State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...
State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

martedì 29 ottobre 2013

Bye bye bunny ... Music for Po


Ciao FRATEL CONIGLIETTO Pò' 


ma  senza dimenticare Grisù. 


Bye bye bunny ... 

Questa Musica è per voi. 






The Hobbit - Misty Mountains  1 -2- 3- 4



1 - The Hobbit - Misty Mountains - Peter Hollens Acappella





4 - The Misty Mountains Cold -The Hobbit (OST)



Rabbit EngSud Amarantine - Enya




♫ Lord of the Rings - The Grace of Undómiel (with lyric)


Enya - May It Be

PER TE Po' 

Johann Pachelbel - Canon In D Major (Organ Church Version)


Vi ho mai parlato di fratel coniglietto
che si credeva perfetto perfetto
e dell'orecchio che teneva dritto
e lo zampino rotto
sfidava tutte le tartarughe
credendosi un leprotto
e non voleva mai
farsi la tana sotto
farsi la tana sotto
E vi ho mai detto di quel passerotto
che gli volava sul tetto sul tetto
e della volta che gli aveva scritto
mi sembri tutto matto
e questo correre
piace soltanto al gatto
piace soltanto al gatto

Ma quando venne Trudy la farfalla
presero tutt'e due una bella sberla
uno ci andava insieme tutto il giorno
l'altro faceva il turno
ma poi arrivarono la stessa notte
volarono le botte
e se ne andarono
senza più darsi retta
www.tirateladimeno.com senza più darsi retta
con tutte le ossa rotte

E vi ho mai detto che ora stanno insieme
e che si vogliono perfino bene
uno non pensa d'esser più leprotto
l'altro ha trovato un tetto
e sfidano insieme le tartarughe
facendogli dispetto
e poi si contano
le stelle sopra il letto
le stelle sopra il letto
le stelle sopra il letto.

Copyright Roberto Vecchioni
Di Roberto Vecchioni - 
Fratel ConigliettoAutore: Roberto Vecchioni
Album: Bei Tempi (1985)


Fratel coniglietto Roberto Vecchioni - Album Bei Tempi

PER TE Po'

"Bei tempi"....



"Bei tempi", con testo (Roberto Vecchioni)




Grisù e Pò non ci sono più!

The Last of the Mohicans - Promentory



Ciao GRISU' e PO'

Sono sicuro  che con NOI siete stati BENE, 
Per molti anni ci avete divertito liberi  nel giardino con salti & corse.
Grazie ancora per la vostra compagnia.



Maurice Ravel / Pavane 



FLY a due mesi.



Alone Wolf (violin)

FLY ieri e oggi.
FLY
CIAO Pò.
Il tuo amico Giovanni.


Pachelbel's Canon in D (Dj Extrava Remix)



Canon in D- New Wedding Music/ Wedding Song (Celtic mix)



Secret Garden " Sanctuary"




Secret Garden: 'The Dream'



lunedì 28 ottobre 2013

Da LoStraniero di Antonio Soci <> FRANCESCO E ...

Antonio Socci
Antonio Socci è nato a Siena il 18 gennaio 1959.

FRANCESCO E QUEL COLLOQUIO CON SCALFARI

27 OTTOBRE 2013 / IN NEWS
C’è confusione e smarrimento, in alcune aree del cattolicesimo, per i primi mesi di papa Francesco. E c’è chi – lefebvriano più o meno confesso – soprattutto tramite la rete soffia sul fuoco di questo malessere, per alimentare il dissenso e per amplificare i dubbi, delegittimando il papa.
Tutto fa brodo per attaccare Francesco, perfino il colore delle scarpe o il fatto che dica “Buongiorno” e “Buon pranzo”. Ogni inezia viene guardata col sospetto di eterodossia e di infedeltà alla tradizione.
Ma degli atti ufficiali del suo magistero se ne infischiamo. Nemmeno considerano il documento più importante che finora ha firmato, la sua prima enciclica, la “Lumen fidei”, dove fa completamente sua la meditazione sulla fede di papa Benedetto. E lo scrive apertamente.
Così pure snobbano il suo magistero quotidiano. Per esempio anche in questi giorni più volte ha esaltato la famiglia e il matrimonio e in una serie di altri interventi ha ribadito l’insegnamento della Chiesa sulla vita, dal suo inizio alla sua fine naturale.
Inoltre ha fatto pubblicare dal Prefetto dell’ex S. Uffizio un documento sull’accesso ai sacramenti dei divorziati-risposati che ribadisce tutto il magistero cattolico di sempre (documento che deve aver deluso non poco i modernisti).
Ma tutto questo non è considerato. Mentre il Papa da settimane viene “impiccato” (moralmente) a una battuta attribuitagli da Eugenio Scalfari nel corso di un colloquio privato che poi è stato pubblicato sulla “Repubblica” il 1° ottobre. Si tratta di quelle due righe sulla coscienza, il bene e il male.

