di Raffaele Dicembrino – La Croce, giovedì 21 luglio 2016 (testo preso dal sito di Radio Maria)
È apparsa nel messaggio di Kiko come una donna al balcone mentre arriva l’amato, tanto che quel comunicato aveva più dell’elegia e della serenata che del “necrologio”. Tanti scoprono solo ora la forza della sua presenza discreta e ordinatrice, alle spalle e al fianco del fondatore del “Cammino”. Ma chi è stata Carmen, e qual è la sua storia che ha commosso tanti cavalieri, papi e re?
Si è spenta ad 85 anni, a Madrid, nella sua amata Spagna, Carmen Hernandez che insieme con Kiko Argüello ha iniziato il Cammino neocatecumenale negli anni ’60. Era responsabile dello stesso Cammino a livello internazionale insieme a Kiko e Padre Mario Pezzi.È apparsa nel messaggio di Kiko come una donna al balcone mentre arriva l’amato, tanto che quel comunicato aveva più dell’elegia e della serenata che del “necrologio”. Tanti scoprono solo ora la forza della sua presenza discreta e ordinatrice, alle spalle e al fianco del fondatore del “Cammino”. Ma chi è stata Carmen, e qual è la sua storia che ha commosso tanti cavalieri, papi e re?
La ricordano le oltre 22mila comunità neocatecumenali, presenti in 110 Paesi del mondo. Le esequie si terranno oggi 21 luglio alle ore 18.00 nella cattedrale dell’Almudena a Madrid e saranno presiedute dall’arcivescovo della capitale spagnola monsignor Carlos Osoro Sierra. Maria del Carmen Hernández Barrera nasce a Olvega, Navarra, in Spagna, il 24 novembre 1930. Ha passato l’infanzia con la famiglia a Tudela: il padre, Antonio Hernández, è stato il fondatore della società Herba, una delle industrie del riso più importanti della Spagna. Carmen frequentò la scuola dei Gesuiti a Xavier, ricevendo un’impronta missionaria che caratterizzerà tutta la sua vita. Per desiderio del padre, iniziò gli studi di chimica all’Università di Madrid e, dopo la laurea, lavorò per un periodo nell’industria di famiglia. Ma presto, lasciò questo per ritrovare la sua vocazione missionaria giovanile. Entrò in un istituto femminile, sorto da poco: “Le Missionarie di Cristo Gesù”, per coronare il suo sogno.
Per prepararsi alla missione in India, si recò in Inghilterra per apprendere l’inglese.
Erano gli anni ’60 e, con l’inizio del Concilio, anche il suo Istituto entrò in crisi, ponendosi su due binari diversi: da una parte chi voleva restare fedele all’idea originaria della missione e dall’altra chi voleva orientarsi verso una vita religiosa più “normale”.
L’incontro con alcuni studiosi di liturgia (mons. Pedro Farnes Sherer, professore all’Istituto Liturgico di Parigi, Dom Botte, L. Bouyer, ecc.), che stavano mettendo in atto un profondo rinnovamento conciliare, riscoprendo l’Eucaristia, la centralità della Pasqua, l’importanza della catechesi, la necessità di una iniziazione cristiana nelle parrocchie, orientarono Carmen verso il mondo ebraico e verso la Parola di Dio. Passò due anni in Israele, visitando tutti i luoghi sacri, con la Scrittura in mano, meditando e pregando. Con questo profondo e ricco bagaglio, tornò a Madrid alla ricerca di alcuni giovani che potessero unirsi a lei in un progetto di evangelizzazione che voleva avviare concretamente in Bolivia, per aver conosciuto un vescovo disposto ad accogliere questa esperienza. Non vuole rientrare nell’ambiente familiare e va a vivere tra i baraccati di Palomeras Altas, alla periferia di Madrid. Qui si incontra con Kiko Argüello, un giovane di buona famiglia, anch’egli alla ricerca di un’esperienza di vita cristiana più autentica. Non pensa ad un lavoro sociale, ma piuttosto – ispirandosi a Charles de Foucauld – ad una presenza di povero tra i poveri, certo della parola di San Giovanni XXIII che la salvezza della Chiesa sarebbe venuta attraverso i poveri. E qui, tra questi poveri, zingari, quiquies, ex prostitute, handicappati, si venne formando una comunità cristiana, così radicale, così semplice e sincera, così povera ed evangelica che quando Carmen la incontrò ne rimase affascinata.
L’evangelizzazione lasciava di essere una teoria teologica o un progetto pastorale da mettere in atto: era una comunità cristiana.
