un "anticipo" di primavera coi colori dell'autunno
Scritto da don Marco Pozza |
Come una donna annunciata che ritarda la sua apparizione sull'uscio della casa: chi sta accampato fuori viaggia tra attesa e desiderio, ansia e speranza, disperazione e mistero. Così è della primavera che quest'anno sembra tardare: il bocciare di timide gemme in febbraio c'aveva illusi dell'ormai prossima venuta, quel lento ritirarsi delle nevi ai primi di marzo è stato presto tradito da copiose nevicate, del timido biancore dei ciliegi rimane oggi traccia nelle gemme bruciate dalla pioggia d'aprile. Annunciata a più riprese, puntualmente quest'anno ha tradito le aspettative, lasciando come eredità di questo apparente ritardo un desiderio più acceso dei mandorli in fiore, dei bucaneve colorati e dei primi voli di rondine che annunciano il cambio di stagione. Che tardi la primavera non significa, però, che la natura sia defunta. Sotto la coltre della neve e l'umidità della pioggia c'è tutto un mondo silenzioso che si sta organizzando: le pernici e gli usignoli stanno facendo le ultime prove di canto, le volpi e i cervi stanno tracciando le loro traiettorie, il tasso e le marmotte stanno lavandosi il viso e pettinandosi le teste, i rododendri e le betulle sono tutti presi dalle prove dei nuovi vestiti, le rondini e le aquile si stanno spartendo egualmente gli spazi aerei, le cicale e i grilli stanno accordando le ultime note dei loro pentagrammi musicali. E la primavera, come una madre gelosa della liturgia del suo parto, custodisce i riti e le liturgie che agli uomini sono preclusi: saper intravedere sotto il grigiore della neve l'arcobaleno della primavera è arte dei poeti, degli artisti e dei sognatori.
La primavera della natura quest'anno è metafora di un'altra primavera: quella della speranza italiana che sembra faticare a sganciarsi dalla rigidezza dell'inverno per lasciare spazio ai primi soli d'aprile. Anche qui c'eravamo illusi – forse spinti dalla primavera della Chiesa che in Francesco sembra aver ritrovato la tavolozza e i colori di una nuova speranza – che la primavera fosse sbocciata a febbraio, appena dopo le elezioni. L'alfabeto c'era: rinnovamento e rottamazione, cambiamento e innovazione, stanchezza e giovinezza, ansia e trepidazione. Una primavera, però, ch'è valsa solo lo sprazzo di qualche giorno: ciò che è rimasto è l'illusione di una nuova stagione che tutti sognavano e che adesso sembra tardare. Eppure, come anche nella natura, anche qui sotto l'apparente inverno si sta organizzando una nuova trama che è poi l'annuncio di una battaglia: la lotta tra gioco e responsabilità, tra passato e futuro, tra solitudini eroiche e massificazioni annoiate. Tra la serietà di chi ha a cuore il bene comune e chi del bene comune ha fatto il suo gioco all'ora della merenda. Anche qui giunge l'eco di “prove generali” in atto: voci nuove che tentano l'accordo, sapienza di vecchi condottieri che tesse trame di novità, sete ardente di un alfabeto nuovo con il quale scrivere pagine giovani di storia quotidiana.
C'erano occasioni di primavera: l'inesperienza o la gelosia le hanno bruciate. E non hanno trovato àncora di salvezza più affidabile se non nella vecchiaia saggia di Giorgio Napolitano, uomo avvezzo alla ricostruzioni di trame e alla certosina pazienza del monaco. Il suo ritorno non ha certo addosso il profumo del potere, quanto la paterna sollecitudine di un vecchio nonno incapace di trastullarsi mentre i suoi nipoti abitano le tenebre dell'incertezza. La sua disponibilità non è sinonimo di primavera, ma è un “anticipo” di primavera: la primavera sarà possibile solo se chi l'ha eletto saprà far suo quel senso di responsabilità che oggi è rimasta l'ultima grammatica di un urgente riscatto. Perchè se è vero che le prove rinsaldano lentamente la virtù degli uomini, è altrettanto vero che bisogna aiutare la liberazione per evitare la morte.
