Mia madre Chiesa risolverà tutto
di Costanza Miriano – Il Foglio
Credo che sia ormai ufficiale: non sarò mai una vaticanista. Ci sono realtà con cui uno deve fare i conti. Eppure era il mio sogno. D’altra parte anche atletica leggera l’ ho cominciata perché ero innamorata di Sara Simeoni, ma poi ho scoperto che l’asticella mi metteva l’ansia e mi tuffavo sul tappetone passandoci sotto. In compenso ero bravissima nel riscaldamento (ho ripiegato sul mezzofondo).
Volevo fare la vaticanista, ma sono troppo figlia della Chiesa per essere in grado di leggerne in filigrana movimenti interni, fila politiche, correnti. Aspetto con abbandono filiale le sue decisioni, e mi godo enormemente il privilegio di avere una madre tanto esperta, intelligente, prudente. Credo che la Chiesa raccolga le migliori intelligenze del nostro tempo, credo che credere affini il logos e scolpisca come con uno scalpello l’intelligenza dell’uomo.
Non ho paura del sinodo, so che è un cammino. So che ha sempre avuto questo metodo di lavoro – partire dalle istanze del reale per rispondere. So che i questionari si sono sempre fatti, i lineamenta sono le domande preliminari, non le risposte. Quello che è cambiato in questo caso è semmai la pubblicità e la risonanza, di cui forse non è sempre consapevole, paradossalmente, il Papa comunicatore, quello della copertina di Time.
La Chiesa non cambierà assolutamente la dottrina sulla indissolubilità del matrimonio, questo nessuno lo mette seriamente in dubbio e questa è senz’altro la cosa più importante. Che poi si affronti il problema di chi ha sbagliato non mi disturba, se rimane chiaro il fatto che ha sbagliato, perché non si affievolisca la lotta di chi sta combattendo, a volte anche a costo di enormi fatiche.
Il reale interpella la Chiesa. C’è stato un tempo in cui un forte esoscheletro conteneva i cuori e le passioni delle persone, che si mantenevano fedeli al loro posto in famiglia non per chissà quale trasporto e adesione, ma perché la pressione sociale non lasciava molta scelta, e anche perché non ci si aspettava che il matrimonio colmasse tutti i desideri infiniti del cuore umano. Perché il paradosso dell’amore, come dice Rilke, è che due infiniti bisogni di essere amati si incontrano con due limitate e fragili capacità di amare. Sono domande che solo a partire dal ’900 sono diventate di massa in Occidente, dove si è affermata la visione romantica dell’amore, quell’amore ideale ed emotivo che non resiste all’impatto con il reale, e che vive solo nell’impedimento, nell’ostacolo, nell’attesa mai compiuta del congiungimento (che è esattamente il motivo per cui i film finiscono al bacio finale, tendina, the end, disperazione della spettatrice che non sa mai come vivranno insieme lui e lei, se saranno felici, quanti figli avranno, mai, in nessuno dei film caposaldo dell’educazione sentimentale delle fanciulle: Cenerentola, Harry ti presento Sally, Cime tempestose, Pretty Woman e via baciando).
A me interessa che la Chiesa mi dica qualcosa sull’amore, mi aiuti a decifrare il cuore, questa cosa misteriosa e imprevedibile da cui esce, come dice il Vangelo, ciò che contamina l’uomo, le cattive intenzioni che portano al male, e che non è quella cosa rossa e luccicante da marketing. A me interessa che la Chiesa mi insegni che il cuore va educato, e che mi ricordi che l’uomo da solo non è buono, non è capace di amare, che solo Dio con la sua tenerezza infinita per l’uomo può dire per sempre, che ci si sposa in tre, io, lui e Dio, e che la fedeltà è una lotta, è non smettere di lavorare sul matrimonio, è ricondurre ogni sera lo sguardo, a volte è anche come mordere un sasso, o come dice la mia amica Paola, come pestare un Lego a piedi nudi. È un giudizio, alla fine, l’amore è un giudizio e non solo un sentimento, e, definitivamente, un comandamento.
Queste cose a me le hanno dette solo uomini e donne di Chiesa, vivi o morti, cioè vivissimi: è neldepositum fidei che ho cercato la verità su me stessa, ed ho trovato qualcosa che ne avesse il profumo. Di questo davvero l’uomo contemporaneo ha un bisogno disperato: qualcuno che gli dica chi è, e cioè una creatura, maschio o femmina, feconda nella differenza, ferita dal peccato originale, e quindi con unbug nel suo software, un difetto di funzionamento all’origine. Questa è la missione della Chiesa, che davvero, davvero è madre, ed è rimasta l’unica, in questo mondo liquido, coriandolare, nebulizzato, a svelare all’uomo il suo vero volto, a educarlo, a dirgli “tu non sei capace da solo di amare, tutto il bene viene da Dio, chiedilo a lui, e non fidarti solo di te stesso, perché il primo comandamento è esattamente l’opposto, “Shemà, Israel”.
Se in un mondo che dice esattamente il contrario – tutta la produzione pseudoculturale del secolo del benessere non è che un invito a “seguire il tuo cuore” (la mia nonna non si chiedeva come realizzarsi ma come sopravvivere, nel senso proprio della sussistenza), un’esaltazione dell’emozione à la carte, una perlustrazione delle altre vite possibili, un chiedersi cosa succederebbe uscendo alla prossima apertura delle sliding doors – se in un mondo che ha anche, dal ’900, abolito il principio di autorità e dato cittadinanza all’inconscio, che Freud ha prima scoperto e poi sdoganato, se in un mondo così, dove tanta gente, la stragrande maggioranza, si è persa, e ha storie d’amore sballate, la Chiesa si chiede come riacchiapparla, bene, questo non mi scandalizza. Anzi, mi richiama alla necessità della mia conversione, perché non dimentichi la sollecitudine per nessuno.
Non mi disturba che la Chiesa cerchi di capire come farsi vicina a chi si è perso. Credo fermamente che lo Spirito Santo non abbia smesso di agire nella storia, e credo che farà nuove tutte le cose, perché lo Spirito non ha forma, si adatta e rinnova dal profondo. Credo che Cristo sia sposato indissolubilmente con la sua sposa, la Chiesa, e non le sarà infedele, perciò non permetterà che si perda.
Sono certa che i nostri padri, i vescovi, sapranno trovare una via per esprimere vicinanza ai divorziati risposati, una via senza scorciatoie clericali, una via fatta di accoglienza e di accompagnamento personale, una fatica e una strada fatta impolverando le scarpe: il nostro padre Maurizio Botta alla Chiesa Nuova chiama tutti per nome, alla messa della domenica, tutti si sentono suoi, e di coppie divorziate, conviventi, di ogni tipo, coppie che fanno solo la comunione spirituale lui ne accoglie tantissime, senza sconti sulla verità, ma con le braccia e il cuore spalancato e una talare morbida su cui appoggiarsi. Questo è dare accoglienza senza scandalizzare i piccoli, le famiglie che si sforzano di essere fedeli alla loro chiamata, non tanto per difendere il privilegio del fratello maggiore che si crede giusto, quanto per continuare ad annunciare la verità sull’amore, un amore che è molto più a forma di croce che non di cuore. Di questo annuncio il mondo ha un bisogno disperato.
fonte: Il Foglio del 6 marzo 2013
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