenti verso chi incontriamo nella vita quotidiana».
Le vie telematiche, secondo la lezione di Benedetto XVI, vanno cristianizzate senza «annacquare il Vangelo per renderlo popolare». Proprio Joseph Ratzinger ha stigmatizzato come «un grave danno» il fatto che le tecnologie non siano «accessibili agli emarginati», nel timore di una spaccatura tra Occidente «digitale» e Terzo Mondo tagliato fuori. In più occasioni, fin dall'inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha espresso apprezzamento per la velocità e l’efficienza dei «new media», ma soprattutto per la loro capacità di rispondere «al desiderio fondamentale delle persone di entrare in rapporto le une con le altre». Un anelito innato al quale viene fornito un nuovo strumento, in grado di favorire contatti, amicizia, arricchimento morale e materiale. Per questo Benedetto XVI ha fornito alcune «istruzioni per l’uso»: rispetto, dialogo, vera amicizia. Attenti, quindi, a non farsi sopraffare da un desiderio di «connessione virtuale» che diventi «ossessivo», e «non giungere a sacrificare i rapporti con la famiglia, i vicini, i colleghi di lavoro, gli amici “reali”, altrimenti la persona si isola e interrompe la reale interazione sociale».

Una preoccupazione che ha ripreso una dura nota di cinque del dicastero vaticano della Famiglia contro la «realtà virtuale» e il monito della Cei per uno «scisma telematico» di fedeli «alienati» in Rete alla Chiesa. Un appello alla responsabilità a «coloro che operano nel settore della produzione e della diffusione di contenuti dei nuovi media», a «impegnarsi al rispetto della dignità e del valore della persona umana». Vanno evitate, quindi, pornografia, violenza e intolleranza, e tutto ciò che «svilisce la bellezza e l’intimità della sessualità umana, sfrutta i deboli e gli indifesi». La Rete potrebbe così dispiegare il suo immenso potenziale «per la vita e il bene della creazione», e diventare strumento di evangelizzazione, affidata da Benedetto XVI ai giovani cattolici. Il primo a richiamare l'attenzione sui «social network» fu nel 2009 il cardinale Ennio Antonelli, all'epoca ministro vaticano della Famiglia, con particolare riferimento alle chat e ai giochi di ruolo in rete, «in cui si entra con identità fittizie per lavorare, fare acquisti, costruire la casa, impiantare aziende, impiegare il tempo libero in modo gratificante, fare incontri interessanti, avere legami affettivi e sessuali, perfino celebrare il matrimonio». Un’«alienazione dalla realtà» che «detta modelli di pensiero estranei ai valori del Vangelo».
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“www.publik-forum.de” - Rassegna "Fine settimana"
(Christian Modehn) Fra pochi giorni sarà in carica da un anno: il 13 marzo 2013, l'argentino Jorge Mario Bergoglio fu a sorpresa eletto papa. Sia conservatori che progressisti sembra lo amino. Ma in che direzione manovra papa Francesco il timone della sua Chiesa? (...)

mercoledì 26 febbraio 2014

...Graziano Delrio.

Un cattolico praticante al fianco del nuovo Primo Ministro.

Graziano-Delrio

Graziano Delrio.


