Nell’omelia mattutina a Santa Marta, il Papa parla del senso cristiano del matrimonio, in analogia al rapporto tra Gesù e la Chiesa
Vaticano(a cura Redazione "Il sismografo")(Gian Guido Vecchi) «Questi matrimoni che non vogliono i figli, che vogliono rimanere senza fecondità… La cultura del benessere di dieci anni fa ci ha convinto: è meglio non avere i figli! È meglio! Così tu puoi andare a conoscere il mondo, in vacanza, puoi avere una villa in campagna, stai tranquillo…». Francesco alza lo sguardo, sorride ironico: «Ma forse è meglio, è più comodo avere un cagnolino, due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino!È vero o no questo? Lo avete visto voi? E alla fine questo matrimonio arriva alla vecchiaia in solitudine, con l’amarezza della cattiva solitudine. Non è fecondo, non fa quello che Gesù fa con la sua Chiesa: la fa feconda».Nell’omelia mattutina a Santa Marta, il Papa parla del senso cristiano del matrimonio, in analogia al rapporto tra Gesù e la Chiesa: «fedele», «perseverante» e «fecondo». Ad ascoltarlo, nella piccola cappella dell’albergo vaticano, ci sono una quindicina di coppie, alcune sposate da venticinque, cinquanta, perfino sessant’anni. E Bergoglio spiega che tra «le cose che a Gesù non piacciono» ci sono i matrimoni sterili non per necessità, ma per scelta. Il problema, naturalmente, non sono gli animali domestici, Francesco del resto sta preparando una enciclica sulla custodia del creato e lo ha già scritto nell’esortazione Evangelii Gaudium: «Ci sono altri esseri fragili e indifesi, che molte volte rimangono alla mercé degli interessi economici o di un uso indiscriminato. Mi riferisco all’insieme della creazione. Come esseri umani non siamo dei meri beneficiari, ma custodi delle altre creature». Il problema, piuttosto, è se diventano surrogati di figli che non si vogliono avere. È la «cultura del benessere che ci fa poco coraggiosi, ci fa pigri e anche egoisti» perché «il benessere anestetizza», come aveva già denunciato in un’altra omelia di Santa Marta, il 27 maggio dell’anno scorso: «No, no, più di un figlio no, perché non possiamo fare le vacanze, non possiamo andare qua, non possiamo comprare la casa… Sta bene seguire il Signore, ma fino a un certo punto. Questo è quello che fa il benessere: ci getta giù, ci spoglia di quel coraggio, del coraggio forte di andare vicino a Gesù».Francesco, l’aria assorta e preoccupata, lo spiegava una settimana fa ai giornalisti nel volo di ritorno da Tel Aviv, spiegando le ragioni del sinodo sulla famiglia di ottobre: «Oggi, tutti lo sappiamo, la famiglia è in crisi: è in crisi mondiale. I giovani non vogliono sposarsi o non si sposano e convivono, il matrimonio è in crisi, e così la famiglia». Così il Papa parla della fecondità matrimoniale, ma anche della fedeltà («l’amore di Gesù della sua Chiesa è fedele, e questa fedeltà è come una luce sul matrimonio: la fedeltà dell’amore, sempre!») e della perseveranza: «La vita matrimoniale deve essere perseverante, perché al contrario l’amore non può andare avanti. La perseveranza nell’amore, nei momenti belli e nei momenti difficili, quando ci sono i problemi: i problemi con i figli, i problemi economici, i problemi qui, i problemi là. Ma l’amore persevera, va avanti, sempre cercando di risolvere le cose, per salvare la famiglia. Perseveranti: si alzano ogni mattina, l’uomo e la donna, e portano avanti la famiglia». Un po’ quello che diceva ai giovani appena sposati, nel viaggio di ottobre ad Assisi: «Litigate quanto volete, se volano i piatti pazienza, ma mai finire la giornata senza fare la pace!».Quanto al problema dei (pochi) figli, all’inizio dell’anno il consiglio permanente della Cei notava come, tra problemi economici e «una cultura diffidente verso la vita», l’Italia in particolare avesse un tasso di natalità di 1.3 figli per donna, tra i più bassi (il nostro Paese è terzultimo) in Europa. I genitori, diceva Francesco durante la Giornata mondiale della gioventù, a Rio de Janeiro, dicono che i figli sono le «pupille dei loro occhi» ed è «un’immagine molto bella»: come dalle pupille «la luce entra in noi», è dalle nuove generazioni che «il futuro entra nel mondo» osservava. Prima di concludere: «Che ne sarà allora di noi se non ci prendiamo cura dei nostri occhi? Come potremo andare avanti?».Fonte
Un neppure troppo velato rimprovero di Papa Francesco alle coppie di sposi che preferiscono gli animali da compagnia ai figli, apre la gazzarra degli animalisti. Eppure chi crede che con un animale si "riempie un vuoto" è un illuso.