(da L'Altopiano, 27 aprile 2013)
Elezione Napolitano
L’AMACA
MICHELE SERRA
Almeno a una cosa, questi giorni tristissimi, sono serviti. Sono serviti a chiarire una volta per tutte che nella sinistra parecchie persone odiano la sinistra. Nel senso che la combattono e forse la temono. Nel senso che ogni vero cambiamento degli assetti di potere, degli equilibri sociali, della distribuzione del reddito, metterebbe a rischio il loro potere, le loro aspirazioni, i loro interessi. Purtroppo questo pezzo della sinistra è un pezzo di Pd: quel pezzo di Pd che ha sparato su Prodi (cioè uno dei propri padri fondatori) e con gusto se possibile maggiore avrebbe sparato su Rodotà (cioè uno dei propri uomini migliori). Importa relativamente sapere se esistano, a monte di questo odio di sinistra per la sinistra, comitati d’affari o intelligenza col nemico o semplice amore per le trame sottobanco o addirittura la lecita convinzione politica che non esista, in Italia, uno spazio politico per il cambiamento. Importa moltissimo, però, capire che avere votato Pd, nelle presenti condizioni, non significa avere speso il proprio voto per una sinistra possibile (mediocre, ma possibile), come credono da molti anni milioni di elettori riformisti come me. Significa averlo dato a una sinistra impossibile. Sel è stata molto più leale con Bersani, e con il Pd, del Pd stesso. Quando si tratterà di tornare al voto ce ne ricorderemo. Eccome se ce ne ricorderemo.
Questo è stato il giudizio di Michele Serra alla giornata del 20 aprile quando si è conclusa la diatriba sull'elezione del Presidente della Repubblica e la TV ha mostrato,a conclusione dello spoglio, un Berlusconi e un Alfano soddisfatti di aver vinto sulla disfatta della sinistra, mentre nel Parlamento c'era una vera e propria standing ovation , tutti contenti di aver fottuto ancora una volta il popolo che nella piazza contestava.
Non vi nascondo che una lacrima è scesa sul viso, quando hanno ridato la linea alla piazza , che urlava " Vergogna" e la giornalista ha intervistato un ragazzo di sedici anni. Sapete cosa vuol dire sedici anni? Gli anni della speranza , della fede nel futuro, nella voglia di realizzare i propri sogni.
Volete sapere quali sono state le sue parole? - Non sono qui per contestare Napolitano, bensì per mostrare il mio pianto perchè ho creduto davvero che ci potesse essere il cambiamento. Voglio che mi vedano e che si ricordino-
Caro ragazzo, loro non ti vedranno , ma io ti ho visto ed ho pianto con te su questo sfacelo. Non smarrirti , continua a crederci, è difficile , lo so, ma se non continuiamo ad avere fede avranno sconfitto anche noi, noi che siamo i sognatori, noi che crediamo che un giorno tutto questo finirà... noi non possiamo essere sconfitti.
(Angela)
Comunque da GiuMa Grazie a Napolitano e ...
Tanti auguri, signor Presidente!
A SUA ECCELLENZA
PALAZZO DEL QUIRINALE
00187 ROMA
NEL MOMENTO IN CUI ELLA, CON GRANDE DISPONIBILITA’ E SPIRITO DI SACRIFICIO, HA ACCETTATO NUOVAMENTE LA SUPREMA MAGISTRATURA DELLO STATO ITALIANO QUALE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, DESIDERO RIVOLGERLE LE PIU’ SINCERE E CORDIALI ESPRESSIONI AUGURALI E, MENTRE AUSPICO CHE ELLA POSSA CONTINUARE LA SUA AZIONE ILLUMINATA E SAGGIA SOSTENUTO DALLA RESPONSABILE COOPERAZIONE DI TUTTI, INVOCO SULLA SUA PERSONA E SUL SUO ALTO SERVIZIO AL PAESE LA COSTANTE ASSISTENZA DIVINA E DI CUORE INVIO A LEI ED ALLA DILETTA NAZIONE ITALIANA LA BENEDIZIONE APOSTOLICA, QUALE INCORAGGIAMENTO A COSTRUIRE UN FUTURO DI CONCORDIA, DI SOLIDARIETA’ E DI SPERANZA.