Graziano Delrio, 54 anni, 9 figli e 30 anni di matrimonio, è il braccio destro e uomo di fiducia del nuovo Primo Ministro Matteo Renzi.
 Una grande amicizia e una reciproca fiducia lega Delrio a Renzi che lo ha definito un “punto di riferimento” e “un modello di politico serio”, dotato di una “tenace delicatezza” nel suo lavoro politico.
Delrio ha fortemente appoggiato la candidatura di Renzi a segretario del Partito Democratico e, ora che Napolitano ha affidato il governo all’ex sindaco di Firenze, il nuovo premier lo ha nominato Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Nei giorni del passaggio di consegne tra Letta e Renzi, Delrio è stato molto vicino al neo-premier sia nei colloqui col presidente Napolitano che durante le consultazioni con le diverse forze politiche. Così anche alla “Cerimonia della Campanella” e durante il primo Consiglio dei Ministri del governo Renzi, Delrio è stato sempre alla sinistra del premier.
Un cattolico praticante al fianco del nuovo Primo Ministro, un fatto che potrebbe in qualche modo “rassicurare” quella parte dell’elettorato cattolico italiano che preme da tempo per una maggiore attenzione alle politiche familiari e spera che il nuovo governo non segua e rafforzi quelle tendenze contrarie alla famiglia che in questi ultimi mesi hanno trovato posto nelle agende dei politici italiani.
Il suo biglietto da visita infatti sono anche i suoi nove figli, segno di una reale adesione  agli insegnamenti della Chiesa Cattolica promulgati da Paolo VI nell’enciclica Humanae Vitae, un documento di fondamentale importanza per la Morale Cattolica che il Papa Paolo VI ha voluto e difeso con straordinario coraggio affrontando forti critiche e gravi pressioni.
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Nato nel 1960 a Reggio Emilia in una famiglia atea e comunista, Graziano “scopre” la fede a 17 anni. A 22 anni sposa Annamaria ed assieme approfondiscono la loro fede vivendo il loro percorso di fede (il Cammino Neocatecumenale) in parrocchia e accogliendo nove figli. Una scelta che il neo ministro ha definito “un atto d’amore”. Appassionato di calcio, ha allenato una squadra giovanile. Laureato in medicina e specializzato in endocrinologia, ha completato il suo percorso formativo in Inghilterra e in Israele, continuando poi come docente e ricercatore presso l’Università di Modena e Reggio Emilia. E’ autore di diverse pubblicazioni scientifiche e ha tenuto diversi seminari in America e in Europa.
E’ cresciuto politicamente nel Partito Popolare Italiano. Nel 1999 fu consigliere comunale a di Reggio Emilia. Nel 2000 venne eletto al Consiglio Comunale dell’Emilia-Romagna. Nel 2004 diventò sindaco della città di Reggio Emilia con La Margherita (il primo sindaco non comunista)  e riconfermato – dopo essere passato al Partito Democratico – nel 2009. E’ stato vicepresidente (dal 2005 al 2011) e poi presidente (eletto per acclamazione) della Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (ANCI).
Col governo di Enrico Letta è stato Ministro per gli Affari Regionali e Autonomie Locali (dal 28 aprile 2013) ricevendo poi la delega per lo Sport dopo la rinuncia del ministro Josefa Idem (giugno 2013). Ha proposto un Disegno di Legge (1542/2013) sulla istituzione delle Città Metropolitane guidate dai sindaci che prevede una riforma di semplificazione e modernizzazione degli enti locali,  e un risparmio di centinaia di milioni di euro. Il DDL è stato approvato alla Camera il 21 dicembre 2013 e attualmente è in studio al Senato. In una intervista rilasciata nel maggio del 2013 si è dichiarato contrario al riconoscimento dei “matrimoni omosessuale”: “I diritti individuali vanno tutelati per tutte le coppie. Ma il matrimonio nel nostro ordinamento è un’unione tra sessi diversi”.
Cattolico democratico, Delrio ha fondato una associazione che porta il nome di Giorgio La Pira, ex sindaco di Firenze, a cui il neo ministro si ispira. Con questa associazione ha promosso diverse iniziative culturali e sociali. E’ anche il presidente della Campagna Nazionale “L’Italia sono anch’io” che propone la concessione del diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia e il diritto di voto agli stranieri regolarmente residenti nel nostro paese.
Il desiderio del ministro Delrio è quello di dare nuova credibilità alla politica cercando di avvicinare sempre di più lo Stato ai cittadini, la politica alla vita reale delle persone. Nell’ottobre del 2013 in una convention organizzata a Firenze da Matteo Renzi alla “Leopolda”, Delrio affermò nel suo breve intervento: “Le storie quotidiane devono entrare nella politica. La politica è fatta dalle storie quotidiane della gente; e il problema per cui la politica non è più credibile è perché ha smesso la voglia, la passione, l’interesse per quelle storie quotidiane“. La politica, infatti, crea un senso di delusione nei cittadini quando non si cura delle loro storie, della loro quotidianità.

Nel suo mandato come sindaco ha dimostrato grande interesse per l’attuazione del Principio di Sussidiarietà promuovendo diversi progetti che concretizzino una “sussidiarietà orizzontale” al fine di favorire una collaborazione più stretta e più concreta tra i cittadini e l’amministrazione pubblica e tra gli stessi cittadini attraverso le diverse forme di associazionismo. A questo proposito, interrogato sul progetto “I reggiani per esempio” a proposito del Principio di Sussidiarietà, che è anche il perno della riflessione sociale della Chiesa Cattolica, Delrio ha dichiarato che questo progetto: “rappresenta un meritevole esempio di concreta attuazione del principio di sussidiarietà, principio presente in Costituzione ormai da un decennio (art. 118. n.d.r.), che stenta però a trovare una adeguata attuazione”.

martedì 25 febbraio 2014

Il principio pazienza – parte 1^ & 2^

Il principio pazienza – parte 2

DI ANDREAS HOFER  costanzamiriano
franziskusdi Andreas Hofer
Chi non ama la vita, non ha pazienza con essa.
(Romano Guardini)
La fatica per vivere
Si arreca un danno incommensurabile alle nuove generazioni evitando di scomodarle con la verità, nota fin dai tempi antichi, che la vita è anchecertamen: lotta, contesa, perciò inscindibile dalle nozioni di sforzo e impegno. La fatica è necessaria, rammenta ancora una volta Ortega y Gasset.
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Il principio pazienza – parte 1

DI ANDREAS HOFER   costanzamiriano
ulisseachille
di Andreas Hofer
Da questo segno li riconoscerete,
dalla rovina e dal buio che portano;
da masse di uomini devoti al Nulla,
diventati schiavi senza un padrone.

(G.K. Chesterton)


Alcuni anni fa una nota soubrette confessò d’aver abortito. Il suo compagno, ricco rampollo di un magnate cinematografico, non aveva accolto con entusiasmo, diciamo così, la notizia della gravidanza. Tanto che il suo primo pensiero era stato: come avrebbero fatto ora, con un neonato in fasce, ad andare in barca? Il piacere balneare finì per avere la meglio sugli obblighi della paternità e così i due, di comune accordo, si decisero per l’aborto.
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venerdì 21 febbraio 2014

Quando il Papa parla la lingua del cuore.

>>> Pope Francis and Bishop Tony Palmer -- Message at KCM

City of GOD Community
City of God Community - http://on.fb.me/1csxluD

Quando il Papa parla la lingua del cuore (ENG. ITA)

FANTASTICO QUESTO MESSAGGIO DI PAPA FRANCESCO (IN ITALIANO!) AD UN CONVEGNO DI FRATELLI PENTECOSTALI DEGLI USA. DA 31.35.

Pope Francis and Bishop Tony Palmer -- Message at KCM

Bishop Tony Palmer talks about his friend and Mentor Pope Francis at Kenneth Copeland Ministries Pope Francis sends private message of Reconciliation and Unity between the Catholic Church and the Evangelical Church to KCM.


