State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

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State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

giovedì 31 luglio 2014

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AGOSTO  BLOG sempre aperto

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Regole per conoscere il cuore e decidere 

da saperepertutti

Oggi è la festa di s. Ignazio di Loyola, fondatore dei gesuiti ed esploratore della vita interiore. Nei suoi Esercizi spirituali ha formulato delle "regole di discernimento"; sono dei principi per conoscere il proprio cuore, per leggerne i movimenti nella fede e orientare le proprie scelte senza lasciarsi trascinare dall'emotività. Il gesuita Francesco Occhetta, de La Civiltà Cattolica, le ha commentate sul suo blog personale.

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  • I regolaQuando vai di male in peggio, il messaggero cattivo di solito ti propone piaceri apparenti facendoti immaginare piaceri e godimenti, perché tu persista e cresca nella tua schiavitù. Invece il messaggero buono adotta il metodo opposto: ti punge e rimorde la coscienza, per farti comprendere il tuo errore” (Esercizi Spirituali, n. 314).
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  • II regola: “Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, è proprio del messaggero cattivo bloccarti con rimorsi, tristezze, impedimenti, turbamenti immotivati che paiono motivatissimi, perché tu non vada avanti. E’ proprio invece del messaggero buono darti coraggio, forza, consolazioni, lacrime, ispirazioni e pace, rendendoti facili le cose e togliendoti ogni impedimento, perché tu vada avanti”(Esercizi Spirituali, n. 315).
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  • III regola: “Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, Dio ti parla con la consolazione spirituale. Questa è di tre tipi: il primo quando sorge in te qualche movimento intimo che ti infiamma d’amore per il Signore, e ami in lui e per lui ogni creatura, oppure versi lacrime che ti spingono ad amare il Signore e servire i fratelli, o a detestare i tuoi peccati; il secondo quando c’è in te crescita di speranza, di fede e di carità; il terzo quando c’è in te ogni tipo di intima letizia che ti sollecita e attrae verso le cose spirituali, verso l’amore di Dio e il servizio del prossimo, con serenità e pace del cuore” (Esercizi Spirituali, n. 316). Leggi il commento.
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  • IV regola: Quando ti impegni per uscire dal male e cerchi il bene, il messaggero cattivo ti dà desolazione spirituale. Essa è il contrario della consolazione: è oscurità, turbamento, inclinazione a cose basse e terrene, inquietudine dovuta a vari tipi di agitazione, tentazioni, sfiducia, mancanza di speranza e amore, pigrizia, svogliatezza, tristezza e senso di lontananza del Signore. Infatti, come la consolazione è contraria alla desolazione, così i pensieri che nascono dalla consolazione sono opposti a quelli che nascono dalla desolazione (Esercizi Spirituali, n. 317). Leggi il commento.
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  • V regolaQuando sei desolato, non fare mai mutamenti. Resta saldo nei propositi che avevi il giorno precedente a tale desolazione, o nella decisione in cui eri nella precedente consolazione. Infatti, mentre in questa ti guida di più lo spirito buono, nella desolazione ti guida quello cattivo, con i consigli del quale non puoi imbroccare nessuna strada giusta (Esercizi spirituali, n. 318). Leggi il commento.
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  • VI regolaSe nella desolazione non devi cambiare i primi propositi, ti gioverà molto reagire contro di essa, restando per esempio più tempo nella preghiera e nella meditazione, allungando gli esami e facendo, secondo che sarà meglio, qualche tipo di rinuncia volontaria (Esercizi Spirituali, n. 319). Leggi il commento.
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  • VII regolaQuando sei nella desolazione, considera come il Signore ti lascia nella prova, affidato alle tue forze naturali, perché tu resista. Puoi farlo, con l’aiuto divino che ti resta sempre, sebbene tu non lo senta chiaramente: il Signore ti ha sottratto la sua consolazione, ma ti lascia sempre la sua grazia per combattere efficacemente il male (Esercizi Spirituali, n. 320). Leggi il commento
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  • VIII regola: Quando sei desolato, cerca di rafforzarti nei sentimenti contrari a quelli che senti, e pensa che presto sarai consolato (Esercizi Spirituali, n. 321). Leggi il commento
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  • IX regola: Tre sono le cause principali per cui sei desolato. La prima è perché sei lento, pigro o negligente: è colpa tua se la consolazione spirituale si allontana da te. La seconda, perché Dio vuole dimostrarti quello che sei e quanto avanzi senza l’incentivo delle sue consolazioni. La terza, perché tu sappia per esperienza tua che non sta a te procurarti o mantenere grande devozione, amore intenso, lacrime, e qualunque altra consolazione spirituale, ma che tutto è grazia di Dio, in modo che tu non faccia il nido in casa altrui, inorgogliendoti o attribuendo a te ciò che è dono di lui (E.S., n. 322). Leggi il commento.
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  • X regola: “Quando sei consolato pensa a come ti troverai nella desolazione che in seguito verrà e accumula nuove forze per allora” (E.S., n.323). Leggi il commento.
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  • XI regola: “Se sei consolato pensa a umiliarti e a ridimensionarti, pensando al poco che vali nella desolazione, senza quella grazia o consolazione. Al contrario, se sei nella desolazione, pensa che, con la sua grazia, puoi resistere, prendendo forza dal Signore” Leggi il commento.
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  • XII regola l nemico si comporta come la donna che diventa debole davanti alla forza e forte davanti alla dolcezza. Infatti, come è proprio della donna che litiga con qualche uomo perdersi d’animo e fuggire quando l’uomo le mostra il viso duro, – mentre al contrario, se l’uomo comincia a fuggire e a perdersi d’animo, l’ira, la vendetta e la ferocia della donna sono molto grandi e smisurate -; così è proprio del nemico indebolirsi, perdersi d’animo e indietreggiare con le tentazioni quando la persona che si esercita nelle cose spirituali si oppone con fermezza alle sue tentazioni, facendo in modo diametralmente opposto. Ma se, al contrario, la persona che si esercita comincia ad avere timore o a perdersi d’animo nel fronteggiare le tentazioni, non c’è sulla faccia della terra bestia più feroce del nemico della natura umana che persegua con maggiore malizia il proprio dannato intento (E.S. n. 325). Leggi il commento
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  • XIII regola Ugualmente, il nemico si comporta come un falso amante che non vuole venire scoperto: infatti, come l’uomo falso parla maliziosamente ed adesca la figlia di un buon padre o la moglie di un buon marito, desiderando che le sue proposte restino segrete, mentre, al contrario, gli dispiace molto se la figlia scopre al padre o la moglie al marito le sue parole, perché comprende che non potrà più portare a compimento l’impresa cominciata; allo stesso modo, quando il nemico ti suggerisce  le sue astuzie e persuasioni, vuole che siano accolte e tenute in segreto: gli dispiace molto se tu le manifesti a una persona spirituale esperta, perché si rende conto di non poter portare avanti l’opera incominciata, dal momento che sono stati scoperti i suoi inganni (Esercizi Spirituali, n. 326). Leggi il commento

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IL DISCERNIMENTO DEI GESUITI (XIV REGOLA).

