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«Ormai non è più solo nostro, è di tutti». Buon compleanno Papa Francesco |
A colloquio con Julio Rimoldi, direttore generale di Canal 21, l’emittente televisiva dell’arcidiocesi di Buenos Aires.
(Silvia Guidi) «Ormai non è più solo nostro, è di tutti, ma la vicinanza si è fatta ancora maggiore, nonostante le migliaia di chilometri che ci separano». A parlare è Julio Rimoldi, direttore generale di Canal 21, l’emittente della diocesi di Buenos Aires, mentre racconta della sua amicizia con “padre Jorge” durante un incontro con chi scrive e con il nostro direttore nella sede dell’Osservatore Romano.
Di nuovo a Roma?
Questa è la mia terza visita al Papa; la prima volta sono venuto per il mio compleanno, il 25 giugno scorso, poi a settembre ho passato oltre un mese tra Madrid e Roma e ci sono stati altri incontri. Ora sono qui per il suo compleanno. A giugno ero in Italia per motivi di lavoro — dovevo prendere accordi con il Centro televisivo vaticano e parlare con padre Federico Lombardi e con il Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali — ma in realtà c’era anche una ragione del cuore: avevo una gran voglia di vedere Bergoglio da Papa. A Buenos Aires per il mio compleanno avevamo l’abitudine di festeggiare insieme, mangiando una fetta di torta o pranzando.
Siete amici da molto tempo?
Sì, ci siamo conosciuti nel 1992, e dal 2004 in poi — da quando è partita Canal 21, la televisione dell’arcidiocesi di Buenos Aires — ci vedevamo quasi ogni giorno; la tv era un progetto importante per lui, riconosceva l’importanza del mezzo televisivo come un valido strumento di evangelizzazione, ma la cosa lo preoccupava molto perché alcune precedenti esperienze in Argentina non erano state positive e un’emittente ha un costo alto sul piano economico. Questo episodio dice molto di come è Francesco. È un uomo di grande discernimento: lascia le grandi decisioni nelle mani del Signore. Ricordo che quando lavoravamo al progetto della televisione mi disse: se andrà avanti, è il segnale che il Signore mi dà per iniziare a realizzarlo, per ora affidiamo tutto a san Giuseppe. Forse in cuor suo sperava che non procedesse — era un momento dell’anno difficile e una situazione particolarmente delicata — ma andò bene e partimmo. Da allora la nostra amicizia si è fatta più stretta. È impossibile lavorare con lui e non essere influenzati dalla sua personalità; è un padre, uno che si preoccupa per chi gli sta accanto.
Mai una divergenza su questioni di lavoro?
Abbiamo avuto tante discussioni, ma l’affetto è sempre cresciuto nel tempo. In televisione ci ha sempre lasciati liberi, non ci ha mai imposto niente. Chiedeva, proponeva e domandava, non imponeva mai nulla. Per me padre Jorge è sempre stato una figura paterna, un padre che accompagna con premura e attenzione. Di recente ho dovuto subire due operazioni, e quando l’ha saputo e poi sono stato ricoverato in ospedale mi ha chiamato tutti i giorni a casa, al cellulare, o sentendo i colleghi. Abbiamo sempre parlato molto, un momento privilegiato era quando lo accompagnavo all’aeroporto perché, come è noto, alla macchina preferiva la metropolitana o spostarsi a piedi. Il sabato spesso ci vedevamo per un caffè. Gli regalavamo molti dvd ma non aveva il televisore, preferiva ascoltare la radio o leggere. Una volta gli ho regalato un lettore dvd e mi ha chiesto: «Quanti bottoni ha? Più di due mi fanno girare la testa». Scriveva i suoi testi a macchina e adesso soprattutto a mano, ma ha ben chiara l’importanza dei social network e del mondo digitale.
Ci può parlare della sua storia?
Ho 55 anni, sono sposato, ho una figlia di 25 anni, ho lavorato nell’arcidiocesi dagli anni Ottanta per pagarmi gli studi di ingegneria. Alla fine degli anni Ottanta padre Alberto Balsa mi ha convocato; aveva visto a Roma il Centro televisivo vaticano e voleva fare in Argentina qualcosa di simile; all’inizio forse non pensava tanto a un’emittente quanto a una casa di produzione televisiva. Il centro televisivo diocesano nacque nel 1986. In Argentina la comunicazione cattolica punta molto sulla stampa e sulla radio; nel 1993 infatti il cardinale Antonio Quarracino, arcivescovo di Buenos Aires, decise di fondare una radio vicino al santuario di San Cayetano. Dal 1994 iniziai a entrare in contatto con questa realtà con un ruolo di coordinamento e direzione, anni dopo sarebbe arrivata l’avventura di Canal 21. Avendo chiare le ragioni. Alla domanda: «Perché un canale tv?» rispondevo sempre, a me stesso e all’arcivescovo, che era un obbligo sociale, una responsabilità morale e una chiamata. La Chiesa critica giustamente il basso livello della tv, ma non deve tirarsi indietro nel mondo dei media. La nostra emittente, ad esempio, insiste molto sulla funzione sociale dello sport; non abbiamo certo i mezzi per seguire il calcio — sarebbe troppo costoso per noi seguire il campionato — ma diamo spazio ad altri sport, come il basket, e ai tornei giovanili, soprattutto quelli pensati per il recupero dei ragazzi a rischio.
Con un’attenzione speciale per il San Lorenzo?