City of God Community - http://on.fb.me/1csxluD

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A Pentecostal, a pope and an iPhone for Christian unity

VATICAN CITY — The search for Christian unity is an enterprise that has taken the time and energy of scholars and popes. Recently it got a helping hand from an iPhone and YouTube.
Those involved in ecumenism insist on the power of prayer to heal Christian divisions and on the importance of involving not only high-powered theologians, but Christians of every community and every walk of life. They need to meet each other, get to know each other, help each other and pray with and for each other.
Putting those sentiments into practice, Pope Francis agreed to record a message to a group of Pentecostals in the United States. His guest, a bishop from a Pentecostal Christian community, did the camera work with an iPhone.
The pope’s message can be seen here, it begins at about 31:35 after Bishop Tony Palmer delivers a speech to a Kenneth Copeland Ministries about the importance of Christian unity for preaching salvation in Christ to the world. The bishop, who also serves as international ecumenical officer for the Communion of Evangelical Episcopal Churches, a group that is not affiliated with the Anglican Communion, takes a much simpler view of the path full Christian unity than the pope and the mainline Christian churches do.
The translation used for the English subtitles on the video are not precise, but the pope’s sincerity is clear.

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Pope Francis uses smartphone video to urge Christian unity

ROME (RNS) In an unusually informal video made on a smartphone held by a Pentecostal pastor, Pope Francis called on all Christians to set aside their differences, explaining his “longing” for Christian unity.
Screen Shot 2014-02-20 at 1.45.14 PM
The seven-minute video, which was posted on YouTube, was made during a Jan. 14 meeting with Anthony Palmer, a bishop and international ecumenical officer with the independent Communion of Evangelical Episcopal Churches. Italian news reports say that the pope and Palmer knew each other when Francis served as the archbishop of Buenos Aires.
In his remarks, part of a 45-minute video, Francis said, in Italian, that all Christians are to blame for their divisions and that he prays to the Lord “that he will unite us all.”
“We should move forward. We are brothers. We should give each other a spiritual embrace and open ourselves to letting the Lord complete the work he started,” Francis said.
“I never saw the Lord start a miracle without finishing it,” the pontiff added, quoting 19th-century Italian writer Alessandro Manzoni. ”And he will finish this miracle of Christian unity.”
He concluded by saying it doesn’t matter who’s to blame for divisions among Christians: “Who is at fault? All of us are. We are all sinners. There is only one who is right, and that is our Lord.”
Francis’ remarks are preceded by a discourse from Palmer, who also spoke, in English, about the need for Christian unity. “Brothers and sisters, Luther’s protest is over,” Palmer said, referring to the 16th-century German reformer Martin Luther.
The video is unusual in part because it was made and released in such an informal manner. Most information released about the pontiff comes from the Vatican press office or some other official church agency. The Vatican went so far as to warn pope watchers in Januarythat information about the pope found on other sources was probably untrue — though in this case the veracity of the video is guaranteed by seeing the pope himself on camera.
Eric J. Lyman 

Il leone, l’armadio, la strega. Le cose a volte sono al loro posto

IL LEONE, L’ARMADIO, LA STREGA 

Clive Staples Lewis

Il leone, l’armadio, la strega. 
Le cose a volte sono al loro posto
DI AUTORI VARI


Conoscete la storia raccontata nelle cronache di Narnia? A me è piaciuta molto. Mi sarebbe piaciuto incontrarla da bambina questa storia, invece l’ho letta da mamma alle mie figlie; poi ci siamo visti anche il dvd. Fughe sotto i cuscini per l’arrivo del lupo, fermi immagine strategici, facciotte nascoste sotto le braccia della mamma o del papà e 100 volte le stesse domande: “E’ veloche il leone è il più forte di tutti e che la Strega muole?”. “Velo che gli tagliano la cliniela ad Aslan, velo, povelino?!”.
Ecco insomma sono fiera che in mezzo a tante malefiche insidiosissime Winx – attenzione mamme, attenzione ai cartoni animati, alcuni sono terrificanti! Sembrano belli, innocui, lievi, invece no – a storie che non hanno niente di male da raccontare ma il male è che mancano delle cose, delle persone, dei ruoli (ho in mente tanti cartoni nuovi in cui mancano mamma e papà, tipo Fragolina Dolcecuore, o sono dei deficienti insulsissimi vedi Due fantagenitori, o Trilly stessa e quelle tipe delle sue Amiche;  certo sono carine da matti, deliziose, tintinnano, sfarfallano polverina magica, hanno voci melodiose, spnp rispettosissime della natura. Ma la natura accidenti a lei perché è sempre scritta con la N maiuscola e di Dio nessuno ha mai sentito parlare? Cartoni dove il valore supremo , ciò per cui è degno vivere, si riduce a mangiare verdure e ricordarsi di buttare la plastica nel raccoglitore giusto..), ecco in tutto questo sono contenta che :
1-   sia io che il papà di queste tre misteriose creature che sono le nostre figlie facciamo vedere meno televisione di un po’ di tempo fa;  e 2-  a volte riusciamo a proporre cose interessanti.
Per Narnia e la storia che racconta mi torna buona una vaga reminiscienza liceale, sul compito e la natura della retorica, di un tal Cicerone (ps: che due sere fa si è pure meritato un L’eterno riposo dalle tre di cui sopra perché giuro non mi ricordo come siamo finiti a parlare di Cicerone e del fatto che era già morto, povelino!): movere, docere, delectare. Quella delle Cronache di C. S. Lewis è una storia che tocca, insegna e diletta. Dove le cose sono al loro posto: la Strega è simbolo, potenza non onnipotente del male;  la natura – che ha la minuscola -  è meravigliosa e lussureggiante ma soffre anche lei quando l’ordine del mondo è tradito; si irrigidisce nel gelo, prima di esplodere in una stupefacente primavera che segue festante la Resurrezione di Aslan.
Ora, seguitemi se vi va in questa virata brusca: avete presente Lucy, la più giovane dei 4 fratelli, davanti alla porta socchiusa del guardaroba, che lo guarda con un’attrazione mescolata a spavento? Che si chiede cosa ci sarà dentro? E poi entra e il guardaroba è effettivamente un luogo misterioso, inesplorato, pieno di sorprese, che schiude addirittura un altro meraviglioso mondo? Trattenete un attimo questa sensazione….fatto? Ora trasferitela su mio marito: è quello che vive tutte le -rare – volte che, ingenua, illusa, gli dico “prendi per favore una canottiera nell’armadio della bambine, secondo cassetto?”.