DUE RIGHE ESPLOSIVE

Da settimane nella rete (e in qualche giornale) ribolle il malcontento di certi cattolici che, scandalizzati, sollevano sospetti sul Papa per quelle due righe.
Nessuno di loro sembra porsi la domanda più ovvia: papa Francesco pensa veramente che ognuno possa decidere da solo cosa è bene e cosa è male e autogiustificarsi così?
Possibile che il Papa professi un’idea per la quale non avrebbe più alcun senso né essere cristiani, né credere in Dio (tantomeno fare il papa)?
E’ evidente che si tratta di una colossale baggianata. Qualunque persona in buonafede si rende conto facilmente che è assurdo aver alimentato tanta confusione per quelle due righe.
Se poi qualcuno, più sospettoso, continuasse ad vere dei dubbi gli basterebbe, per chiarirsi le idee, ascoltare il magistero quotidiano di Francesco.
Anche venerdì scorso, in quella splendida catechesi sulla confessione, ha detto l’esatto opposto; e la confessione – com’è noto – è uno dei suoi temi preferiti, su cui torna continuamente.
Un tema tipico della tradizione cattolica e ben poco frequentato da modernisti e progressisti. Come la devozione alla Madonna e la lotta alla corruzione del diavolo, su cui Francesco torna spesso.
Ma chi sta col “randello” del pregiudizio in mano, con l’unico obiettivo di coglierlo in fallo, non sente ragioni, si attacca a ogni pretesto ed è sempre pronto a colpire.
Il fondamentalista non riflette su come quella frase sia stata veramente detta dal Papa e magari su com’è stata capita e riportata da Scalfari, non coglie la circostanza colloquiale, né il fatto che Bergoglio parla in una lingua che non è la sua e che non padroneggia alla perfezione.
Infine tutto andrebbe valutato alla luce del vero e costante magistero ufficiale di papa Francesco. Il “mestiere” del Papa è uno dei più difficili e delicati al mondo, tanto più oggi sotto i costanti riflettori dei media.

RETROSCENA

Merita comprensione chi, abituato a frequentare le periferie di Buenos Aires come un parroco che porta conforto ai più derelitti, si è trovato d’improvviso sotto i riflettori del mondo a ricoprire il ministero di Vicario di Cristo.
Concediamogli almeno il tempo di prendere le misure. Bergoglio viene dall’Argentina e non conosce né la Curia né l’Italia, tantomeno i  media.
E’ un generoso, uno che va verso l’altro desideroso di abbracciarlo, che cerca di partire dai semi di verità che trova nell’interlocutore e da lì fare dei passi verso la luce di Cristo.
Non so cosa il papa sapesse di Scalfari e come si sia svolto quell’incontro. Però una volta che il malinteso si è prodotto il papa ha cercato di evitare equivoci.
A padre Lombardi è stato detto di far presente che quell’intervista non era stata da lui rivista, è uscita dalla penna di Scalfari dopo una chiacchierata informale. Soprattutto – come padre Lombardi ha sottolineato – essa non fa parte in alcun modo del magistero di papa Francesco.
Ma anche in questo caso ci sono i “troppo zelanti” che l’indomani, il 2 ottobre, hanno rilanciato quell’intervista addirittura sull’Osservatore romano.
Pare che il papa se ne sia rammaricato e che il 4 ottobre, durante la visita ad Assisi, se ne sia lamentato col direttore Gian Maria Vian. C’è anche un video che probabilmente immortala proprio la protesta di papa Francesco per quell’improvvida iniziativa.
Il Papa si è reso conto che è facile essere strumentalizzato dai media.
Per questo un pezzo da novanta della Segreteria di Stato, il monsignore americano Peter Brian Wells, il 18 ottobre scorso, in un evento pubblico ha invitato ad attingere direttamente ai testi del magistero del Pontefice perché “le parole di papa Francesco sono spesso diverse da quelle che gli vengono attribuite da certi organi di stampa”.
Certo, in Vaticano c’è un problema di comunicazione. Ma non da oggi: anche Benedetto XVI incappò nel doloroso malinteso di Ratisbona. Dipende molto dai media, da loro superficialità, approssimazioni o dalla malafede del pregiudizio. Ma non è tutta colpa dei media.
I cristiani – in primis i pastori – di fronte all’epoca dei media onnipresenti devono far tesoro dell’esortazione di Gesù, il quale mandando i suoi apostoli nel mondo prescrive loro di essere “candidi come colombe”, ma anche “prudenti come serpenti” (Mt 10,16).
Oggi poi alla forzatura di certi media che attribuiscono arbitrariamente a Francesco un profilo “sovversivo”, fanno da sponda – come dicevo – certi fondamentalisti che alimentano all’interno della cristianità la stessa idea. Il disorientamento che si produce così non va sottovalutato.
Anche un sociologo attento come Massimo Introvigne ha lanciato l’allarme, mettendo in guardia dal rischio di imboccare la via che porta allo scisma.
Perché la sofferenza è manifestata soprattutto da buoni cattolici ed ecclesiastici finora fedeli al papa che dicono di sentirsi orfani di Benedetto XVI.