Nel dialogo con quella povera gente nasce a poco a poco una nuova sintesi teologico-catechetica che non solo tocca la vita delle persone, ma la va cambiando, trasformando poco a poco in una novità: nasce una preghiera sincera, la comunione tra persone socialmente e intellettualmente “incapaci” di questo, si aprono con entusiasmo all’evangelizzazione. Carmen ne è affascinata. Dalla periferia di Madrid, inizia l’annuncio nelle parrocchie, dalla Spagna si passa in Italia: l’azione si va organizzando come un vero e proprio catecumenato post-battesimale. Al fascino catechetico di Kiko (che parla con forza e canta e scruta la scrittura e forma comunità…), Carmen offre una solida base teologica e liturgica, un amore alla Chiesa ed al Papa in particolare, davvero ammirevoli, specie in un tempo tanto critico contro tutte le istituzioni. È sempre attenta alla condizione della donna, di cui prende spesso le difese con originalità e profondità…Famosi i suoi interventi durante le Gmg a difesa della donna, contro gli attacchi che il demonio che dalla Genesi all’Apocalisse la attacca, proprio perché ella ha la fabbrica della vita nel suo seno. Le sue catechesi, semplici ma profonde, coinvolgono spesso il cosmo stesso, strappando l’uomo dalla meschinità della sua vita sedentaria e lanciandolo dentro un ritmo ed un movimento che stanno alla base della sua visione pasquale della creazione e della salvezza. Il Cammino Neocatecumenale non sarebbe ciò che esso è senza la presenza intelligente e creatrice di Carmen. Ha partecipato alla redazione dello Statuto del Cammino, dando un contributo fondamentale davanti a difficoltà e dubbi ed ha gioito quando nel 2011 ha visto la sintesi catechetica che, con Kiko ed i poveri aveva contribuito a mettere insieme, è stata approvata dalla Santa Sede come “Direttorio Catechetico del Cammino Neocatecumenale”. Schiva di ogni adulazione e di ogni onorificenza, si rifiutò sempre di ricevere riconoscimenti particolari. Solo nel 2015 accettò il Dottorato Honoris Causa in Sacra Teologia, in riconoscimento del suo immenso contributo alla formazione cristiana in tutto il mondo, conferitole dalla Catholic University of America di Washington, l’unica università pontificia negli Stati Uniti. Ha partecipato sino alla fine, anche quando era ormai già molto malata, in modo eroico all’evangelizzazione. Un tratto che rivela l’anima di questa donna eccezionale, dal carattere e dal linguaggio diretto, mai doppio, mai ipocrita – e per questo spesso quasi temuta – è quanto ha confessato una volta a Kiko: “Vedi, Kiko, io spesso passo da scorbutica e da impertinente davanti a vescovi e cardinali, ma lo faccio perché essi accettino te!”.
La notizia della morte di Carmen Hernandez l’ha voluta dare lo stesso Kiko Argüello con una lettera a tutti gli aderenti al Cammino neocatecumenale. “Carmen, che grande aiuto per il Cammino! Mai mi ha adulato, sempre pensando al bene della Chiesa. Che donna forte! Non ho mai conosciuto nessuno come lei. Carmen è stata per me un avvenimento meraviglioso: la donna, il suo genio grande, il suo carisma, il suo amore per il Papa e, soprattutto, il suo amore alla Chiesa”. “Per me ha concluso Kiko – è stato commovente che abbia atteso che io giungessi, la baciassi e le dicessi: ‘Animo”. E dopo averle dato un bacio è spirata. Lo stesso Kiko ha poi dichiarato ai media: “Carmen è stata una donna libera. Tutte le ragazze del Cammino hanno detto che grazie a Carmen hanno trovato l’orgoglio di essere donne, perché Carmen è stata fantastica. Ha sempre parlato dell’importanza della donna nella Chiesa. La donna è la figura più importante per questo è stata perseguitata dal demonio dalla prima pagina della Bibbia fino all’ultima, dalla Genesi fino all’Apocalisse. Carmen ha avuto l’ispirazione di chiedere ragazze per i monasteri di clausura. Oggi abbiamo monasteri pieni di ragazze del Cammino: sono più di quattromila le giovani che oggi sono suore di clausura! Lei era innamorata della Veglia pasquale. Ha passato la sua vita studiando attraverso padre Farnes, che era il migliore studioso di liturgia in Spagna, che ha conosciuto quando quest’ultimo andava all’Istituto liturgico di Parigi. Lei ha studiato tutta la riforma liturgica del Concilio e ha donato questa conoscenza al Cammino”. “Come la immagino? Carmen è felicissima insieme al Signore, con Gesù Cristo che l’amava moltissimo! E io sono qui che soffro. Speriamo che ora sia ancora più forte e che aiuti il Cammino. Mi mancherà! 50 anni insieme, predicando il Vangelo! Abbiamo percorso mezzo mondo, abbiamo visitato 40 nazioni!”. Come non ricordare le parole di Papa Francesco sulle opere del cammino neocatecumenale: “Tre parole come un sigillo: unità, gloria, mondo. Tre parole come un “passaporto” consegnato dal Papa ai duemila missionari del Cammino Neocatecumenale – tantissimi mamme e papà e i loro 1.500 figli – che presto si dissemineranno ovunque: 14 missio ad gentes in Asia, 30 in Europa, 6 in Africa, 4 in Oceania e 2 in America. Il demonio, afferma, può tentarci e “farci credere” che siamo “magari migliori degli altri”, tentazione che può insinuarsi “anche nei carismi più belli.