 SIAMO ATTACCATI NEI PUNTI DEBOLI

Scrive S. Ignazio: Similmente, il nemico si comporta come un capo militare: dopo aver piantato la tenda di comando e osservato le postazioni o la posizione di un castello, lo attacca dalla parte più debole. Così il nemico ti osserva da tutte le parti ed esamina tutte le tue virtù teologali, cardinali e morali, e ti attacca e cerca di prenderti dove ti trova più debole    (E.S., n. 327). Leggi il commento

I quattro moschettieri - “Contro i falsi miti di progresso”

CONTRO I FALSI MITI DI PROGRESSO  (video frammento)

Moschettieri contro i falsi miti di progresso

DI AUTORI VARI
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di Francesco Bellotti   per La Gazzeta della Spezia
Una giornalista televisiva, Costanza Miriano, un giornalista ex-deputato e tra i fondatori del Partito democratico, Mario Adinolfi, uno psicoterapeuta, Marco Scicchitano, e un sacerdote dell’oratorio di San Filippo, Padre Maurizio Botta. Sono loro i “quattro moschettieri” che lunedì sera a Lerici, nell’ambito della Festa di Avvenire, hanno tenuto l’incontro-dibattito “Contro i falsi miti di progresso”, che ha tenuto in Rotonda Vassallo fino a tarda ora, anche quando i tuoni minacciavano il temporale, un pubblico attento e partecipe, di oltre quattrocento persone, molti dei quali giovani e famiglie.