IL VERO RATZINGER

Fedeli che però, spesso, hanno male interpretato il magistero di papa Benedetto, si son sentiti una minoranza dalla parte della ragione, contro una maggioranza dalla parte del torto.
Sia pure in buona fede ne hanno dato un’interpretazione politica, quella che divide anche la Chiesa fra progressisti e conservatori. Non capendo che Ratzinger, come papa Francesco, trascendeva del tutto questa logica.
Sono buoni cattolici che hanno ideologizzato arbitrariamente certi sacrosanti contenuti del magistero di Ratzinger, come le cose importanti e preziose che egli ha insegnando sulla liturgia.
Papa Francesco ha detto che non ha nessuna intenzione di cancellare il “motu proprio” di papa Benedetto che liberalizza la liturgia tradizionale, quindi dovrebbe essere esente dalle loro critiche, ma viene bersagliato egualmente, accusato di dare poca importanza alla liturgia, fino a contestazioni ridicole, come quella di chi lo rimprovera di non portare le scarpe rosse che sarebbero simbolo dei piedi piagati di Cristo crocifisso.
Questi sedicenti ratzingeriani infine dimenticano che papa Benedetto ha proclamato fin dall’inizio la sua affettuosa sequela al nuovo papa e ha ricordato a tutti – alla vigilia del Conclave – il fondamento del cattolicesimo: “Mi sostiene e mi illumina la certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura”.
Se non si crede questo, come ci si può dire cattolici?


Da “Libero”, 27 ottobre 2013
Facebook: “Antonio Socci pagina ufficiale”

mercoledì 23 ottobre 2013

Ancora sulla Bellezza...