FRANCISCUS PP
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In occasione della rielezione a Presidente della Repubblica Italiana di Giorgio Napolitano, la Presidenza della CEI ha voluto esprimere al Capo dello Stato “vicinanza e partecipazione” ed ha aggiunto il cordiale augurio che, “sotto la Sua rinnovata Presidenza, il Paese possa crescere nell’autentico progresso, in una stagione di effettiva e corale disponibilità, avendo come supremo obiettivo quello di servire il bene comune”.
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Di seguito il testo del messaggio
Signor Presidente,
Le esprimiamo di cuore le nostre felicitazioni nel momento in cui Lei, avendo dato la Sua esemplare disponibilità da molti richiesta, è stato confermato Capo dello Stato.
Nel farLe sentire la nostra vicinanza e partecipazione avvertiamo il peso della responsabilità che l’incarico conferitoLe porta con sé, specialmente in quest’ora della storia. Sono, infatti, molteplici gli elementi che sembrano oggi indebolire il riconoscimento del senso della comune appartenenza.
La gente e le famiglie vivono la crisi economica che, a sua volta, rimanda a una crisi più profonda e generale; essa tocca le radici stesse dell’uomo. È crisi sociale ed è crisi politica, che emerge in contrapposizioni radicali, nella scarsa partecipazione e nella fatica a raggiungere consenso.
Tutto ciò fa di questo un tempo di scelte impegnative, che richiedono la consapevolezza e la capacità di cogliere le risorse e le reali opportunità per sviluppare una rapida e incisiva ripresa. Del resto, la misura dell’autentica politica si riconosce nella sua capacità di interpretare la società e di ragionare in termini di sviluppo storico e non all’insegna della contingenza, restituendo priorità alla riflessione pacata, al confronto, alla mediazione alta; nell’affrontare seriamente quanto ha a che fare con la vita quotidiana della nostra gente.
La risposta migliore alla stanchezza e alla disillusione passa dal rispetto della democrazia e, quindi, dalla fedeltà ai principi della Costituzione, che ha il suo cardine nella centralità della persona e impegna a garantire a tutti lavoro, speranza e dignità.
L’esperienza cristiana ha sempre avuto una dimensione e una valenza pubblica: i valori del Vangelo, incarnati nella partecipazione attiva di tanti fedeli laici alla vita pubblica, hanno contribuito a costruire una società più umana, oltre che ad arricchire il tessuto della Comunità nazionale, portando frutti di cultura, di carità, di sostegno dei diritti fondamentali della persona.
All’uomo, infatti, è diretto il servizio della Chiesa come quello dello Stato, nella piena distinzione e autonomia, nonché nella reciproca e leale collaborazione per il bene dell’intero Paese. Come abbiamo ribadito in occasione del 150° anniversario dell’unità d’Italia, la coesione politica e istituzionale include un’unità interiore e spirituale che merita di essere perseguita come contributo vitale offerto a tutta la Nazione.
Il nostro cordiale augurio è che, sotto la Sua rinnovata Presidenza, il Paese possa crescere nell’autentico progresso, in una stagione di effettiva e corale disponibilità, avendo come supremo obiettivo quello di servire il bene comune.
Signor Presidente, Le siamo vicini con la nostra preghiera, confermando il leale e generoso contributo della Chiesa che vive nell’amata Italia.
La Presidenza
della Conferenza Episcopale Italiana
Roma, 20 aprile 2013
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