giovedì 20 febbraio 2014

"Dieci motivi per cui amo essere un maschio"

SEMPLICITA' & COMPLESSITA' Uomo Donna

DIECI MOTIVI PER CUI AMO ESSERE UN MASCHIO

DI ADMIN
Originally posted on La fontana del villaggio:
uomini-e-donne-diversi
“Tu non mi capisci!” Di solito nelle liti di coppia questo è il rimprovero finale, quello che pone termine ad ogni discussione. Normalmente è la donna a dirlo all’uomo. Ed è giusto, perché l’uomo ha il compito istituzionale, assegnatogli dalla natura, di capirla.

mercoledì 19 febbraio 2014

ACCADE A BOLOGNA

Roberto “Freak” Antoni

“perciò io non terrò la bocca chiusa, parlerò nell’angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell’amarezza del mio cuore”

 - libro di Giobbe



ACCADE A BOLOGNA Su Kairòs


lo Straniero - Il blog di Antonio 

ACCADE A BOLOGNA

18 FEBBRAIO 2014 / IN NEWS 
A volte accadono piccoli fatti che sono come lampi di luce nel buio. E folgorano i cuori immersi nella nebbia e i tempi cupi. E fanno capire e vedere la realtà assai più e meglio di tanti discorsi dei cosiddetti intellettuali o di coloro che dovrebbero illuminare il mondo.