La bellezza salva il mondo

Omelia del Rettore della PUL per il nuovo anno accademico 2013-2014


 Di seguito l’omelia tenuta dal Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense, monsignor Enrico dal Covolo, nella Messa per l’inizio anno accademico 2013-2014, celebrata oggi,mercoledì 23 ottobre, nella Basilica di San Giovanni in Laterano.
***
Letture
Ez 34,11-12.23-24; Sal 23 (il Buon Pastore); Gv 10, 11-18.
Carissimi fratelli e sorelle, care amiche e amici,
permettetemi di rivolgervi, con il cuore in mano, alcuni pensieri che scaturiscono dall’ascolto della Parola di Dio. Essa, infatti, come recita il Salmista, “è lampada ai nostri passi”.
Il Papa Francesco, nell’indimenticabile saluto alla gente, che gremiva piazza san Pietro la sera della sua elezione, adoperò la metafora del cammino per indicare la vita della comunità ecclesiale. Ricordate certamente le sue parole: “E adesso, incominciamo questo cammino... Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi”.
Anche il cammino della nostra comunità universitaria, nell’anno accademico che inizia, sarà caratterizzato da amore e fiducia, se la Parola di Dio ci illuminerà – quella Parola che è Gesù Cristo stesso –.
Come abbiamo ascoltato nella lettura del Vangelo, Gesù ha tracciato la propria “biografia” parlando di se stesso come del “buon Pastore”.
A partire da questa icona svilupperò un paio di considerazioni.
Il bel Pastore
Un po’ di filologia ogni tanto non guasta.
Uno legge il testo greco, quello originale, e scopre che il Pastore è definito non agathós, cioè buono, ma kalós, ossia bello. Certo, si potrebbe ricordare che l’ideale etico del mondo classico era rappresentato proprio dalla bellezza e dalla bontà coniugate insieme: “Bello, perché buono”, avrebbe detto Platone. Oppure, rimanendo nel solco della filologia semitica che offre lo sfondo ai testi del Nuovo Testamento, scritti in greco da Ebrei che pensavano come Ebrei, si potrebbe osservare che la stessa paroletta ebraica tov significa tanto “bello” quanto “buono”.
Bene, con queste osservazioni linguistiche, dove voglio andare a parare?
Vorrei dirvi questo: “Gesù è bello”; anzi, è il Bello per eccellenza. Sant’Agostino, sedotto dal fascino della sua grazia, esclama estasiato: “A noi, che crediamo, lo Sposo si presenta sempre bello… E’ bello nell’invitare alla vita e nel curarsi della morte, bello nell’abbandonare la vita e nel riprenderla; bello nella croce e nel sepolcro, bello nel cielo” (Enarrationes in Psalmos 44,3).
Cari amici, professori e studenti, questo vi dico oggi, contemplando l’icona di Cristo, il Pastore buono e bello: siamo chiamati ad essere belli!
Ma belli di quale bellezza? Di quella che nasce dalla conversazione, dalla frequentazione, dall’assimilazione, dall’imitazione del Verbo divino, il bel Pastore, il buon Pastore, venuto tra noi per dare la vita nell’umiliazione della Croce, e per riprenderla poi nello splendore della gloria.
Splenderemo di questa bellezza se, adempiendo la nostra missione universitaria, indagheremo la verità delle cose, ricomporremo l’unità fra la teoria e la prassi, testimonieremo la bontà nelle relazioni, perché, come insegnavano i maestri del Medioevo, lavia pulchritudinis unifica i sentieri del bonum e del verum.
In questo senso, la pastorale universitaria – di cui quest’anno ci occuperemo in modo speciale – non sarà un’azione aggiuntiva, o addirittura estrinseca, rispetto alle consuete attività di un’istituzione accademica, ma nello svolgimento dei nostri impegni universitari quotidiani risulterà l’irradiazione e l’espansione di una vita interiore, di un’“esistenza teologica” – così avrebbe detto Hans Urs von Balthasar –, che professori e studenti coltivano a contatto con la sorgente della bontà e della bellezza. Chi vive nella Grazia di Dio, chi è di casa nella comunione ineffabile con Lui, diventa bello.
Si racconta che santa Caterina da Siena, contemplando la visione di un’anima in grazia di Dio, avrebbe voluto mettersi subito in ginocchio, scambiandola per Dio stesso, se non fosse stata avvertita che quella era solo una creatura, e non Dio.
Educhiamoci alla bellezza. Essa è dolcezza, gentilezza, sensibilità, delicatezza, amabilità, finezza, garbo, buona educazione. Per tutti passeranno gli anni, eppure potremo irradiare sempre bellezza, se i riverberi del Pastore bello, perché buono, ci raggiungeranno. E le nostre parole e i nostri gesti potranno toccare il cuore della gente, perché solo la “bellezza salva il mondo”.
La porta delle pecore
E ora la seconda considerazione.
Come forse sapete, nello scorso anno ho visitato i centri di studio della Terra Santa collegati alla nostra Università. Proprio in quei giorni mi sono domandato: questo brano autobiografico – cioè la parabola del Pastore che dà la vita per le pecore – dove l’avrà pronunciato, il Signore Gesù? E mi è parso di trovare un piccolo e ragionevole indizio.
Lo condivido con voi, perché si presta a un’applicazione feconda.
Lo stesso evangelista Giovanni, che riporta il discorso del buon Pastore, è pure l’unico degli autori sacri a raccontare un certo miracolo compiuto da Gesù: la guarigione del paralitico presso la piscina di Betsaida (Gv 5,2).
La piscina era situata nei pressi del Tempio, e spesso i pellegrini, prima di consegnare gli animali per il sacrificio, provvedevano alla purificazione di queste vittime, compiendo i riti preliminari accanto alla piscina. Lì vicino si apriva una delle porte della cinta muraria della città. Per il motivo che vi ho detto, si chiamava la “porta delle pecore”. E la piscina prese il nome, altrettanto eloquente, di “probatica”, cioè “piscina delle pecore”.
Questo il dato storico-topografico che serve all’esegesi del discorso del buon Pastore: può essere che Gesù l’abbia pronunciato proprio qui.
A noi però interessa scoprire qualche cosa che tocchi il nostro cuore. E mi pare, allora, che non sia azzardato pensare che Gesù, quando parla delle sue pecore –  che egli conosce come il Padre conosce e ama Lui – le guarda desiderando proprio questo: che ciascuna di esse si trasformi in un’offerta gradita al Padre.
Non vi sembra davvero bello?
Anche noi dovremmo assumere il medesimo sguardo di Gesù, e nutrire questa santa aspirazione, quando guardiamo a quelle “pecore”, che siamo anzitutto noi, e che poi sono le pecore che passano tra le nostre mani: purificarle, contribuire alla loro santificazione, perché (ed esco dalla metafora) la gente, che incontriamo nell’esercizio della missione – per molti, oggi, qui all’interno della PUL; e domani per molti altri di voi nei contesti dove operererete –, la gente sia  migliore, e la sua esistenza, un poco alla volta, si rinnovi e si converta in un canto di lode a Dio.
Il Padre gradisce un unico canto di lode, un’unica offerta: un’esistenza umana riuscita, persone pure, generose, capaci di trasformarsi in dono per gli altri.       
Siamo tutti preoccupati per le crisi del mondo, quella finanziaria, di cui i media parlano, e quella etica, di cui i media non parlano affatto, ma che è pure un’emergenza e una catastrofe. Quali risposte daremo? Serve il nostro contributo di studio e di pensiero, di testimonianza e di azione, perché gli uomini e le donne del nostro tempo diventino migliori eticamente e spiritualmente, sapendo che sono solo i santi che cambiano il mondo in meglio!
Ci aiuti Maria Santissima, la Tota Pulchra, che, dichiarandosi “la serva del Signore”, offre la sua vita con il Figlio, fino al Calvario. Cantando il Magnificat, la Vergine ci sprona a fare dell’esistenza nostra e degli altri un’offerta gradita al Padre, per mezzo di Gesù Cristo, Pastore dei pastori. A lui la gloria nei secoli. Amen.
                                                                                                  + Enrico dal Covolo

lunedì 21 ottobre 2013

Alla finestra no, ragazzi/e! - Meeting RnS Sicilia 2013

 

  Ribloggato da Sulla Strada di Emmaus:
Alla finestra no, ragazzi/e! - Meeting RnS Sicilia 2013
(Pubblico volentieri il testo della meditazione di questa mattina tenuta con oltre duemila ragazzi/e del Rinnovamento dello Spirito a Palermo dal titolo "Voi siete il campo di Dio". Con un grazie grande per questa giornata di grazia vissuta assieme con voi. Mi siete entrati subito nel cuore!)
Palermo, 20 ottobre 2013
Convegno Regionale Giovani "Rinnovamento nello Spirito"