In Argentina c’è uno spot molto carino, non irriverente, davvero molto ben fatto, che annuncia i mondiali in Brasile del 2014 usando come testimonial Papa Francesco; il canale televisivo sportivo TyC Sports ha fatto un mix di immagini e suoni tratti da alcune partite della nazionale argentina e dalla visita del Papa a Rio de Janeiro, lo scorso luglio, in occasione della giornata mondiale della gioventù. Il video termina con una battuta: «Se un solo argentino ha fatto questo in Brasile, figuratevi cosa possono fare ventitré».
Quali erano le vostre priorità in agenda?
Di Bergoglio mi ha sempre colpito la grande lucidità di pensiero. Mi ripeteva: voglio una televisione popolare, non di sacrestia ma umanista e interreligiosa. Per lui il dialogo tra le religioni è sempre stato un valore prioritario. Da noi ci sono molti protestanti e una comunità ebraica molto fiorente e attiva; i musulmani ci sono ma non molto numerosi.
Da dove nasce questa sensibilità per il dialogo tra le religioni?
Lo sa Dio! Probabilmente dall’amicizia con le singole persone. Quando c’era qualche evento in cattedrale non mancava mai di invitare amici di altre religioni, come il rabbino Skorka. Abbiamo lavorato molto bene con la Daia, la Delegación de asociaciones israelitas argentinas e la Tsedaka, l’organizzazione caritativa ebraica. Ricordo nel 2009 uno spettacolo di musical organizzato insieme per raccogliere fondi. Tuttora, nonostante i mille impegni a cui deve fare fronte, Francesco è al corrente di quello che facciamo. E si ricorda i nomi e cognomi di tutti i dipendenti della nostra televisione; ha un interesse molto grande perché la vede come una via per annunciare il Vangelo. È un progetto che non c’era nella sua diocesi, in un certo senso una sua creatura.
Anche se, come lei ripete spesso, non amava apparire in televisione...
Andavano in onda i suoi messaggi di saluto a Natale e Pasqua e basta. L’unico programma a cui aveva accettato di partecipare era «Biblia, diálogo vigente», insieme al rabbino Abraham Skorka e al biblista protestante Marcelo Figueroa: trentadue puntate, perché la trentatreesima è rimasta da girare. «La farò quando tornerò a casa» mi aveva detto prima di partire per il conclave. A pensarci adesso, «Biblia, diálogo vigente» è l’unico programma al mondo con in studio un futuro successore di Pietro, dove emerge chiaramente il pensiero di Bergoglio su vari temi. Ora ci chiamano la tv del Papa. Siamo consapevoli di essere diventati un punto di riferimento importante, anche a livello educativo: per questo organizziamo corsi gratuiti di tecnica video e critica cinematografica. Un’altra cosa importante sulla nostra emittente: il vicedirettore di Canal 21 è una donna.
Come è nato «Biblia, diálogo vigente»?
L’idea di questa serie di puntate nacque nel 2011 da un altro programma, «Nostra Aetate»; lo propose Bergoglio a Marcelo Figueroa alla fine del 2010. Oggi Canal 21 è rilanciato da altre emittenti a San Rafael Mendoza ed Entre Ríos, che arricchiscono il palinsesto con programmi locali, e ora è considerato un progetto madre della conferenza episcopale argentina. Telefe, il più importante canale argentino, ci ha sempre aiutati, fin dal 2005. C’è un particolare interessante da notare: Canal 11, l’emittente che poi ha preso il nome di Telefe, è stata fondata da padre Héctor Norberto Grandinetti, un gesuita, all’inizio degli anni Sessanta, mentre Canal 21 è nata dall’iniziativa di Bergoglio, un altro gesuita, quasi mezzo secolo dopo: il cerchio si chiude.
Cosa non sopportava l’arcivescovo nel modo di lavorare dei suoi collaboratori?
Il tradimento. Se veniva tradita la sua fiducia. Il successo di un progetto dipende dalla squadra; questo l’ho imparato dall’arcivescovo di Buenos Aires.
Cosa ricorda con più gratitudine degli ultimi incontri con il Papa?
In giugno sapevo di rivedere un amico, e non pensavo di essere sorpreso più di tanto, ma sono quasi svenuto dall’emozione. E nonostante tutto è ancora come quando eravamo nello stesso edificio, quando scendevo dal decimo al secondo piano per salutarlo, anche se ora ci separano migliaia di chilometri. Oggi il Papa ha infinite questioni a cui pensare, ma continuo a sentirlo come padre Jorge. Quando mi ha ricevuto a Santa Marta, la prima volta, mi sono guardato intorno: «Questo posto non è adatto a te: c’è un televisore» gli ho detto scherzando. «C’è, ma non lo guardo» mi risponde lui. «Allora perché è nella tua stanza?». E lui: «Lo tengo per ricordarmi di te». Prima era vestito di nero, ora è vestito di bianco; ma non è cambiato. Anzi, qualcosa è cambiato sicuramente: è più felice di prima. Ha il sorriso che aveva a Buenos Aires, ma ancora più luminoso. Ormai non è più solo nostro, è di tutti, ma la vicinanza si è fatta ancora maggiore.
L'Osservatore Romano
17 dicembre 1936 - 17 dicembre 2013
Il piccolo Jorge Mario tra il nonno (sinistra) e il padre (destra)
Padre Jorge Mario con la madre Regina Maria
e il padre Jorge Mario
e il padre Jorge Mario
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