Ogni carisma è una grazia di Dio per accrescere la comunione. Ma il carisma può deteriorarsi quando ci si chiude o ci si vanta, quando ci si vuole distinguere dagli altri. Perciò bisogna custodirlo. Custodite il vostro carisma. Come? Seguendo la via maestra: l’unità umile e obbediente”. “La comunione è essenziale”, ribadisce Francesco, e va vissuta con la consapevolezza che “la Chiesa è la nostra Madre”, con la quale i figli hanno “somiglianza”: “Dopo il Battesimo non viviamo più come individui isolati, ma siamo diventati uomini e donne di comunione, chiamati ad essere operatori di comunione nel mondo. Perché Gesù non solo ha fondato la Chiesa per noi, ma ha fondato noi come Chiesa. La Chiesa non è uno strumento per noi: noi siamo Chiesa (…) Anche l’istituzione è infatti un carisma, perché affonda le radici nella stessa sorgente, che è lo Spirito Santo”. La seconda parola affidata dal Papa al Cammino Neocatecumenale è “gloria”, quella del Vangelo opposta – ricorda Francesco – alla fama che il mondo attribuisce a chi gode di ammirazione e importanza: “È una gloria paradossale: senza fragore, senza guadagno e senza applausi.
Ma solo questa gloria rende il Vangelo fecondo. Così anche la Madre Chiesa è feconda quando imita l’amore misericordioso di Dio, che si propone e mai si impone (…) Chi annuncia l’amore non può che farlo con lo stesso stile d’amore”. Dunque, non la “mondanità” – che anzi Dio “detesta”, rimarca il Papa – piuttosto il “mondo” che il Padre ama. “Mondo” è la terza parola con la quale Francesco si sofferma in particolare sul compito – non facile, riconosce, sofferto ma fatto “per amore” – che ora attende le famiglie missionarie: “Considerate un dono le realtà che incontrerete; familiarizzate con le culture, le lingue e gli usi locali, rispettandoli e riconoscendo i semi di grazia che lo Spirito ha già sparso. Senza cedere alla tentazione di trapiantare modelli acquisiti, seminate (…) la buona notizia che deve sempre tornare, altrimenti la fede rischia di diventare una dottrina fredda e senza vita”.
“Vi accompagno e vi incoraggio (…) Io rimango qui, ma col cuore vado con voi”. Noi vogliamo ricordarla con queste sue parole: “Io fin da piccolissima mi sono sentita chiamata per il Signore alle missioni. Chissà perché, nonostante sia nata ai piedi del Moncayo in Olveda; sebbene mia madre ci facesse nascere lì per via dei nonni e della casa, noi abbiamo sembre vissuto a Tudela, sulla riva dell’Ebro. E lì c’era una sede dei Gesuiti. Non so come stanno ora le cose, ma lì non abbiamo mai avuto Salesiani, o Domenicani né altro; il “San Francesco Saverio” era il collegio più grande che avevano i Gesuiti…enorme e meraviglioso, dove io ho visto passare fin da molto piccola missionari del Giappone, dell’India, della Cina, che sempre ci proponevano i filmini, ci parlavano delle missioni, e poi il collegio di suore della Compagnia di Maria dove andavo io, era proprio accanto ai Gesuiti.
Forse attraverso questo e per grazia del Signore ho sentito sempre fin da molto piccola la chiamata alle missioni. Io dico sempre che prima di San Paolo ho conosciuto San Francesco Saverio, che per me era l’ideale del cristianesimo, e tutto il mio ideale era partire per le missioni e, non so perché, per l’India. Fu così che poi mio padre trasferì la famiglia a Madrid quando i miei fratelli hanno cominciato ad andare all’Università, e a 15 anni che avevo quando sono andata a Madrid, ho fatto la proposta di andarmene da sola in India. Non so cosa pensavo di fare, però ho fatto questa proposta a casa mia che mio padre non mi ha dato uno scapellotto, però mi ha proibito tassativamente di andare in India. Io avevo una perfetta convinzione per la evangelizzazione.