Anni dopo la morte, sfogliando i brogliacci delle sue carte hanno trovato un appunto. La calligrafia era la sua, quella di don Oreste Benzi, il gigante di Dio dalla tonaca lisa. Era un appunto, quasi il suo testamento. Rivolto ai suoigiovani: tossici e clochard, prostitute e detenuti, falliti e banditi. In quel foglietto ci sta scritto: “(Giovani) ribellatevi, non con la violenza ma con la vita, senza mai demordere. Siate come un rullo compressore vivente che non lascia tranquillo nessuno. Non scendete a compromessi, riappropriatevi della gestione della società. Siete stati sradicati dalle vostre origini, vi è stato tolto il futuro dalle mani, siete costretti a consumare emozioni. Per il sistema è meglio che voi siate drogati. Io spero che i giovani si sveglino (Vostro, don Oreste)”. Qualche secolo prima un altro condottiero, Saulo/Paolo di Tarso, alla sua gente di Corinto – gente avvezza al traffico ambiguo di una città portuale – ricordò loro il canovaccio di una vecchia storia: “Quando uno dice: «Io sono di Paolo, e un altro: «Io sono di Apollo, non vi dimostrate semplicemente uomini? Ma che cosa è mai Apollo? Che cosa è Paolo? Servitori, attraverso i quali siete venuti alla fede (...) Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete campo di Dio, edificio di Dio” (1 Cor 3,4-9). “Voi siete il campo di Dio”. Cosa significherà mai questo se non l'augurio più imbarazzante che si possa rivolgere, carissimi ragazzi?




1. “Voi siete”. Indicativo, non congiuntivo o condizionale.
Non voglio trattarvi da bambini, ma vi ricordate la grammatica italiana? Fosse un compito di italiano, stamattina dovremmo scrivere: “voce del verbo essere, modo indicativo, tempo presente, seconda persona plurale”. Non è un'esortazione (per questo ci sarebbe il congiuntivo, “che voi siate”), non è un comando (sarebbe compito dell'imperativo, “siate!”) e non è nemmeno un auspicio (dovremmo fare uso del condizionale, “sareste”): è l'indicativo presente, “siete”. Perchè Dio non illude, non rimanda, non posticipa: Dio irrompe nell'attimo della tua storia per fartela giocare da protagonista. A voi il mondo promette il futuro, ma nel frattempo vi ruba il presente: perchè ha paura della vostra giovinezza, della freschezza dei vostri ideali, dell'ingenua bellezza di chi avverte tutta la forza dei suoi vent'anni. Ha paura, per questo vi parla sempre del futuro e mai del presente: per farvi stare buoni, per tenervi sotto assedio, perche “fare spazio” a voi significherebbe mettersi da parte. C'è tutta una storia, invece, che vi assicura che Dio a voi ci crede per davvero: la storia di Davide che sfida Golia, di Geremia lamentava d'essere troppo giovane, di Tobia invitato da un angelo a sposare la sua donna; eppoi di Giosuè gettato nella mischia dopo il grande Mosè. La storia d'insopportabile bellezza di Maria, ragazza giovanissima ma tremendamente capace di Cielo. A loro Dio per primi ha detto: “voi siete, tu sei!” Non sarai: anzi sarai/diventerai ciò che decidi di essere oggi. Potresti diventare anche tu profeta per conto di Lui. Come Ivar.
Ivar Benjamin Oesteboe è uno dei ragazzi scampati alla strage di Utoya. Anche lui c'era quel giorno. Vi ricordate cosa stavano facendo? Erano protagonisti di un campus estivo: probabilmente stavano riflettendo sul futuro del pianeta, sul possibile protagonismo giovane in politica, sull'organizzazione della speranza per la loro nazione. Sessantanove suoi amici sono caduti sotto la furia omicida. Chissà perchè, ma Ivar è scampato alla strage; non sempre scampare, però, significa sentire il cuore battere di gioia. C'è chi esce con una forza in più come Viktor Emile Frankl, c'è chi avverte la colpa di non essere morto pure lui come Primo Levi; e c'è chi come Ivar ha deciso di tornare a vivere nel nome degli amici. Ivar conosceva la coniugazione del verbo essere: “Tu sei, Ivar” avrà sentito sussurrare nel suo cuore. Ha preso carta e penna e ha scritto una lettera. A chi? Ad Anders Behring Breivik, il killer che gli ha rubato gli amici e complicato la speranza. Senti la forza dirompente delle sue parole: “Tu crederai forse di aver vinto (…) - scrive Ivan all'assassino - A Utoya, in quella calda giornata di luglio, tu hai creato alcuni fra i più grandi eroi che il mondo abbia mai prodotto, hai radunato l’umanità intera (…) Io non sono arrabbiato – conclude il ragazzo - Io non ho paura di te. Non ci puoi colpire, noi siamo più grandi di te. Noi non risponderemo al male con il Male, come vorresti tu. Noi combattiamo il Male con il Bene. E noi vinceremo”. Certo che vincerete, ragazzi: se solo avrete il coraggio di firmare la vostra vita da protagonisti: non lasciate che nessuno la firmi al posto vostro, non ve lo perdonerete mai. E allora innamoratevi della vita, non immalinconitevi. Cantate, ballate, suonate la musica e scrivete canzoni. Amate la vostra terra: la ginestra dei Nebrodi, l'orchidea di Branciforti, il fiordaliso delle Eolie. Il profumo di zagara e quello di mandorla, il colore dei gelsi, dei fichidindia e dei melograni. Giocatevi tutte le possibilità, abitate le contraddizioni della vostra terra: non è la terra dei padrini, è casa tua, è casa nostra. Vi rideranno dietro perchè siete inesperti, ingenui e dilettanti, come hanno riso dietro a don Pino Puglisi, come ridono dietro a don Fortunato Di Noto, come stanno irridendo tanti uomini e donne dal cuore grande: ricordate a tutti costoro che il Titanic fu costruito da professionisti e affondò negli abissi. L'arca della Scrittura fu costruita da Noè, un agricoltore: resse, però, la furia violenta di un diluvio disastroso. “Voi siete” E anche il contrario: “siete voi!”. Punto e a capo. Siete il presente, quelli che costruiscono il futuro senza dimenticare il passato: cioè siete l'oggi. Non perdere tempo, ti prego: la tua faccia è l'unica storia che puoi raccontare solo tu! Non puoi delegarlo ad altri: non sarebbe giusto nei confronti di Dio, della storia. Di te.