«Il titolo è provocatorio» – hanno spiegato don Federico Paganini, parroco di Lerici, e l’editorialista di Avvenire, Lucia Bellaspiga, nell’introduzione. Ma si è trattato di un incontro “per” testimoniare la bellezza e la verità della natura umana, che è oggi insidiata dai “falsi miti di progresso”, frutto di un’ideologia che non mette lo sviluppo a servizio dell’uomo, ma tende a slegare le persone da ogni legame e dipendenza dalla natura e dalle relazioni umane. E’ una sorta di delirio di onnipotenza, un’illusione, che non porta alla felicità duratura, ma all’isolamento e alla delusione. «Non siamo mai contro le persone» – ha premesso Padre Maurizio Botta. «Siamo contro le lobby del “pensiero unico”. Siamo qui per ragionare, riflettere e proporre». Bisogna accogliere chiunque, ma dire sempre la verità. Ogni bambino ha bisogno di un padre e di una madre. «Lo slogan “love is love” non basta. Perché nasca un figlio c’è bisogno di padre e madre. La “neo-lingua” parla di “donatore” e di “maternità surrogata”. In realtà, tali termini nascondono lo sfruttamento del più debole.
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I bambini devono sapere da dove vengono, dove sono le proprie radici». Padre Botta ha anche richiamato le parole di Papa Francesco, che, a proposito della diffusione dell’ideologia del “gender” nelle scuole ha parlato di “campi di rieducazione”. «Da cattolici, non possiamo mercanteggiare. La nostra fede è incompatibile con l’ideologia del gender». Il primo libro della bibbia, la Genesi, dice che “maschio e femmina Dio li creò”, «nessun altro attributo, pur importante, viene citato». Gli uomini sono fatti a immagine e somiglianza di Dio. E tale somiglianza prevede la mascolinità e la femminilità, una diversità che rivela l’essenzialità della relazione, come per il Dio trinitario. «Le donne sono discriminate, ma in quanto madri» – ha proseguito Costanza Miriano. «Il femminismo ha adottato le logiche maschili, ma è felice una donna che è uguale ad un maschio? La femminilità esalta l’accoglienza e la dolcezza. Le catechesi che fa il mondo (anche il mondo fa le sue catechesi) creano invece delle donne tigri». Manca ambizione e fantasia. «Bisogna lottare non per le quote rosa, ma per la tutela della famiglia». Bisogna affermare che è un valore che la mamma si possa fermare a casa fino ai tre anni del figlio. «Non dico che poi debba ritrovare la carriera, ma almeno la scrivania». Il femminismo ha cercato di liberare la donna dal condizionamento del proprio corpo. Ma così «si è passati dalla schiavitù del marito a quella del capo-ufficio».
Per una vera promozione della donna, non si può prescindere dalla sua natura. «Appena una donna concepisce un bambino, inizia tutta una serie di cambiamenti fisiologici» – ha spiegato Scicchitano, psicologo e ricercatore clinico. «Sviluppa un’aggressività di tipo protettivo, non si espone ai rischi. Tutti questi mutamenti sono volti ad accogliere il bambino, quando verrà al mondo. Cosa succede se, al termine della gravidanza, viene privata del proprio figlio, ad esempio perché, per poche rupie indiane, si è prestata alla pratica dell’utero in affitto?» Scicchitano ha commentato il documentario “Il paradosso norvegese“, di Harald Eia, che ha rivelato che anche nella nazione dove l’ideologia del gender è più diffusa permane tuttavia una divisone marcata dei sessi per i diversi tipi di lavori. «Siamo esseri sociali, ma la prima componente della nostra identità è la mascolinità o la femminilità». Dopo pochi mesi di vita i maschi sviluppano le strutture che regolano l’aggressività. Anche l’area del linguaggio a un certo punto smette di crescere, mentre nelle donne continua. Bisogna anche smontare il pregiudizio sui regali delle tutine rosa o azzurre. «C’è un dato biologico. Il sistema visivo maschile e femminile sono diversi. L’uomo e la donna sono sensibili a diversi tipi di colori e di oggetti e immagini. Una bambina reagisce più facilmente al pianto di un vicino di culla. Questi dati biologici sono visibili fin dal primo momento di vita e portano a due modi diversi di stare al mondo».
Lucia Bellaspiga ha ricordato la battaglia di Avvenire che ha portato al ritiro da parte del Ministero dell’istruzione dei libretti dell’UNAR. «Dietro l’espediente della lotta al bullismo – sulla quale siamo tutti d’accordo -, i libretti propagandavano l’ideologia del gender nelle scuole di ogni ordine e grado, fin dalle elementari». I problemi di matematica, secondo tali linee-guida per docenti, dovrebbero basarsi su esempi tipo: “Rosa e i suoi due papà comprano tre lattine di thè al bar. Ogni lattina costa X. Quanto spendono in tutto?”. Bisognerebbe anche smetterla con le antiche favole. Meglio che il principe si innamori dello scudiero. Altrimenti, da grande, lo scolaro rischierà di innamorarsi di una donna e magari anche di sposarla. La famiglia tradizionale non esiste, è solo un’invenzione pubblicitaria. «Trovo di una violenza pazzesca questa omologazione dei bambini al “pensiero unico” fin dalle elementari.
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Lottiamo per la biodiversità e per il mais, ma siamo indifferenti, anzi promuoviamo la cancellazione della diversità umana che porta la vita», ha concluso Bellaspiga. «Io richiamo gli “haters”, gli odiatori di professione», ha esordito Mario Adinolfi, invitando il pubblico a controllare il suo profilo Twitter. «Sapete perché? Perché nel libro “Voglio la mamma” ho dichiarato in modo apodittico due cose: ogni figlio nasce da un uomo e una donna; e le persone non sono cose. Gli “haters” affermano invece che anche Pino e Ugo fanno nascere figli, e che questo è un “diritto incoercibile”, come sostiene la Corte Costituzionale. Secondo loro, noi siamo medievali. In realtà, si tratta solo di una compravendita, a vari strati. Perché la genitorialità viene frammentata. Prima serve l’ovulo, che si ottiene con bombardamenti ormonali. Poi si affitta l’utero, tipicamente da donne in paesi poveri o in via di sviluppo. Questo è sfruttamento dell’uomo sulla donna». E la giurisprudenza italiana ha già di fatto legittimato tale pratica. «Cosa c’è di più democratico, di rilevante per la democrazia che discutere sulla nascita e la vita degli essere umani? Invece il PD, di cui ero membro, pretende che questa esperienza diventi la norma, e chi si oppone è medievale. La legittimazione delle famiglie arcobaleno è un’emergenza? Vengono letteralmente fabbricati dati falsi. Secondo arcilesbica, i “figli” di coppie omoseseuali sono duecentomila. Secondo l’ISTAT, 475. Questa lobby, questo club si oppone al ragionamento di un popolo, sfruttando abilmente il mondo della comunicazione, dove è chiaro che Platinette sa asfaltare Giovanardi. Si sente dire: “che male c’è se quei due si vogliono bene?” Rispondo con le parole di Filumena Marturano, commedia di Peppino De Filippo, comunista, senatore a vita: “i figli non si pagano”. Quando ci dicono che siamo medievali perché ci rifacciamo al cristianesimo, rispondiamogli con un ragionamento laico. Il tempo in cui le persone erano cose era due millenni fa. C’era la schiavitù e l’imperatore, con il semplice giro di un pollice, decideva della vita e della morte delle persone. Sono loro i retrogradi. La lotta alla schiavitù la facciamo noi». Rispondendo ad una domanda del pubblico, Adinolfi ha citato il caso di Brendhan Eich, genio dell’informatica, che ha dovuto lasciare immediatamente la carica di amministratore delegato di Mozilla perchè sei anni prima aveva finanziato con 1000 dollari la campagna per un referendum, poi vinto, per inserire nella Costituzione della California la nozione dell’unicità del matrimonio tra un uomo e una donna. «Non c’è un vero interesse a fare una famiglia omosessuale, non si risponde ad un vero bisogno. E’ solo una rimodulazione di soldi e potere, un occupare degli spazi. Basti pensare ai deputati che diventano tali solo in quanto omosessuali. Le nozze gay sono legge solo in 16 paesi su 201, non in tutto il mondo. All’inizio c’è il boom dell’entusiasmo, poi il calo delle registrazioni. Non è un bisogno, è una lotta ideologica per soldi e potere. Ma, per ottenere questi, si minano le fondamenta della società. Cosa ci potrebbe essere di più violento?» Ha chiuso la serata Marco Tarquinio, direttore di “Avvenire”. «Il nocciolo della questione è che si vuole togliere dalla nascita di un figlio il fattore fondamentale dell’incontro tra due persone. Con la fecondazione artificiale, si passa presto dal bancone di un laboratorio a quello del mercato. Questo è il grande inganno. La nostra non è una battaglia né di destra né di sinistra. Ha le radici nel cristianesimo, ma vale per tutti. Molti fratelli dei bambini che nascono in laboratorio rimangono congelati. Sono le vittime di un’illusione per la quale la perfezione fisica è garanzia di felicità. Ma, anche ammesso che si possa realizzare il fisico perfetto, chi può dire se la sua psiche sarà perfetta? E se succede un incidente? Questa è la presunzione di mettersi al posto di Dio creatore o comunque dell’amore, che muove il mondo». «Spero che tutti capiscano che il problema è il mettere le mani sui bambini. Tra qualche anno sarà chiaro a tutti questo “neo-colonialismo” sul corpo della donna. Le donne fattrici. In India ci sono intere città fabbriche di uomini, a beneficio di coppie omosessuali ma anche etero, “per non rovinarsi la linea”. Dicono che siamo omofobi. Ma ci sono persone omosessuali che capiscono benissimo che intendiamo semplicemente difendere i più deboli e l’ “umano”. E continueremo a farlo».
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 DISCERNERE ( I segni dei tempi  )
Uno sguardo profetico sugli eventi

CONTRO I FALSI MITI DI PROGRESSO - Incontro con Mario Adinolfi, padre Maurizio Botta, Costanza Miriano e Marco Scicchitano.

Roma, Auditorium Antonianum 19 maggio 2014


CONTRO I FALSI MITI DI PROGRESSO - Incontro all'Antonianum

mercoledì 30 luglio 2014

We Asked 24 Women Why They Don’t Use Birth Control And These Are Their Answers

Noi non usiamo anticoncezionali!