Però la cosa più grande per me, è che io debbo moltissimo ai Gesuiti… per questo mi piace tanto Sant’Ignazio di Loyola, che è un uomo straordinario e non conosciuto; è stato importantissimo nella Chiesa, come tutti gli Ordini, e oggi stanno riuniti tutti i religiosi nel sinodo, e sarà una cosa fantastica, un rinnovamento oggi per loro. Noi non siamo nulla in confronto a ciò che sono i Gesuiti, i Domenicani e tutti, è una cosa fantastica quella dei missionari e di santi che hanno dato le Congregazioni. A quindici anni avevo un proposito – io ho sempre propositi.
Avevo uno zio Gesuita, primo fratello carnale di mia madre. Ogni anno mi proponevo di andarmene, e così presi il diploma. Però il fatto è che in quegli anni giovanili – per questo credo molto alla chiamata ai giovani e alle giovanette – Dio mi diede tantissime grazie, e debbo molto a Padre Sanchez, santo gesuita che stava a Madrid, che mise nelle mie mani il libro di Padre Lapuente. Il Padre Lapuente è un classico dei gesuiti per la meditazione, mi introdusse molto nell’orazione. In questo Padre Lapuente, oltre al metodo gesuitico, è sempre colpito dalla sacra Scrittura: ogni pagina che sfogliavo era piena di Sacra Scrittura. Io sono entrata nella Sacra Scrittura attraverso Padre Lapuente. Ed anche direttamente, perchè lo stesso Padre Lapuente fu il primo in Spagna a pubblicare una Bibbia in spagnolo, molto prima della Nácar Colunga e della De Bouver. Quindi già a 16 anni tenevo una Bibbia in mano. Il Signore mi ha colmato di ispirazione e di grazia. Cosicchè veleggiavo sicuramente con questa chiamata, persino negli studi mi diedero in tutto il massimo dei voti, anche alla maturità: mi veniva tutto facile. Non sono giochi da ragazzi eh? E sono comunque molto interessanti. Trovai molto aiuto in questo Padre Sanchez. Quando feci il diploma, feci un serio tentativo di andarmene, ma mio padre, siccome avevo 17 anni, diceva che in nessun modo avrei potuto andarmene. Così cominciai l’Università, che mio padre aveva i suoi piani industriali, che avrei avuto successo e avrei lasciato tutto per l’industria, sarei andata a Madrid e uno di noi diventava fisico, un altro chimico, un altro ingegnere, un altro economista, aveva già costruito il suo castello. Mi chiamò e mi disse: “Guarda, il primo a dirti che non c’è nulla di più importante di Dio nella vita è proprio tuo padre; ma non capisco perché te ne vuoi andare con le suore mettendo da parte tuo padre che ti può aiutare più di tutti per le missioni.” Cioè che aveva fede, ma voleva che lo facessi con lui e attraverso la scienza, attraverso la chimica, le fabbriche e queste cose.
Però già a 21 anni che facevo Chimica, stavo proprio con mio padre in una delle fabbriche che aveva in Andújar e me ne sono scappata da lì. Mi ricordo che mi lasciò in hotel – che lì erano quasi tutti maschi – e me ne scappai a Madrid; da Madrid fuggo a Pamplona e alla fine arrivo a Javier che era il posto da cui partire per l’India (mio padre mi aveva inseguito a Madrid e io stavo invece là). Quindi ho vissuto lì a Javier anni fantastici. Di spirito missionario, di orazione, di grazia del Signore, di forza evangelizzatrice enorme. In un momento andarono in Giappone, in India, in Congo, da tutte le parti: partivano come frecce. Lì il Signore mi diede moltissime grazie, mi stavo preparando. Molte mie compagne dopo il noviziato le mandavano a studiare Medicina perchè visto che andavano in zone difficili era molto utile studiare Medicina. Rendo moltissime grazie al Signore perché quello fu per me un autentico cenacolo di orazione, di grazie del Signore immense. Così, visto che avevo studiato Chimica, mi fecero studiare Teologia, e grazie a questo Arcivescovo di Valencia che era molto aperto, molto buono, un uomo santo – ora vogliono introdurre la sua causa di canonizzazione – era un uomo molto intelligente. Anche a Valencia, quando lo trasferirono a Valencia da Pamplona, aprì una casa di formazione teologica per religiose e mise lì i migliori professori che aveva a Valencia, fra questi il Padre Sauras che era il numero uno che la Spagna ha avuto tra i Domenicani nella nostra epoca, e il primo che scrisse un libro nuovo sulla Cristologia. Fu al Concilio come consultore. Con lui ho conosciuto i Domenicani e tutta la santa Teologia che si insegna ai sacerdoti, con tutta la Summa di san Tommaso – che questo Padre fantastico spiegava molto bene, con grazia enorme. Alla fine, mi fecero fare quella teologia. E per un anno intero ho lavato roba, che non avevo lavatrice: ho lavato sudari a montagne. Ed infine mi destinano all’India”…. Un giorno il Signore, attraverso una visione o un sogno fantasioso, come volete chiamarlo, mi manda come un’apparizione e mi dice “tu seguimi”. Però il “tu seguimi” risulta essere che si apre una finestra e che devo buttarmi.