2. “Il campo”. L'immagine quotidiana dell'Eterno.
E' un'immagine bellissima quella del campo: un'immagine che parla da sé. La capisce il contadino di Sicilia: vi immagina i fiori di mandorla e i limoni di Selinunte, il cardo di Boccone e le mandorle di Avola, i gelsi e i castagni. La capisce lo sportivo: il campo da calcio e quello da baseball, il campo d'allenamento e quello da gara, il campo sintetico e quello d'erba. Eppoi tanti altri campi: il campo/scuola, il campo di concentramento, il campo di lavoro. Il campo è terra ma anche possibilità, tante possibilità: chi ha un campo si può inventare un lavoro, guadagnarsi il pane, far fruttare un talento. Papa Francesco ha usato l'immagine del campo strappandola allo sport. Non il campo da gara, però, ma il campo d'allenamento: “Che cosa fa un giocatore quando è convocato a far parte di una squadra? - si domandava papa Francesco nella veglia di Copacabana - Deve allenarsi, e allenarsi molto!” Dio a me ha dato un campo, a te un altro campo, ad ognuno il suo campo: cioè un pezzo di terra nel quale giocarsi la propria vita. Eppure senza allenamento anche il più talentuoso dei campioni rimane una schiappa. Ma sopratutto – pensa l'inimmaginabileosare di Dio – in questo spazio di terra Dio t'incontra. Come in quel lontano mattino sulle sponde del Lago: quel giorno c'era un gruppo di persone, nemmeno tutte troppo giovani, alcuni erano anche padri di famiglia. Passa Gesù che li aveva notati tante volte immersi nei loro lavori, nei loro pensieri, abbarbicati alla loro terra, o meglio al loro lago e alle loro abitudini, li guarda e li chiama. Li toglie dal torpore, li lancia su un futuro diverso: “Andrea non stare a raschiare questo lago con le tue reti tutta la vita, vuoi buttarti nella avventura del Regno di Dio? Guarda che non sarà una vita facile, ma io ti sosterrò. Ti interessa?” Accese in loro il desiderio di una vita piena, traboccante, perfino esagerata rispetto ai loro sogni. E cosa fecero? Andarono e videro dove abitava: cioè si misero in gioco, accettarono di rischiare, Gli diedero credito. E la gioia di quella scoperta fu così dirompente che scatenò un tam tam che non si è più fermato. Andrea lo dice a Pietro, lo viene a sapere Natanaele, la voce corre per tutta la Palestina e correrà per tutto il mondo senza mai fermarsi. Da allora molti uomini e donne hanno sentito questo invito testimoniato e lo hanno seguito. Si sono allenati all'imprevedibilità del loro Maestro. Prendine uno, forse il più capestro e infedele: Simone/Pietro. Lui Gesù lo aveva incontrato su invito del fratello Andrea: “Abbiamo trovato il Messia. Vieni a conoscerlo”. Lui ci va. Perché non è uno – come tanti, come troppi, forse come noi – che si accontenta di quello che ha: la barca, il lavoro, la famiglia, gli amici. Vuole di più! Gesù, dopo averlo fissato con i suoi occhi pungenti, lo sorprende, lo anticipa, lo spiazza: “Simone, tu ti chiamerai Pietro”. Pietro, da pietra, da roccia: qualcosa di solido, di robusto, di stabile. Simone, dentro di se’, deve essersi fatta una risata amara. Si conosceva. Sapeva di avere tante qualità, ma non quella di essere roccia. Gli amici, la moglie, la suocera gliel’avevano cantato in tutte le salse: “Ti entusiasmi subito, ma ti sgonfi in un lampo”. Adesso questo Gesù, che lo vede per la prima volta, gli dice: “Ti chiamerai Pietro”. Cederà, ma Gesù non l’ha mai svergognato. E lui, per ripagare non si fermerà. Nonostante le bastonate, la prigionia, la persecuzione. Ormai è una roccia. Gesù, puntando sui suoi pregi e non sui difetti l’ha trasformato! 
Anche Simone, come don Marco, forse da Gesù cercava delle risposte. E, invece, è rincasato con il doppio delle domande. Perchè nella Sacra Scrittura funziona sempre così: quando la storia sta per arrestarsi, il Cielo lancia una domanda: “Adamo, dove sei? Che cercate? Che ho a che fare con te, o donna? Pietro, mi ami tu più di costoro? Dove andremo a comperare cibo per tutta questa gente? Volete andarvene anche voi? Vuoi guarire? Donna, perchè piangi? Figlioli, non avete nulla da mangiare?”. E' incredibile la voglia di rischiare di Dio: piuttosto che darti il pesce t'insegna a pescare, piuttosto che riempirti di grano ti fa dono di un campo, piuttosto che inventarsi una vita chiede ospitalità al grembo di una donna. Insomma, è un vero allenatore, uno di quelli che sanno allenare i fuoriclasse genetici, la specie più difficile da lavorare: gettare loro delle risposte che interroghino le loro presunte certezze. “Che cosa vuoi che faccia, che cosa vuoi della mia vita? Questo è allenarsi – dice papa Francesco - Domandate a Gesù, parlate con Gesù. E se commettete un errore nella vita, se fate uno scivolone, se fate qualcosa che è male, non abbiate paura. Gesù, guarda quello che ho fatto! Che cosa devo fare adesso? Però parlate sempre con Gesù, nel bene e nel male, quando fate una cosa buona e quando fate una cosa cattiva. Non abbiate paura di Lui!” 
Davvero, non abbiate paura di Lui. “Voi siete”, ragazzi: è l'inatteso di una scoperta. Ma c'è di più: c'è un campo che siete voi e che avete voi. Per giocarvi una vita da protagonisti e non da semplici spettatori.