«Noi non usiamo anticoncezionali». 24 giovani donne spiegano perché. Con una foto
8) Sesso = dono TOTALE di sé ...
 #NFP (Natural Family Planning, ossia metodi naturali di regolazione della fertilità ndr)

Su BuzzFeed, una delle piattaforme del momento, mix di notizie e di materiale prodotto e condiviso dagli utenti, 22 donne che lavorano al sito 

1) la prima
di loro stesse con un cartello in mano, con su scritto un motivo per cui usano gli anticoncezionali.

24 lettrici hanno risposto con altrettanto foto e altrettanti cartelli, ognuno con su scritto un motivo per cui non usano agli anticoncezionali.


19.
19) Perché NESSUNO è MAI veramente pronto per avere dei figli – e sono una delle cose MIGLIORI, più eccitanti e di soddisfazione che possano mai accadere
 Le foto si possono vedere qui.

Traduciamo le scritte sul “no” agli anticoncezionali (alcune sono una risposta diretta ai cartelli del “sì”):

1)    Perché posso evitare una gravidanza senza avvelenare il mio corpo

2)    Perché anche se i crampi fanno male e può venire l’acne, è una parte normale dell’essere donna


3)    Perché ne vale TOTALMENTE la pena


4)    Perché il mio corpo è un dono per il mio futuro marito, e quel dono include la maternità


5)    Perché sono responsabile e prendo decisioni accettando le conseguenze delle mie azioni


6)    Perché voglio un corpo sano e naturale


7)    Perché essere fertili non è una condizione a cui bisogna porre rimedio


8)    Sesso = dono TOTALE di sé #NFP (Natural Family Planning, ossia metodi naturali di regolazione della fertilità ndr)


9)    Perché non ho bisogno di rinunciare alla maternità per essere una femminista


10)    Perché sono in grado di controllare ME STESSA


11)    Perché gli anticoncezionali permettono agli uomini di usare le donne SENZA conseguenze


12)    Perché curano i sintomi, NON il problema


13)    Non voglio mettere qualcosa di artificiale nel mio corpo per impedire a qualcosa di naturale di accadere


14)    Perché il sesso è più che divertimento… crea la vita!


15)    Perché ho la PCOS (sindrome dell’ovaio policistico ndr) e la pillola è meno efficace delle alternative naturali… ma le compagnie farmaceutiche vogliono  fare $$$


16)    Perché i figli NON sono un inconveniente, sono un dono


17)    Perché è più figo avere dei bambini che cani o gatti


18)    Perché cancro al seno, cancro alla cervice uterina, infertilità... non ne vale la pena


19)  Perché NESSUNO è MAI veramente pronto per avere dei figli – e sono una delle cose MIGLIORI, più eccitanti e di soddisfazione che possano mai accadere


20)    Perché l’essere donna e la fertilità sono un dono bellissimo e io voglio un amore che sia dono di sé e dono della vita


21)    Perché sono orgogliosa della mia femminilità e perché conosco troppe giovani donne che hanno problemi riproduttivi a causa di anni di anticoncezionali


22)    Perché la vita è una cosa bellissima. Sempre


23)    Perché voglio un sistema riproduttivo al 100% sano e intatto per quando SARO’ pronta per avere dei figli


24)    Perché la capacità di creare la vita è un super-potere che sono orgogliosa di possedere

“Guarda lassù tra le foglie, vedi, c’è un pezzettino di cielo blu, blu, usciamo a vederlo” Lidia Macchi


lo Straniero - Il blog di Antonio Socci

NELLA BELLISSIMA, STRUGGENTE LETTERA DI LIDIA, SCRITTA POCO DOPO AVER INCONTRATO DON GIUSSANI (E POCO PRIMA DI ESSERE CRUDELMENTE ASSASSINATA), 30 ANNI FA, C’E’ ANCHE LA MIA STORIA…

COSI’ FIORI’ LA NOSTRA GIOVINEZZA…


Lidia Macchi, studentessa universitaria varesina attiva nei boy scout e militante di Comunione e Liberazione, venne ritrovata uccisa con 29 coltellate il 7 gennaio 1987 in una radura nei pressi dell’ospedale di Cittiglio, Varese, dove era ANDATA a trovare un’amica. Aveva 21 anni. Lo scorso VENERDÌ 25 luglio, dopo 27 anni che il caso giaceva insoluto presso la procura di Varese e avendolo avocato a sé soltanto otto mesi orsono, il sostituto procuratore generale di Milano Carmen Manfredda ha depositato presso la Corte d’Appello del capoluogo lombardo l’avviso della conclusione delle indagini e una richiesta di archiviazione della posizione di un sacerdote che il pm di Varese Agostino Abate non aveva mai ufficialmente espunto dall’albo degli indagati (vedi per esempio la cronaca dell’Ansa).
Qui di seguito riportiamo la lettera in cui Lidia confida a un’amica la circostanza del suo primissimo incontro con don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione. La lettera, risalente AGLI anni in cui Lidia è già iscritta e frequenta l’Università statale di Milano, proviene dall’archivio personale del direttore di Tempi e all’epoca fu trascritta e fatta circolare dai ciellini in forma di ciclostilato.