Sono spaventata. E Gesù Cristo “Seguimi”: e va bene ti seguo. Esco da questa finestra e comincia una caduta verso il basso come senza paracadute e cioè cadi, vai a terra con una velocità tale da sfracellarti. E Gesù Cristo mi diceva: “Perchè non mi dici che vuoi seguirmi?” ed io “Sì!”. Quando dico questa accettazione, “con te”, incomincia un cambio radicale, un’ascesa. Sapete che sono molto devota dell’Ascensione perché ho vissuto – fuori o dentro la mia carne, non lo so, diceva San Paolo – ciò che è l’Ascensione. E cioè entrare in un’Ascensione immensa di allegria che non ha nessun paragone con nessun piacere sessuale, qualcosa che sa di eternità, che è entrare in Dio, nell’eternità. Qualcosa che l’unica cosa che io potevo dire era “Basta, Signore, basta!”……………. Voglio dire che il contenuto del Cammino non nasce con Kiko che apre la Bibbia a caso come racconta lui.
Ciò che stiamo tenendo tra le mani è il Concilio Vaticano II vero e proprio. E Dio si servì anche di Morcillo, l’Arcivescovo di Madrid, che fu l’altro miracolo che ci fu nelle baracche; cioè il giorno in cui io ho cominciato a collaborare seriamente con Kiko, perché non mi fidavo di lui. Tanto è così che siamo stati senza parlarci per mesi, io avevo un altro gruppo in un altra parte delle baracche. La mia intenzione era sempre di partire per le missioni. Morcillo fu importantissimo: senza di lui, né io né Kiko saremmo mai andati nelle parrocchie.
Il primo incontro che ho avuto con Kiko Argüello fu in casa sua, mentre suonava la chitarra. Io che venivo da sofferenze enormi, a Madrid, con la mia famiglia che mi stava perseguitando ed altro, lui stava lì, suonando la chitarra e mangiando pollo, facendo il galletto con la svedese; alla fine, non ci ho fatto caso, ho pensato: è una creatura. Poi andai alla Fortuna, il quartiere dei trappisti, aspettando, perché mio padre mi diceva: “ora sai che tuo padre può fare tutto ciò che vuoi per te: ora vieni qui a casa a mangiare e a farti la doccia”. Stavo dormendo in una farmacia e poi andai alla Fortuna con i poveri, aspettando di vedere cosa voleva Dio, perché le mie amiche ancora non volevano imbarcarsi. Intanto Kiko andava a fare il servizio militare. Nel primo incontro che ho avuto con lui in un bar delle Palomeras, dove stavano queste amiche mie – che si unirono alla lotta sociale, alle Commissioni Operaie – Kiko mi racconta le sue visioni, che la Vergine gli aveva detto di formare piccole comunità come la Famiglia di Nazareth. Mi ricordo del bar. E mi dicevo: “Questo ragazzo è tanto moderno ed è un semplice”. Perché in quei tempi Conciliari per me San Giuseppe non aveva più importanza. Immaginavo che era stato mesi interi a Nazareth, che era stato lì nella grotta ore ed ore con grande devozione. Tutto ciò lo aveva unito all’annuncio, alla mia idea missionaria; però la Sacra Famiglia di Nazareth a quei tempi a me sapeva di rancido, come quelle statue che erano dappertutto ed erano insopportabile. Intanto per me San Giuseppe era sparito dal globo. Quando ho sentito che diceva di formare piccole comunità come la Famiglia di Nazareth… E come vedo che veramente è stato così. L’importanza oggi della famiglia”. Già la famiglia! Che Carmen Hernandez possa proteggerla da lassù.
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fonte: www.radiomaria.it
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