3. “Di Dio”. Il genitivo che fa la differenza.
Il presente del verbo essere (“Voi siete”) e la ricchezza di una possibilità da giocarsi (“siete il campo”). Sopratutto, però, è quel genitivo che fa la differenza: “voi siete il campo di Dio”. Cioè siete di qualcuno, appartenete a qualcuno, c'è qualcuno che si prende cura di voi. La vostra storia non è una stra-maledetta cosa dopo l'altra ma la proiezione di un amore che viaggia all'infinito. Immagina la scena: nel mezzo di una folla caotica – alla stazione dei treni di Bagheria, alla fermata dell'autobus a Politeama, nel terminal dell'aeroporto “Falcone e Borsellino” – una voce grida il tuo nome: non è un fischio al quale si voltano quasi tutti, non è nemmeno un codice segreto che fa sussultare una parte della folla. No, è il tuo nome ad essere gridato. E lo capisci dall'emozione che ti procura, da quel batticuore che ti sposta persino la maglietta: fino a quel giorno, magari, nessuno aveva mai pensato a te. Stavolta, invece, quella voce ti punta, ti illumina, si fa spazio tra la folla per farti sentire importante. Vedete, cari ragazzi, il cristianesimo narra la splendida possibilità di “avere una storia con Dio”. Si, proprio come dicono gli adolescenti: “ho una storia con Valentina, ho una storia con Luca”, e nel mentre te lo raccontano è come se il loro cuore si affacciasse nello sguardo, che il Cielo avesse trovato posto nei loro occhi, che tutto il mondo fosse sospeso a quel batticuore. “Ho una storia con Dio”, e questa storia vive delle stesse dinamiche delle storie d'amore, con i suoi alti e bassi, con le gioie e i trasalimenti, con i periodi di mestizia e quelli di ardore. E' una storia d'amore nella quale Dio non chiede di cancellare le passioni ma di farle sbocciare in pienezza. C'è un passaggio del Nuovo Testamento che ogni volta che lo leggo mi si stringe il cuore: “Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma svuotò se stesso (…) divenendo simile agli uomini” (Fil 2,6-7). Cioè non fece pesare la sua discendenza, il fatto di essere davvero “Figlio di Papà”, non mise in imbarazzo la gente semplice: ma si fece come loro. La sua voglia di raccontarsi fu spinta da un sogno: creare confidenza con l'uomo. E il cristianesimo è tutto qui: l'uomo che tenta di rispondere all'eterno corteggiamento di Dio. Come nelle più quotidiane storie d'amore. Nasce qui la splendida e inaspettata espressione tratteggiata da papa Francesco nel santuario della Madonna di Aparecida: “lasciatevi sorprendere da Dio”. Un Papa che parla di Dio come di una sorpresa è un Papa che ha ben presente che il cristianesimo nasce da un incontro, quello col Risorto. Che per lui rimane un'eterna sorpresa. Nella sua duplice sfaccettatura: “mi hai sorpreso!”, perchè se è vero che il cristianesimo nasce da un incontro, è altrettanto vero che di quell'incontro non abbiamo noi l'iniziativa e non è programmabile: irrompe quando meno te l'aspetti. Ed è sorpresa pure nell'altro senso: “mi hai fatto una sorpresa!” perchè il manifestarsi di Dio rimane sempre qualcosa che eccede le aspettative dell'uomo. Ecco perchè di fronte alla sorpresa di Dio il cristiano non può avere “la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo”. La faccia triste, funerea, abituata. La faccia spenta di chi non si è mai innamorato una volta sola in vita sua.
Lasciarsi sorprendere, come in quel mattino in cui Cristo, fino ad allora sconosciuto, rischiò il tutto per tutto: rischiò persino di prendere in giro un gruppetto di pescatori incavolati con la pesca. Ricordate? Pietro e i suoi soci hanno lavorato tutta la notte, ma invano. Non hanno preso neanche un pesce. Gesù dice loro: “Gettate la rete dalla parte destra della barca”. Pietro fece notare a Gesù che non aveva voglia di risalire sulla barca, andare al largo, con il sole a picco sul mare per non prendere niente. Era anche stanco: l'ultima cosa che avrebbe voluto era quella di farsi prendere in giro da un uomo di passaggio. Tuttavia rispose con fermezza: “Sulla tua parola getterò la rete”. In altre parole Pietro dice: “Secondo me tu sbagli, non c’è pesce ma io vado contro la mia ragione, mi fido di te. Sulla tua parola getto la mia vita”. Morirà crocifisso a testa in giù: nel nome di quell'Uomo che lo aveva allenato a diventare uomo. Uomo capace di fare spazio alle sorprese di Dio.