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Carissima Mara,
abbiamo appena appeso il telefono ed io mi sono con amarezza resa conto che in fondo ti ho raccontato solo le cose più banali della mia vita di adesso. A me sta capitando una cosa straordinaria e un po’ confusa ma veramente grande; è come se in me adesso ribollissero con chiarezza un sacco di domande e di desideri sulla vita. Il desiderio d’essere felice, d’essere libera, cioè di trattare con libertà, senza essere schiacciata od appesantita da tutte le circostanze della vita, il desiderio di amare con profondità le persone che mi sono care, gli amici; il desiderio di costruire anch’io un pezzetto di storia perché altrimenti la storia ce la fanno gli altri sulla nostra testa e noi viviamo la nostra vita completamente indifferenti a ciò che accade fuori dal nostro cantuccio, che per quanto comodo è pur sempre meschino e determinato da piccole stupidaggini ed angherie quotidiane.
Ecco è come se la mia incoscienza, il fare sempre solo ciò che istintivamente mi salta in mente, mi avesse profondamente annoiato con la sua stupidità e superficialità. Mai come adesso la vita mi sembra profonda e grande e soprattutto misteriosa.
È proprio un mistero grandissimo che io ci sia, esista, che sia un fragile puntolino su questo pianeta che ruota con leggi straordinariamente perfette intorno al sole, ed il sole non è che un microbo nell’immensità spaziale e temporale del cosmo.
Ma cavoli, basta sollevare gli occhi al cielo di notte per intuire che la vita di tutto questo universo è un mistero grandioso e noi che siamo uomini e abbiamo e possiamo avere la coscienza di ciò, sprechiamo il nostro tempo afflitti da piccole banalità e da piccoli dolori, senza chiederci – perché ci fa troppa paura ascoltarci per un attimo, ascoltare quella voce che parla in noi, che grida che la vita non può non avere un senso – senza chiederci perché ci siamo, perché siamo fatti così uno diverso dall’altro, eppure al fondo, tutti con lo stesso desiderio.
Dio mio, ma perché se queste domande e desideri ci sono noi ci rassegniamo, viviamo in fondo disperati cioè non attendendoci niente dal domani, chiudendoci in una gabbia che diventa la nostra tomba al limite concedendoci qualche ricordo nostalgico dei bei tempi? Ma quali tempi! È inutile piagnucolare, siamo noi che per primi abbiamo presuntuosamente rinunciato ad essere seri, a prendere in considerazione tutti i grandi desideri che si agitano in noi, perché ci fa comodo piagnucolare, stare nel nostro brodo, fare dei piccoli e miseri peccatucci per credere che se almeno non siamo santi, beh, un po’ cattivelli però lo siamo; invece i nostri peccati fanno ridere i polli, consistono al massimo nella sensualità, in trasgressioni che in realtà fanno tutti, sono alla portata di tutti, perché in fondo siamo solo dei mediocri. Magari si incontrasse qualche grande peccatore profondamente abbagliato dal male!
E quand’anche io sappia tutto, come funziona l’universo intero, e come faccio a respirare, a camminare, a mangiare, chi si sogna per un attimo di ascoltarti quando ti chiedi chi sei, che cosa ci fai sulla faccia di questa terra? Di queste domande hanno tutti paura e nessuno ne parla… Ma perché oggi ci sei, domani muori, e buonanotte…
Buonanotte un corno! Io ci sono, le domande ci sono e voglio sapere, fossi anche l’unica con questo desiderio, in questo mondo superficiale – perché vuole essere tale – urlerò fino a squarciagola, finché morirò, quello che io sento.
Un mese fa mi è capitato, quasi per caso, di andare alla Cattolica con dei miei amici di Varese e di ascoltare uno che si chiama don Giussani, che faceva una lezione di teologia o morale, qualcosa del genere, perché questi esami lì sono obbligatori, e al posto di parlare dei santi e tutto il resto, parlava proprio di queste domande, con un entusiasmo ed una forza che mi hanno molto colpito e spiegava tutti i procedimenti tecnici e pratici che gli uomini escogitano per non starle ad ascoltare, per fare come se non ci fossero o non fossero importanti. Mi sembrava che parlasse proprio di me e ritrovavo tutti i nostri comportamenti abituali spiegati così chiaramente.
Io ero andata lì quasi per caso perché queste persone di Varese e altre di Milano che lo conoscono, mi avevano invitato ed io sono andata lì pensando di ascoltare le solite cose, e invece no.
È strano perché più delle sue parole, mi ha colpito lui, il suo sguardo profondo e attento, qualcosa di inafferrabile, un uomo libero, aperto, non arrabbiato o irato con la vita. Non so dirti niente di più preciso ma è come se custodisse un segreto, una forza non sua.
Io sento che devo parlargli, che lui non ha calpestato le domande che si agitano dentro di me, avrei molte cose da chiedergli, in un modo o nell’altro devo incontrarlo ancora.
Adesso non mi sembra più di essere sola alla ricerca disperata di qualcosa di cui tutti se ne fregano; è come se qualcuno, facendomi sobbalzare, perché è arrivato inaspettatamente, mi avesse detto: “Ehi, sono qui, non urlare e non disperarti, perché seguendo questa strada usciremo dalla foresta”.
E io voglio uscire dalla foresta, perché la vita è mare, cielo, monti e pianure, case, alberi, volti umani, stelle, sole e vento e noi siamo fatti per questo Infinito che c’è; basta solo guardarsi in giro e per questo seguire questo “Qualcuno” che mi è venuto incontro nel groviglio della foresta e che mi dice: “Guarda lassù tra le foglie, vedi, c’è un pezzettino di cielo blu, blu, usciamo a vederlo”.
Lidia Macchi
Ringrazio Luigi Amicone di questa pagina straordinaria

martedì 29 luglio 2014

...sto parlando di adolescenti di ragazzi che avevano fretta di diventare adulti

cercando il video di Marco Paolini...

per errore e uscito questo video... del canale Catechisti Roma
Ma quale errore? e perfetto!

CRESIME 6 - AVARIZIA, LIBERALITA', CONSIGLIO: I 7 DONI DELLO SPIRITO SANTO

La preparazione al sacramento della Confermazione avviene in una fase critica dello sviluppo umano. Ragazzi e ragazze non sono più bambini, ma sono ancora ben lontani dall'essere uomini e donne. E' l'inizio dell'adolescenza, momento delicatissimo in cui le certezze infantili vacillano, ed inizia una ricerca affannosa di sé stessi e del senso dell'esistenza, spesso e volentieri attraverso una messa in discussione ed un rifiuto di autorità e valori precostituiti.

Parlare al cuore di questi ragazzi è certamente una sfida grande, ma è anche e soprattutto un servizio di immenso valore, perché Cristo può veramente realizzare le loro aspettative più profonde.