Cani e gatti e... figli.
di Rino Cammilleri LaNuovaBussolaQuotidiana
Personalmente, non amo granché gli animali. Questo non vuol dire che li odio, però. Diciamo che non me ne frega niente. Sono nato e cresciuto in campagna, tra i contadini degli anni Cinquanta che vivevano in mezzo a bestie di tutte le taglie, da lavoro, da carne e latte, da cortile e domestiche. Tutte però avevano la loro utilità, anche queste ultime: col cane si andava a caccia, il gatto teneva lontani i topi. Il contadino di una volta ci stava a stretto contatto, con gli animali, ma per necessità. Non ho mai visto un contadino sbaciucchiare una bestiola, né giocarci, né – figuriamoci - dormirci insieme. Li rispettava e ne aveva cura, certo, perché ne aveva bisogno. Ma il loro compito era, come il suo, lavorare. Punto. Se aveste chiesto a un contadino se amava gli animali vi avrebbe guardato come un personaggio bizzarro e magari avrebbe chiesto: «Scusi, può ripetere la domanda?».
Diversa è la storia in città, dove tutti gli animali sono «da compagnia». Ce ne sono di esotici, è vero, e anche pappagallini in gabbia o pesci nell’acquario. Ma i più gettonati sono i cani e i gatti. È con questi ultimi che, nella quasi totalità dei casi, si instaura un rapporto di «amore». Ora, poiché – stando alle statistiche - nelle case italiane ci sono più cani & gatti che bambini, Papa Francesco, alla messa in Santa Marta, ha parlato proprio di questo a una quindicina di coppie (etero, ovviamente) che festeggiavano il venticinquesimo, il cinquantesimo e qualcuna addirittura il sessantesimo anniversario di matrimonio. Riferendosi, con non tanto velato rimprovero, a quelli che, scientemente, preferiscono i pets ai figli, ha detto, tra l’altro, che questi «forse trovano sia meglio, più comodo, avere un cagnolino e due gatti, e l’amore va ai due gatti e al cagnolino».
In effetti, non si può negare che a cani&gatti basta mangiare ed essere portati a evacuare ai giardinetti, mentre i figli richiedono maggiori cure, maggiori spese, spese che spesso si protraggono per decenni. I figli, tra l’altro, sono come l’uovo di pasqua, che non sai mai cosa ci trovi dentro. Infatti, possono venir su problematici o malati, possono non ricambiare l’affetto, mentre questo non accade con le bestiole. Queste, basta addestrarle e poi ubbidiscono: zitto, a cuccia, fermo, dài un bacino a papà (con i cani vien meglio, perché i gatti, si sa, sono più indipendenti). E poi, la pet-therapy è ottima se sei depresso. Certo, anche loro si ammalano e bisogna sterilizzarli, ma è un impegno da poco se paragonato a quello richiesto dai figli, che comincia addirittura nove mesi prima che nascano (e poi il parto va fatto in ospedale, fonte di ansia, mentre le bestiole le compri già pronte). I pets non abbisognano di colloqui coi maestri e i professori, non devi spendere per prime comunioni, non devi stare attento a chi frequentano, non devi inserire password criptate nel computer, non devi svenarti in asili nido, pediatri, vestiti, libri, iscrizioni a musica-sport-danza, ricariche telefoniche. Non devi continuare a mantenerli se disoccupati. Insomma, rispetto ai figli, gli animaletti sono un affare. È vero, muoiono prima, ma puoi sempre comprarne altri. Cani&gatti «danno», i figli «chiedono».