4. Conclusione: “Voi siete (il campo) di Dio”
Prima che suoni la campanella e ci alziamo per consegnare il compito di grammatica, non ci resta che unire le parole, quasi che la frase fosse un puzzle e la scuola un bellissimo gioco da bambini: “Voi siete il campo di Dio”. Ne esce quasi una dichiarazione d'amore, come quando ad una donna le si dice: “sei splendida come una rosa”. O ad un uomo: “mi fai venire i brividi da quanto sei bello”. Perchè il cristianesimo è tutto qui: sapere che sei di qualcuno, che sei di Dio. Di Dio e di nessun altro, per cortesia. Provo a dirti la differenza tra essere di Dio e essere degli uomini? E’ come per il solletico, quando ti faccio il solletico tu ridi a crepapelle, sghignazzi senza misura ma quando poi smetto il tuo riso si ferma subito, e magari sei anche un po’ stanco, senza fiato. E’ diverso dalla gioia, vero? Quella rimane dentro anche se smetto di solleticarti il pancino: la differenza è questa, il nostro essere di Cristo non è solo far divertire la gente, che all’inizio va bene ma alla fine la lascia solo stanca, è un donare la nostra presenza, il nostro amore. Alla fine non resterà il fiatone ma il ricordo di una presenza che li ha amati.
E allora andate e camminate, ragazzi/e: fate spazio a Dio e lasciatevi sorprendere dalla vita, parlate a tutti della vostra storia con Dio e cantate l'amore, metteteci la faccia nelle cose e non abbiate paura di sbagliare. Sognate in grande ma sappiate gustare il piccolo. Le piccole cose della vita di tutti i giorni. Vi lascio in dono una splendida pagina scritta da Etty Hillesum. Non è stata scelta a caso: gli avvenimenti di questi giorni – il 70° anniversario del rastrellamento degli ebrei nel ghetto di Roma e la morte di uno dei nazisti più tristemente noti – ci ha mostrato in presa diretta cosa succede quando l'uomo decide di non appartenere più a Dio, ma di diventare lui stesso Dio. Eppure anche dentro la catastrofe più disumanizzante, Dio non si arrende. Rispnde con la forza del bene. Con la storia di questa ragazza, Etty. Di lei ci è giunto solo il diario: tutto il resto è rimasto sepolto nei pressi di Auschwitz, cittadina divenuta tristemente famosa negli anni Cinquanta del secolo scorso. Era figlia di una famiglia della borghesia intellettuale ebrea, vi morì nel novembre del 1943. Nella prima parte del suo diario, il lettore s'imbatte in una sua splendida riflessione: “è tutto un mondo che va in pezzi. Ma il mondo continuerà ad andare avanti e per ora andò avanti anch'io. Restiamo senz'altro un po' impoveriti, ma io mi sento ancora così ricca, che questo vuoto non m'è entrato ancora dentro. Però dobbiamo tenerci in contatto col mondo attuale e dobbiamo trovarci un posto in questa realtà; non si può vivere solo con le verità eterne: così rischieremmo di fare la politica degli struzzi. Vivere pienamente, verso l'esterno come verso l'interno, non sacrificare nulla della realtà esterna a beneficio di quella interna e viceversa: considera tutto ciò come un bel compito per te stessa(E. Hillesum, Diario, Adelphi, 98-99).
Tradotto: non restiamo alla finestra, ragazzi/e! Come dice Francesco: “per favore, non mettetevi nella coda della storia (…) non guardate dal balcone la vita, immergetevi in essa come ha fatto Gesù”.
Perchè quanto tutto è buio, rimangono due possibilità: o maledire l'oscurità oppure accendere un fiammifero. A me la seconda piace davvero.