In questa serie di video, realizzati dall'Ufficio catechistico della diocesi di Roma, viene proposto un metodo efficace e consolidato per affrontare l'immensa sfida rappresentata dalle catechesi per la preparazione alle cresime.
Con don Andrea Lonardo, padre Maurizio Botta, Tommaso Spinelli
Regia e montaggio: Alessandro Franchi

Da Album d’Aprile di Marco Paolini ( LA7  1 febbraio 2008).
“…perché in fondo quello che vi racconto oggi non è questo che sembra
no, sembra che sto parlando di politica, di rugby
invece io sto parlando di giovinezza
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lunedì 28 luglio 2014

La fatalità del corpo

La fatalità del corpo

DI AUTORI VARI ( HTTP://COSTANZAMIRIANO.COM/ )
Pubblicato in: La lettre de l’enfance et de l’adolescence – Revue du GRAPE (Groupe de Recherche et d’Action pour l’Enfance), n°58 : « L’enfant et son corps », décembre 2004, p. 7-12. Grazie a Andrea Piccolo per la segnalazione e la traduzione.
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 «Piccina mia, se sapessi quanto è facile non essere un oggetto sessuale.»
Pronunciò la frase dolcemente, ma con una tristezza così sincera da farla risuonare a lungo nella stanza.
Milan Kundera, Il libro del riso e dell’oblio, VII,4
 