E’ accaduto a Bologna

Mercoledì scorso, dopo una lunga malattia, è morto a 59 anni Roberto “Freak” Antoni, storico leader degli Skiantos, un gruppo musicale che viene classificato come “rock demenziale” e che nacque nella turbolenta Bologna del ’77, quella degli “indiani metropolitani” e di un’Italia che poi affogò negli anni di piombo.
Freak Antoni, un artista divertente e poliedrico, rappresenta il rivolo creativo e surreale di quella stagione che a Bologna mise con le spalle al muro “da sinistra” il monolitico Pci di Zangheri e a Roma la Cgil di Lama. Freak era così ironico, dissacrante, cinico, poetico che non è possibile inquadrarlo negli schemi.
D’altra parte quella rivolta giovanile dava voce alla delusione delle rivoluzioni mancate, al disgusto per gli apparati e finiva per esprimere sogni e utopie impolitiche, un grido di “felicità subito” che aveva natura inconsapevolmente religiosa.
Tornò in quei giorni un motto del ’68 francese ricavato dal “Caligola” di Albert Camus. Diceva: “Soyez réalistes, demandez l’impossibile”. Era perfetto anche per la Bologna del ’77.  Ma era lo slogan meno politico e più religioso che si potesse coniare.
Infatti era stato un grande padre di cuori giovani, don Luigi Giussani a riprendere e valorizzare quelle parole di Camus: “Non è realistico che l’uomo viva senza agognare l’impossibile, senza questa apertura all’impossibile, senza nesso con l’oltre: qualsiasi confine raggiunga. Il Caligola di Camus – scrisse Giussani – parla di ‘luna’ o ‘felicità’ o ‘immortalità’. L’insaziabile non può che derivare da un inestinguibile. Un Destino di immortalità si segnala nell’umana esperienza di insaziabilità”.
A Bologna è rimasto qualcosa di quella ventata creativa del ‘77. Io stesso ho letto a volte, qua e là, sui muri, delle scritte che mi ricordavano “Freak Antoni”.
Vicino alla chiesa dei Servi – e a Nomisma – campeggiava un versetto biblico: “l’abisso chiama l’abisso”. E più in là, su un muro dell’Università, un memorabile: “Basta fatti, vogliamo parole”. Che – a ben pensarci – è geniale.
La morte prematura di Freak Antoni naturalmente ha richiamato a Bologna tanti amici e colleghi. Venerdì scorso, quando il Comune ha allestito una camera ardente per rendergli omaggio, nella sala Tassinari, a Palazzo D’Accursio, si sono visti molti personaggi noti dello spettacolo: c’erano Elio e Rocco Tanica delle “Storie Tese”, Luca Carboni, Samuele Bersani, Gaetano Curreri, Andrea Mingardi, Fabio De Luigi, il comico Vito, Milena Gabanelli e poi è arrivato il sindaco Virginio Merola.
Il quale ha detto alcune parole di commemorazione, in quell’atmosfera surreale e obiettivamente disperata, tipica di queste “camere ardenti”, tra volti tristi e straniti. Subito dopo si è fatta avanti una ragazza, una giovane studentessa di liceo.
Era Margherita, la figlia di “Freak”. Con dolcezza e fermezza ha detto alcune cose che hanno fatto sentire a tutti un brivido.
Un brivido di verità profonde che tutti conoscono in fondo al cuore, ma che tutti anche hanno rimosso e nascosto. Pure a se stessi.
La ragazza ha ringraziato i presenti, ha ricordato come suo padre vivesse per quel suo lavoro, per il palco, per i concerti che in tanti giorni di festa lo hanno strappato alla famiglia.
Margherita ha confessato di aver sofferto questa sua assenza, ma “adesso forse ho capito. Non so” ha detto guardando quei volti “se vi è mai capitato di sentirvi tristi. Ma tristi tristi, tanto tristi da chiedervi qual è il senso della vita, il perché delle cose. A me a volte capita. A mio padre capitava sempre. Siete tristi perché vi manca qualcosa, non è così? Altrimenti avreste l’animo appagato, soddisfatto. Ma che cosa manca?”.
La domanda della ragazza per un istante ha fatto sentire tutti come messi a nudo. Poi ha proseguito: “Ognuno cerca di colmare il vuoto che sente. Mio padre lo colmava con la droga, con i concerti, con storie d’amore improponibili. Mio padre era uno triste, uno senza speranza, un infelice, un irrequieto”.
Erano parole dette con profonda compassione e pietà. Margherita ha poi raccontato di aver trovato, l’altro giorno, nel portafoglio del padre, un biglietto dove aveva annotato questa frase: “perciò io non terrò la bocca chiusa, parlerò nell’angoscia del mio spirito, mi lamenterò nell’amarezza del mio cuore”.
Era una frase della Bibbia, del libro di Giobbe. Chissà quando e come Freak Antoni l’aveva sentita o letta e se l’era annotata, perché di certo la sentiva sua, perché esprimeva il suo dolore, la sua solitudine, le sue domande e il suo grido.
Infatti Margherita l’ha commentata così: “mio padre era un grande perché gridava, perché non si accontentava, perché il suo desiderio di felicità era più grande di qualsiasi concerto, droga o storia d’amore”.
Così, con una grazia che incantava e una pietà commossa, la giovane figlia ha descritto il senso religioso di questo padre artista irrequieto e scapigliato. E ha colto più e meglio di chiunque altro il suo genio. E il suo dolore.
Ricordando una delle sue memorabili battute (“Dio ci deve delle spiegazioni”) Margherita ha concluso con la speranza che davvero “lassù gliele dia”.
Poi, in tutta semplicità, a quella platea improbabile e sbigottita ha detto che voleva dire una preghiera per suo padre. E chi voleva poteva unirsi a lei. Ha recitato con alcuni amici l’Eterno riposo e un’Ave Maria e in quel momento una Misericordia infinita è scesa su tutti, in quella stanza, come un immenso e bellissimo panorama pieno di azzurro.
E come sono sembrate goffe e ridicole le chiacchiere di certi intellettuali e di certi notabili dell’industria sui giovani di oggi.
Se questo Paese ha una speranza, bisogna riconoscere che questa speranza ha il volto di Margherita e dei ragazzi e delle ragazze come lei. Che ci sono e sono molti più di quanto si immagini.
Nei loro volti s’intravede una speranza, una certezza, una pietà che oggi sembrano impossibili. Come quella pace di Margherita davanti al dolore della morte. Talora l’impossibile per grazia accade.