Il vantaggio competitivo, tuttavia, va a farsi benedire nella terza parte della vita, quando sei vecchio e quasi sicuramente malato. Qui non c’è gatto che tenga, e il cane può andar bene, al massimo, se diventi cieco. Qui, senza figli, sono dolori. Se puoi permettertelo, vai a finire in un ospizio a quattro stelle, dove puoi giocare a carte o a dama coi coetanei e guardare la tivù in stanza (a basso volume, perché attraverso le pareti si sente: se sei diventato mezzo sordo, inforchi l’apparecchio). Purtroppo, nessuno ti viene a trovare, perché non hai figli né, per forza di cose, nipoti. Il cane e il gatto che allietavano la tua esistenza sono morti da un pezzo, e non si sa se all’ospizio te ne fanno tenere altri. Ma se non sei benestante sono guai, perché a te dovranno provvedere le istituzioni. Italiane. Con i Nas che solo se allertati vengono a controllare che non ti leghino al letto o peggio. Sei ancora in grado di startene a casa tua? Bene. Ma chi va a pagarti le bollette, a fare la fila in banca, a vedere che non ti freghino, a protestare alle poste o per una improvvisa cartella di Equitalia? Be’, qui l’elenco degli svantaggi di non avere prole, ma tutt’al più badanti (le quali, anche loro, sono come l’uovo di pasqua) sarebbe lungo e invito il lettore ad aggiungere, come esercizio, ciò che manca.
Non mi addentro nel discorso «se non ci sono i giovani chi paga le pensioni?» perché è stato già troppe volte esaustivamente affrontato e qui intendiamo limitarci a cani&gatti. Commentando le parole del Papa, il veterinario del «Giornale», Oscar Grazioli, ha così, rispettosamente, concluso: «Santità, ma per chi non ha il dono della fede, l’affetto di un animale può colmare molti vuoti, senza l’angoscia di un mondo che lacera le vite di genitori e figli. Forse anche per chi ha la fede». I contadini (siciliani, nel mio caso) degli anni Cinquanta avevano di fronte una realtà molto più angosciante: una devastante sconfitta bellica e la fame. Tuttavia, i figli li facevano, e pure tanti. Poi partivano con la valigia di cartone legata con lo spago. Anche quelli che, oggi, affollano i barconi di Lampedusa lasciano una realtà ancora più angosciante, nella quale, però, non hanno smesso di procreare. Già, perché i figli sono investimento e speranza nel futuro, quel che da sempre ha fatto andare avanti l’umanità.
Uno che ai figli preferisce i cani e i gatti perché ha l’angoscia esistenziale è solo un illuso disinformato: crede che la salute e la giovinezza gli dureranno in eterno. È uno che vive nel presente e non vuole responsabilità. Insomma, è il perfetto frutto della società edonistica contemporanea e per forza non vuole figli: è un bimbetto lui. Per l’«affetto» gli bastano «un cagnolino e due gatti», che riempiono di vita la casa e non impegnano. I figli, invece, costano. Soldi e pazienza. La politica, composta di personaggi che ci rappresentano perfettamente, ha preso atto e, infatti, non solo non sostiene la famiglia tradizionale, ma aggiunge benzina allo sfascio. E si è attrezzata per i «diritti» degli animali. Fateci caso: anche i partiti «di destra» stanno pompando l’animalismo. Eh, dato l’andazzo, in Italia sono voti.
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... ROSES & ESPINE..