La diversità dei corpi
L’adolescente. Il corpo. L’adolescente e il suo corpo. Ma quale adolescente? Quale corpo? Un adolescente nella media, con un corpo nella media? Un adolescente platonico, con un corpo platonico? Oppure adolescenti molto differenti, con corpi molto differenti, e esperienze che si somigliano come il diritto somiglia al rovescio, il giorno alla notte?
Camminava come uno di quei giovanissimi e bellissimi adolescenti che lei aveva visto sulle spiagge italiane, distaccati, quanto meno possibile interessati alla propria bellezza ma di cui si indovinava, dall’agilità o dalla noncuranza, che godevano intensamente, egoisticamente, dei loro muscoli, dei loro riflessi, della morbida e rapida meccanica dei loro corpi – corpi fino a quel momento solitari, felici d’esserlo e di cui ignoravano ancora il potere venturo[1].
Così per alcuni – che tuttavia ignorano raramente il loro potere a venire, che si esercita già nel presente. Per altri, la descrizione sarebbe meno lirica: si indovinerebbe dal disagio o dalla goffaggine, che soffrono intensamente per i loro corpi sgraziati – corpi che non esercitano alcun potere attrattivo, e minacciati da una solitudine duratura. Un personaggio di Angelo Rinaldi lo afferma: un essere brutto non ha giovinezza.
Il corpo del bambino appartiene ai suoi genitori, esiste in primo luogo agli occhi dei genitori che se ne occupano, vegliano su di lui, spesso lo valorizzano ritraendolo in fotografie, filmandolo con la videocamera. L’adolescente deve appropriarsi del suo corpo sottraendolo all’interesse familiare, o constatando la scomparsa di questo interesse. Da oggetto dei genitori, il corpo si fa portatore, vettore del soggetto. Ma questa evoluzione è lungi dall’essere pura emancipazione: attraverso il corpo, il soggetto si costituisce sotto lo sguardo degli altri, consegnato al loro giudizio. Sottrarsi all’alienazione iniziale del bambino a sua madre, ai suoi genitori, non significa sfuggire all’alienazione. La moltiplicazione degli sguardi amplia lo spazio. Ma allo stesso tempo, questi sguardi sono sprovvisti di indulgenza: se alcuni ne ricevono incessanti omaggi, per altri la situazione è più incerta, per altri ancora è calamitosa.
La liberazione dei corpi
Questo stato di fatto non rappresenta niente di nuovo, ma le modalità sono evolute. Il XX secolo ha unanimemente, sotto tutti i regimi, autoritari o liberali, esaltato la giovinezza. Per un’idea di continuità la giovinezza della giovinezza doveva finire per concentrare su di sé l’attenzione: così è stato durante gli ultimi decenni, dove l’adolescenza è diventata a un tempo visibile, appassionante e problematica. Periodo della vita ignorato in quanto tale in molte società umane[2], si è trovato allo stesso tempo dilatato (scomparsa del periodo di latenza a vantaggio della preadolescenza, confini a valle mal definiti) e fortemente valorizzato nelle rappresentazioni sociali. La concezione dominante, nei paesi occidentali, si esprime in questi termini:
Più precoce, più libero – di avere relazioni sessuali, di amministrare il suo denaro – l’adolescente è protagonista della sua vita più in fretta di una volta. Fisicamente al sommo della sua forza, intellettualmente in piena espansione, socialmente curioso di tutto, psicologicamente pronto ad assumersi rischi come in nessun’altra età della vita, lui è l’età di ogni possibilità.[3]
In due frasi, è detto tutto. Ciò che vuole essere una descrizione assume la forma di un abbandono estatico. «L’uomo non vuole essere dio, vuole essere giovane»: la validità universale di questa affermazione può essere discussa, certamente essa è vera per l’Occidente contemporaneo. Ne è testimonianza la visione inebriata di quest’età testé menzionata, che sacrifica la diversità del reale all’attrazione di un ideale, fortemente erotizzato. Ideale erotico talmente diffuso nell’ambiente circostante che difficilmente se ne coglie l’influenza – che si esprima direttamente, come nell’impiego pubblicitario di corpi adolescenti, o indirettamente come nel passaggio dalla repressione all’incoraggiamento più o meno esplicito alla sessualità adolescente. Il romanzo di Gombrowicz La Pornografia, che mostra gli sforzi messi all’opera da due uomini maturi, non per «approfittare» di un ragazzo e una fanciulla di sedici anni, ma per accoppiarli, è a questo riguardo emblematico. Il ricorso alla letteratura, su questo punto, non è fortuito: c’è bisogno di questo stacco perché si riveli la parte di concupiscenza che entra in ciò che, nel discorso, si dà sempre come un combattimento per liberare gli slanci naturali dalla pesantezza di una morale arcaica. Ahimè, una tale liberazione non ha che gli effetti prevedibili.
Che la competizione scolastica si sia attenuata o meno, è una questione che si può discutere. Se non altro, le forme esteriori di questa competizione sono state, per quanto si possa fare, sfumate: basta componimenti, classifiche, premi, orientamenti procrastinati al massimo, corsi indifferenziati il più a lungo possibile. L’istruzione continua a selezionare, ma a malincuore, con un senso di colpa, quasi di nascosto. E tuttavia, le gerarchie sono forse scomparse nelle scuole? Ne manca un bel pezzo! Nelle scuole medie e nei licei, la competizione è rabbiosa. Essa, favorita dalla promiscuità, si è soltanto dislocata, polarizzata su un nuovo terreno: il terreno sessuale. Chi ha il ragazzo o la ragazza, chi non ne ha; chi esce con strafichi, chi non esce con nessuno: questi sono i veri problemi. E’ così. Si può sorridere, alzare le spalle, passare sopra la questione con condiscendenza, dire che non è quello l’essenziale. Ma l’essenziale per chi? Perché una cosa non deve essere dimenticata: per sorridere o alzare le spalle, bisogna essere capaci di prendere le distanze dalla realtà immediata. Bisogna averne i mezzi. «Tutti i dolori sono sopportabili se li si inserisce in una storia o si racconta una storia su di essi», dice Karen Blixen. Si può perfino riderne, si chiama umorismo. L’umorismo poggia su uno spostamento, un passaggio al «super-io»: assumere nei confronti degli avvenimenti la stessa posizione del genitore che consolava un bambino dicendo: su, su, non è così grave. Ma se nessuno sguardo adulto è lì, chi consentirebbe di dirsi: su, non è grave? Ora, è proprio questo il caso. Degni adulti che considerano gli adolescenti «più precoci, più liberi di avere relazioni sessuali, protagonisti della loro vita più in fretta di una volta» non sono affatto nella posizione di temperare, di relativizzare le difficolta che questi ultimi possono eventualmente incontrare: non c’è più spostamento possibile, non c’è più un fuori.
Affrancato dell’autorità degli adulti, il bambino non è stato liberato, ma sottomesso a una autorità ben piò spaventosa e veramente tirannica: la tirannia della maggioranza […] [I bambini] sono consegnati a sé stessi, sono consegnati alla tirannia del loro gruppo, contro il quale, per via della sua superiorità numerica, non possono ribellarsi, col quale, essendo bambini, non possono discutere e dal quale non possono sfuggire per nessun’altro mondo , perché il mondo degli adulti è chiuso loro[4].
Gli adolescenti sono in una situazione analoga. Il testimone interiore di cui difetta il bambino, e che permette di sfuggire alla presa dell’Altro, si è costituito, ma quali sono i suoi mezzi? Che il mondo degli adulti sia chiuso o che rinneghi la sua differenza, in entrambi i casi il punto d’appoggio esterno fa difetto. Senza leve, l’adolescente è votato a vivere nel mondo così come si presenta. Perché non è un superuomo nietzscheano, che sceglie i suoi valori in maniera attiva e sovrana, ascoltando solo la sua volontà di potenza. E’ sottomesso al contesto, ai modelli circostanti. E il contesto, per dirla in modo crudo, è «un mondo composto di strafighi e di cessi, di tipi tosti e di sfigati[5]». Si può sbottare, contestare, riprovare un tale linguaggio, trovare che sia un guardare la realtà con vedute ristrette. Il risultato è che si sarà rifiutato di vedere la realtà così com’è. Si può affermare che le cose sono molto più complicate. Cosa assolutamente vera – ma la complessità vale solo se affina le verità primarie, non se le dissimula o le fa dimenticare.
La verità primaria è che «la sessualità è un sistema di gerarchia sociale» che si impone dall’adolescenza, con una influenza tanto più grande in quanto non ce ne sono molte altre a quell’età. I cattivi allievi di una volta potevano, all’occasione, trovare delle compensazioni – carattere indipendente e disinibito, forza muscolare, conoscenza dell’altro sesso, ecc. – potevano burlarsi dei forti nelle versioni e degli albi donore. Un’intera letteratura ha fatto dei somari i suoi eroi. Ma nella competizione sessuale, che cosa possono opporre i vinti ai vincitori? Ben poche cose. Eventuali successi scolastici? Questo può contentare i genitori, ma resta inefficace nel momento in cui la posta in gioco è esistere autonomamente, fronteggiando istanze esterne che, in difetto delle istituzioni, non possono essere che i pari. L’antica morale borghese diffidava del sesso per viltà, per paura di vivere, per pigrizia: «Naturalmente il sesso è ed è sempre stato peccato perché non c’è bisogno di darsi da fare per ciò che è proibito[6].» Ma se il sesso non è più un peccato, se è consentito e non solo consentito, ma dato d’esempio? Allora non si può che prendersela con sé stessi per non riuscire a ottenere ciò che è liberamente a disposizione di tutti. Così è comparsa una nuova figura di «somari». Ma questi assolutamente sprovvisti di grazia, irrecuperabili, refrattari alla trasmutazione letteraria. Possono essere compresi, compatiti, non amati.
La biologizzazione dei corpi
Gli adolescenti entrano nella competizione sessuale coi loro corpi come primo viatico. Alcuni ne otterranno innumerevoli o memorabili successi; altri conosceranno fortune alterne; altri infine avranno, da subito, meno possibilità di un impiegato tessile senza specializzazione, licenziato a cinquant’anni e in cerca di impiego in una regione in crisi. Si pretende sempre che gli adolescenti manchino di informazioni: sulla sessualità, i metodi contraccettivi, la prevenzione dell’AIDS. Allora glie ne si dà senza considerare sempre che allo stesso tempo si aggrava in alcuni un’altra carenza, più fondamentale. «Proprio come il liberalismo economico senza freni, e per ragioni analoghe, il liberalismo sessuale produce fenomeni di pauperizzazione assoluti. Alcuni fanno l’amore tutti i giorni; altri cinque o sei volte nella vita, o mai. Alcuni fanno l’amore con decine di donne; altri con nessuna. E’ ciò che si chiama la “legge di mercato”[7]
L’adolescente, nel marasma, ha almeno il vantaggio di potersi illudere nella speranza di un avvenire migliore. Ma lo può davvero? «Fisicamente al sommo della sua forza, intellettualmente in piena espansione, socialmente curioso di tutto, psicologicamente pronto ad assumersi rischi come in nessun’altra età della vita, lui è l’età di ogni possibilità»: una rappresentazione di questo tipo gli lascia poche illusioni. Glie lo si afferma: lui è al punto culmine della sua esistenza. Dopo non farà che avvizzire. Di fronte agli orpelli della giovinezza, l’età adulta ha l’espressione dispiaciuta, non vale che per quel poco che sopravvive in essa delle virtù giovanili, per non parlare della vecchiaia sinonimo di naufragio. «Di tutti i segni di debilità dell’epoca, uno dei più irritanti è per me il modo in cui quest’epoca parla della vecchiaia: modo turbolento (ne parla continuamente) e circoscritto (ne parla istituzionalmente, mai esistenzialmente, “sistema pensionistico”, “soggiorno per la terza età”), […] Al giorno d’oggi, non c’è contropartita simbolica alla vecchiaia, nessun riconoscimento di un valore specifico: saggezza, lungimiranza, esperienza, avvedutezza[8].» Questi modi di vedere, caricano il corpo di una importanza esorbitante: il suo declino è, precisamente, quello dell’essere. Ecco l’adolescente posto in una situazione singolare: il corpo di cui si appropria è, immediatamente, al suo apice. E lui con esso. All’inizio è l’apogeo. Che concluderne se l’apogeo è molto basso?
Attraverso il suo corpo, l’adolescente è messo bruscamente a confronto con le aporie dell’epoca. Sottraendolo al controllo familiare, acquisendo il diritto di disporne a modo suo diviene libero. Ma solo per scoprire che questa libertà è gravemente e doppiamente confinata. Da un lato, da un determinismo biologico che identifica l’essere al corpo, e consegna il corpo alle sorti della materia. E’ in relazione a questo assegnamento biologico che si può interpretare la voga di pratiche come il piercing, il tatuaggio o pratiche che consistono nell’esercitare violenza contro sé stessi. D’altro lato, la libertà si scontra con le «leggi di mercato» della seduzione, più rigide che mai nell’adolescenza. Anche qui, il corpo appare sotto le sembianze della fatalità. Una fatalità tanto più difficile da comprendere in quanto ovunque – in televisione, nelle riviste, sui cartelloni – non si espongono che degli «è la mia scelta»; una fatalità tanto meno comprensibile in quanto la scienza moderna, che ha fatto del corpo la sua cosa, veicola un ideale di onnipotenza, di convertibilità di tutto in tutto. Eppure, alle tecniche di trasformazione dell’apparenza, illustrate in modo compiacente dai media, quale infima frazione della popolazione ha accesso? Ciò che fa si, in fin dei conti, che esse alimentino infinitamente più frustrazioni di quanto non portino soccorso. Anche quando queste tecniche sono messe in atto. Il loro potere rimane modesto, non possono compiere miracoli. Sul fronte delle diete, del training e degli sforzi dello stesso tipo, i risultati sono ugualmente limitati. Il corpo resiste. Perché ha il suo equilibrio, o perché è il sintomo di difficoltà che si giocano su un’altra scena, inconsapevole. Quando si arrende è a prezzo di una attività spossante e metodica, agli antipodi dell’abbandono al godimento che si presume consenta e che di fatto impedisce[9]. Il corpo oggetto, oggettivato, macchina da padroneggiare e domare, sopravanza troppo il corpo vissuto – ciò che la fenomenologia chiama il corpo proprio, il corpo così come lo si abita, non parte del mondo ma ciò per mezzo del quale si è al mondo. Questo corpo vissuto era respinto dalla morale antica, perché troppo carnale. Allo stesso modo è ignorato dalla scienza moderna, perché non abbastanza materiale. Questa simmetria nel rifiuto dovrebbe far riflettere. Il materialismo non è che l’immagine inversa dello spiritualismo – vale a dire che gli è identico, a meno del segno. Sotto l’apparenza del materialismo, è un dualismo radicale che si perpetua: il corpo, interamente de-spiritualizzato, consegnato senza riserve all’oggettivazione, ha per risultato paradossale di esiliare completamente il soggetto dal suo corpo. Se ne trova un segno caricaturale nel «sogno» carezzato in certi ambiti scientifici americani, di un abbandono del corpo per un transfert di sé su un nuovo supporto, meno contingente e più durevole. E’ lecito supporre che coloro che sono affezionati a questo fantasma non appartenessero alla squadra dei vincitori, nella competizione sessuale avviata alla scuola media. Lo spirito che li muove non è una singolarità isolata: trova profonde risonanze negli sviluppi della scienza contemporanea, che a sua volta ha grandi conseguenze sull’evoluzione del nostro mondo. Per il tramite di una metafisica biologizzante, la questione del corpo non è stata chiarita. Si è limitata a guadagnare un livello in oscurità, passando per risolta.
 