Antonio Socci

Da “Libero”, 18 febbraio 2014

domenica 16 febbraio 2014

San Francesco e il lupo. Un’altra storia

Dalla parte del lupo



Francesco di Assisi e Ildegarda di Bingen. Fiabe per grandi e per piccini

(Ritanna Armeni) La storia di san Francesco e il lupo si può raccontare ai bambini anche dalla parte del lupo. Lo fa Chiara Frugoni, storica medievista, una vita dedicata alla ricerca su Francesco e Chiara, nello splendido volume San Francesco e il lupo. Un’altra storia (Milano, Feltrinelli, 2013, pagine 32, euro 15), con illustrazioni di Felice Feltracco.
Il lupo — racconta — non è cattivo, è solo vecchio, malato, è stato cacciato perché troppo debole dagli altri lupi più giovani e forti e ha bisogno di mangiare. Francesco lo cerca per parlargli, per convincerlo a non fare del male. Per questo il frate vagò tanto nei boschi, sotto la neve, finché esausto si addormentò. E il vecchio lupo lo trovò solo e indifeso sul ghiaccio. «Gli girò intorno, e l’annusò. Sentì un odore magico, nuovissimo. Non somigliava affatto all’odore di carne e di sangue che tanto gli piaceva. Il lupo era sorpreso e sbalordito. All’improvviso capì che Francesco non voleva ucciderlo, come gli uomini che gli davano la caccia. Capì che Francesco gli avrebbe voluto bene. Si sdraiò accanto a lui e lo riscaldò col suo pelo». Da quel giorno stette insieme al frate, lo seguì dappertutto obbediente e affettuoso, come un cane.
Ma non è solo questo il lieto fine. C’è, infatti, una domanda che il bambino, prima impaurito, poi attento e incantato, fa inevitabilmente a chi gli narra la favola di san Francesco e il lupo. Se il lupo seguì Francesco perché non poteva staccarsi dal suo odore, che odore era? Che cosa l’ha convinto a diventare mansueto e affettuoso e a dimenticare la cattiveria e il sangue? «Era l’odore di un uomo buono», spiega il narratore.
Il messaggio arriva diritto e centra in pieno il cuore del piccolo, ma inevitabilmente anche quello dell’adulto che pure sta narrando una storia che, in altre forme, già conosceva. L’odore della bontà genera bontà, quello della fratellanza produce fratellanza, quello dell’amore crea amore. E poi non ci sono cattivi, solo uomini, donne e animali che hanno bisogno di sentire l’odore della bontà.
Frugoni ha trasformato la storia di Francesco quel tanto che basta per comprenderla meglio, per adattarla a tempi che sembrano refrattari ai buoni sentimenti. L’ha davvero indirizzata solo ai bambini? Perché ci sono fiabe per bambini che è bene che leggano o rileggano i grandi. E questa è una di loro.
Come lo è la storia di Ildegarda di Bingen, Ildegarda e la ricetta della creatività (Palermo, Rueballu, 2013, pagine 80, euro 16,50) di Daniela Maniscalco, illustrata da Chiara Carrer in cui si racconta ai più piccoli di una piccola monaca che entrò in convento a soli otto anni, sapeva prevedere il futuro, fu una straordinaria musicista e inventò persino una lingua per comunicare con le consorelle.
Su Ildegarda sono state scritte molte biografie e molti importanti saggi per adulti. Al suo successo in libreria, ha contribuito certamente la decisione di Benedetto XVI di nominarla dottore della Chiesa, oltre che la sua fortissima immagine di libertà e cultura femminile. Di recente la lotta accanita di questa donna mistica, musicista, esperta di medicina alternativa, infaticabile organizzatrice la cui vita è dedicata alla realizzazione piena del disegno di Dio, è stata raccontata da Anna Lise Marstrand-Jugersen, La sognatrice (Sonzogno, 2012).
E tuttavia il libro di Daniela Maniscalco aggiunge qualcosa di fresco e di inaspettato anche per chi quella storia la conosce e per Ildegarda nutre da tempo una segreta devozione.
La piccola Elisa si chiede: «Ma è proprio vero che la storia della musica è popolata solo da musicisti uomini?». È delusa e arrabbiata perché lei vorrebbe fare la musicista e capisce che, se fino ad allora non c’è riuscita nessuna donna, è difficile che ci riesca lei.
Poi incontra Ildegarda. La scopre in un misterioso e magico libro medievale che la nonna le aveva proibito aprire e di sfogliare. Lei, invece, non sa resistere alla tentazione, disobbedisce e dal libro emerge la monaca con un abito lungo fino ai piedi, le scarpe a punta e tante cose nuove e strane da raccontarle. Elisa è salva, può dire con orgoglio alla maestra: «Non è vero che tutte le donne medievali vivevano nei castelli e trascorrevano il tempo ricamando, o erano serve della gleba o coltivavano i campi, c’era anche una musicista famosissima, Ildegarda von Bingen che ha scritto centinaia di inni».
Elisa conosce Ildegarda, deve conoscerla a fondo perché altrimenti la monaca non rientrerà nel libro e la storia senza di lei si fermerà. Per questo entra nel suo mondo fatto di musica, sensibilità, cultura, e soprattutto tantissima creatività in tutti i campi della conoscenza. Ildegarda insegna a Elisa che le idee sono dappertutto. «Possono nascere — conclude felice la bambina — guardando gli amici o la maestra, passeggiando, sfogliando dei libri. E la mia vita si è riempita di musica! Sento note dappertutto: il parabrezza in movimento suona una canzone, gli insetti in giardino ballano un valzer, la catena della mia bicicletta canta un allegro motivetto. Persino lo sfrigolio delle uova nella padella calda produce dei suoni armoniosi. Basta saperli ascoltare». Basta ascoltare Ildegarda. Anche chi è adulto è preso da un inspiegabile entusiasmo.
L'Osservatore Romano

“Mi denuncio: sono omofobo e pronto ad andare in galera”

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Mi denuncio: sono omofobo e pronto ad andare in galera.