 
 
[1] Françoise Sagan, E poi alla fine [De guerre lasse, 1985], trad. dal francese Cin Calabi, Mondadori, Milano, 1990.
[2] La parola latina adulescentia designa la giovinezza, adulescens il giovane uomo o la giovane donna da diciassette a trenta anni, anche oltre. La parola «teen» è sempre più impiegata, forse perché il termine adolescente comincia a sembrare troppo lungo, troppo ampolloso per l’uso sempre più frequente che se ne fa. Con il marchio del participio presente latino, scompare ugualmente ciò che il termine indicava di transitorio a vantaggio di una identità più marcata. Infine bisogna tenere conto del desiderio di avvicinarsi a coloro che il termine designa imitando la loro libertà di linguaggio.
[3] Le Monde, 1° settembre 2004, «Adolescenti: ciò che rivela la crisi» (Catherine Vincent). Se crisi c’è, ci si può chiedere se una tale rappresentazione dell’adolescenza non ne sia in parte responsabile.
[4] Hannah Arendt, «La crisi dell’istruzione» [“The Crisis of Education”, 1961], in Tra passato e futuro, trad. Tania Gargiulo, Garzanti, Milano, 1999.
[5] Michel Houellebecq, Le particelli elementari [Les Particules élémentaires, 1998], Bompiani, Milano, 1999. Queste distinzioni sono ben lungi dal basarsi unicamente sulle caratteristiche fisiche. L’immagine che si dà dipende dal modo in cui si percepisce sé stessi – senza dimenticare che questa percezione di sé dipende dal modo in cui si è percepiti.
[6] Fritz Zorn, Marte – il cavaliere, la morte et il diavolo [Mars, 1977], trad. dal tedesco Amina Pandolfi, Gabriele Capelli Editore, Mendrisio (CH), 2006..
[7] Michel Houellebecq, Estensione del dominio della lotta [Extension du domaine de la lutte, 1994], Bompiani, Milano, 2000.
[8] Roland Barthes, Le Neutre, Seuil, 2002, p. 192.
[9]«Le ossessioni dietetiche, la tirannia della “linea”, le continue imposizioni concernenti il look, la medicalizzazione di ogni minima attività, l’obbligo di prestazioni sportive o di conformità professionale, la crudele predominanza della giovinezza contro ogni idea di maturità o di saggezza: tutto ciò induce una crudeltà fisica verso sé stessi di cui le riviste riportano ingenuamente l’eco. Queste mortificazioni glorificate non valgono ampiamente, in intensità di sforzo e di dolore, le restrizioni esercitate un tempo sui desideri sessuali?» (Jean-Claude Guillebaud, La Tyrannie du plaisir, Seuil, coll. Points, 1999, p. 470).