(“Il Giornale” del 16/02/2014) 
Gli alunni devono portarsi da casa la carta igienica perché mancano i soldi, ma la Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), ha deciso che fosse prioritario fornire alle scuole di ogni ordine e grado «gli strumenti per approfondire le varie tematiche legate all’omosessualità». Primo strumento: «I rapporti sessuali omosessuali sono naturali? Sì». Purtroppo però «un pregiudizio diffuso nei Paesi di natura fortemente religiosa è che il sesso vada fatto solo per avere bambini».
Quindi i signori docenti sono invitati a porre agli allievi un’altra domanda: «I rapporti sessuali eterosessuali sono naturali?». Secondo strumento: «Nell’elaborazione di compiti, inventare situazioni che facciano riferimento a una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere. Per esempio: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”». L’obiettivo è che maestre e professori possano «essi stessi diventare “educatori dell’omofobia”». A Palazzo Chigi, già poco ferrati nell’aritmetica dei conti pubblici, devono essere assai scarsi anche in italiano. C’è scritto questo e molto altro nei tre opuscoli intitolati Educare alla diversità a scuola commissionati dal Dipartimento per le Pari opportunità all’Istituto A.T. Beck per la terapia cognitivo-comportamentale, con sedi a Roma e Caserta, destinati alle scuole primarie e secondarie per dare concreta attuazione alla Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere. Quando Gianfranco Amato, 52 anni, avvocato di Varese, ha letto le linee guida che il governo intende perseguire nel triennio 2013-2015 sotto l’egida del Consiglio d’Europa, non credeva ai propri occhi. Non solo perché la gestione del progetto risulta affidata al Gruppo nazionale di lavoro Lgbt (acronimo di lesbiche, gay, bisessuali e transgender), «formato da 29 associazioni tutte e solo di quella sponda, come Arcigay, Arcilesbica e Movimento identità transessuale», ma anche perché ha scoperto che in Italia è stata creata a sua insaputa una forza speciale per mettere in riga gli omofobi: «Si chiama Oscad, cioè Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori, ed è composto da polizia e carabinieri. La sigla ricorda l’Ovra fascista. Ormai siamo a uno zelo da far invidia al Reichsministerium für Volksaufklärung und Propaganda di quel malefico genio dell’indottrinamento di Stato che fu Joseph Goebbels».
Ecco perché l’avvocato Amato ha notificato un atto di diffida stragiudiziale al Dipartimento delle Pari opportunità, all’Unar, al ministero dell’Istruzione e ai 122 Uffici scolastici regionali e provinciali. «Guai a loro se adotteranno atti o provvedimenti che diano seguito alla Strategia nazionale del governo. Quell’arbitrario documento dev’essere solo annullato». Il legale non ha agito a titolo personale, bensì come presidente dei Giuristi per la vita, un’associazione che ha sede a Roma. Ne fanno parte una quarantina di cultori delle scienze giuridiche, fra cui magistrati come Francesco Mario Agnoli, presidente aggiunto onorario della Cassazione, e Giacomo Rocchi, consigliere della prima sezione penale della medesima Corte suprema.
«Non c’interessa il dialogo sui massimi sistemi, siamo una task force operativa molto agguerrita», spiega Amato, sposato, tre figli, rappresentante per l’Italia di Advocates international e collaboratore dell’Alliance defense fund, formata da legali che si occupano di cause riguardanti la libertà religiosa e la bioetica. «Ci autofinanziamo per offrire patrocinio gratuito a docenti e medici nei guai con la giustizia per motivi di coscienza».
Le maestre finiscono in tribunale?
«Agli italiani è sfuggito che il 19 settembre la Camera ha approvato il disegno legislativo promosso da Ivan Scalfarotto, deputato del Pd, gay dichiarato. Presto andrà in aula al Senato e diventerà legge dello Stato. Quando ne ho illustrato i contenuti a un amico imprenditore e a sua moglie, non volevano crederci: “Tu esageri sempre”. Allora ho capito come si arrivò ai campi di sterminio: grazie all’ignoranza dei tedeschi. Tant’è che mi sono sentito in obbligo di scriverci un libro, Omofobia o eterofobia? Perché opporsi a una legge ingiusta e liberticida, edito da Fede & Cultura, che sta andando a ruba con il passaparola».
Legge liberticida?
«Hanno inventato l’emergenza omofobia per avviare una persecuzione contro chi non la pensa come loro. Il Pew research center di Washington, presieduto da Allan Murray, ex vicedirettore del Wall Street Journal, ha pubblicato uno studio mondiale sull’atteggiamento verso l’omosessualità. L’Italia è fra le 10 nazioni più amichevoli con i gay, per i quali il 74 per cento della popolazione non prova alcuna ostilità. Siamo appena un gradino sotto la civilissima Gran Bretagna. Ma poi, scusi, servono le statistiche? Puglia e Sicilia non hanno forse eletto due governatori omosessuali?».
Allora perché è stata varata la Strategia nazionale contro l’omofobia?«Me lo dica lei. Il piano del governo prevede corsi di formazione obbligatoria sui diritti Lgbt non solo per docenti e alunni ma anche per bidelli e personale di segreteria. E che cosa vorrà dire l’impegno a “favorire l’empowerment delle persone Lgbt nelle scuole”? E il “diversity management per i docenti”? Lo chiedo ai cattolici che siedono nel governo, come Gabriele Toccafondi, sottosegretario all’Istruzione, e Maurizio Lupi e Mario Mauro, ministri ciellini».
A che serve l’Oscad?
«Già, a che serve una sorta di polizia speciale? A me risulta, proprio dai dati dell’Oscad, che dal 2010 a oggi siano pervenute appena 83 segnalazioni per offese, aggressioni, lesioni, danneggiamenti, minacce e suicidi relativi all’orientamento sessuale. Una media di 28 casi l’anno, 1 ogni 2 milioni di abitanti. E questa sarebbe un’emergenza nazionale?».
Stando agli opuscoli dell’Unar, gli insegnanti delle scuole sono tenuti a «non usare analogie che facciano riferimento a una prospettiva eteronormativa» giacché «tale punto di vista può tradursi nell’assunzione che un bambino da grande si innamorerà di una donna e la sposerà».
«Sposare una donna: inaudito! Aveva visto giusto Gilbert Chesterton: spade dovranno essere sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi d’estate e che 2 più 2 fa 4. Siamo giunti a un livello tale di relativismo da far impazzire la ragione. Non si riconosce più la natura. È la teoria del gender: i ragazzi non sono maschi o femmine per un dato biologico, ma a seconda di come sentono di essere».
Insegnare che «maschio e femmina Dio li creò», come sta scritto nella Bibbia, diventerà reato?
«La strada è quella, tracciata dall’Unar nelle Linee guida per un’informazione rispettosa delle persone Lgbt, dove i credenti vengono biasimati perché descrivono “le unioni tra persone dello stesso sesso come una minaccia alla famiglia tradizionale, come contro natura e come sterili, infeconde”. Nei libretti destinati ai maestri, l’Unar denuncia che “il grado di religiosità” è “da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo” e che “maggiore risulta il grado di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba”. Ed emette la condanna finale: “Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato”».
Perché la Presidenza del Consiglio ha affidato tutte le pubblicazioni dell’Unar all’Istituto A.T. Beck?
«È quello che stiamo cercando di scoprire. C’è stata una regolare gara d’appalto? Chi vi ha partecipato? Al vincitore quanti soldi sono andati? Quali competenze ha questo istituto? Perché il Dipartimento delle Pari opportunità ne ha sposato in toto le tesi come se fossero le uniche possibili? Si saranno accorti, a Palazzo Chigi, che nelle linee-guida per i licei viene assegnato il compitino di aritmetica antiomofobico di Rosa che compra tre lattine di tè con i suoi papà, copiato pari pari dal fascicolo per la scuola primaria? Non molto scientifico, come lavoro».
Di Antonella Montano, direttrice dell’Istituto A.T. Beck, che cosa può dirmi?
«Poco. Se non che il suo libro Mogli, amanti, madri lesbiche è stato presentato da Paola Concia, l’ex deputata del Pd firmataria di un progetto di legge contro l’omofobia bocciato dal Parlamento».
In compenso è passato quello del collega Scalfarotto.
«Testo inutile e pericoloso. Già l’articolo 3 della Costituzione sancisce che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso”. Non possono esservi cittadini più uguali di altri, come certi animali della Fattoria di George Orwell. Per la prima volta nel nostro ordinamento giuridico s’introduce un reato senza definirne il presupposto. Che cos’è l’omofobia? Non esiste una definizione scientifica, né leggi o sentenze che lo stabiliscano. Poiché non è una malattia riconosciuta dall’Oms, come la claustrofobia o l’agorafobia, verrà lasciata alla libera interpretazione dei magistrati. Tipico degli Stati totalitari. Mi ricorda il reato di “attività antisocialista” nell’Urss: nessuno sapeva in che cosa consistesse, però ti faceva finire nei gulag».
Non starà davvero esagerando?
«In uno Stato liberale il cittadino sa preventivamente quali saranno le conseguenze dei suoi comportamenti. Il nostro diritto penale sanziona i fatti, non i motivi. Io rubo? Viene punito il furto. Che abbia rubato per fame – ecco un motivo – può servire al massimo per graduare la pena. Invece la legge Scalfarotto punisce i motivi. E crea una categoria privilegiata di soggetti che diventano meritevoli di tutela giuridica per il solo fatto di avere un certo orientamento sessuale».
Ho capito: la legge non le piace.
«Passato il principio secondo cui una categoria è stata discriminata, lo Stato dovrà dotarsi di sistemi riparativi e compensativi. È già successo con gli afroamericani negli Usa. Arriveremo alle quote viola, su calco di quelle rosa. Chi si dichiara gay avrà diritto a un posto di lavoro e a un alloggio. Non avendo il giudice strumenti per accertare l’omosessualità, basterà un’autocertificazione».
La legge Scalfarotto non lo prevede.
«La legge Scalfarotto non prevede nulla, qui sta l’inganno più subdolo. Punisce l’omofobia in base a un’altra legge, la Reale-Mancino, che fu promulgata per combattere l’ideologia nazifascista, il razzismo, l’antisemitismo. Con i gay parificati ai neri e agli ebrei, dire che un uomo non può sposare un altro uomo equivarrà a dire che va impedito il matrimonio fra l’uomo bianco e la donna nera».
Conseguenze penali?
«Terribili. Per una dichiarazione omofoba la legge mi punisce con 1 anno e 6 mesi di reclusione. Che diventano 4 anni se la faccio come associazione e addirittura 6 se ho una carica direttiva nella medesima. Con l’obbligo per lo Stato di procedere d’ufficio anche nel caso in cui il gay che ho offeso decidesse di perdonarmi o di ritirare la querela per evitare lo strepitus fori, cioè la pubblicità negativa».
Papa, vescovi e preti sono candidati alla galera, visto che il catechismo, al paragrafo 2.357, presenta le relazioni gay «come gravi depravazioni», dichiara che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati» e «contrari alla legge naturale» perché «precludono il dono della vita», decretando che «in nessun caso possono essere approvati».
«Sta già accadendo a tanti cristiani in giro per l’Europa. Tony Miano, 49 anni, statunitense, ex vicesceriffo della contea di Los Angeles che oggi fa il predicatore di strada, è stato arrestato lo scorso 1° luglio a Wimbledon, in Inghilterra, perché commentava davanti a un centro commerciale il capitolo 4 della prima Lettera ai Tessalonicesi di San Paolo, quella che invita ad astenersi dall’impudicizia. Ho letto il verbale dell’interrogatorio: allucinante, sembra un resoconto tratto dagli Acta Martyrum. E per fortuna che il poveretto non aveva osato proclamare in pubblico la prima Lettera ai Corinti, quella in cui San Paolo dice che “né effeminati, né sodomiti erediteranno il regno di Dio”».
Come presidente dei Giuristi per la vita, passerà 6 anni in cella anche lei.
«Se essere omofobo significa considerare l’omosessualità un peccato, ritenere che il sesso debba essere aperto alla trasmissione della vita, credere nei precetti della Chiesa, allora mi autodenuncio: dichiaro pubblicamente e con orgoglio ai funzionari dell’Unar di essere un omofobo. Mandino nel mio studio gli agenti dell’Oscad ad arrestarmi. Li aspetto». (“Il Giornale” del 16/02/2014)