L'albero e i suoi frutti
Luca 6,43-45
43Non c'è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni.44Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo.45L'uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l'uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.
(vedi Matteo 7, 16b-20; 12, 33-35)
Non ho mai dato troppo credito a Vaticanisti
anche se più o meno accreditati!
Un tuo ... lettore!
di G. Cerrelli e M. Introvigne
Il libro di Antonio Socci «Non è Francesco» solleva dubbi, che turbano molti suoi lettori, sulla regolarità dell’elezione di Papa Francesco. L’elezione, afferma il giornalista, è avvenuta in modo irregolare, così che il cardinale Bergoglio «non è Francesco» e il legittimo Papa è ancora Benedetto XVI. In questo breve saggio Giancarlo Cerrelli, avocato specializzato in Diritto canonico, e Massimo Introvigne, sociologo ma con anche una laurea in legge, confutano la tesi di Socci.
Dopo la pubblicazione del suo libro «Non è Francesco», Antonio Socci contesta chi identifica la sua posizione con quella dei sedevacantisti, per cui la sede apostolica è vacante. In effetti, per lui non è vacante ma è occupata da Benedetto XVI. Poiché però il Papa emerito non intende esercitare il ministero petrino, e anzi invita a obbedire a Francesco, quello di Socci è un sedevacantismo pratico. È anche un sedevacantismo a orologeria, perché la sede diventerebbe vacante alla morte di Benedetto XVI.
Il problema della validità dell’elezione – Socci lo sa – è del tutto distinto dal giudizio sul pontificato di Francesco. Come scrive Socci, se ha ragione lui il conclave non avrebbe veramente eletto un Papa neppure se avesse scelto il più conservatore dei cardinali.
Su che cosa fonda Socci la sua tesi sensazionale, che – aggiunge – dovrebbe indurre il Papa a fare le valigie e tornarsene in Argentina? Su un resoconto relativo al conclave della giornalista argentina Elisabetta Piqué, dove si legge, a proposito della quinta votazione che elesse Papa Francesco: «Dopo la votazione e prima della lettura dei foglietti, il cardinale scrutatore, che per prima cosa mescola i foglietti deposti nell’urna, si accorge che ce n’è uno in più: sono 116 e non 115 come dovrebbero essere. Sembra che, per errore, un porporato abbia deposto due foglietti nell’urna: uno con il nome del suo prescelto e uno in bianco, che era rimasto attaccato al primo. Cose che succedono. Niente da fare, questa votazione viene subito annullata, i foglietti verranno bruciati più tardi senza essere stati visti, e si procede a una sesta votazione».
Da questa affermazione Socci ricava che l’elezione è stata nulla, per due motivi diversi. Primo, perché, anziché annullare la votazione, si sarebbe dovuto procedere comunque allo scrutinio, che avrebbe potuto dare un esisto diverso dall’elezione del cardinale Bergoglio. Secondo, perché si procedette subito alla sesta votazione, mentre si sarebbe dovuto attendere il giorno dopo.
Senonché l’argomento di Socci è infondato in fatto e in diritto. In fatto, perché nessuno può sapere se quanto riferisce la Piqué è vero. Curiosamente, in un libro dove nulla è certo e tutto è fallibile, compresi i pronunciamenti e i documenti del Papa, è attribuita una sorta d’infallibilità solo alle poche righe della Piqué, con il pretesto che del suo libro hanno parlato bene il vaticanista Andrea Tornielli, Radio Vaticana e «L’Osservatore Romano» – il quale ha scritto che il libro propone «dettagli inediti sul conclave» –, e che la Piqué è amica del Papa. Solo chi non legge «L’Osservatore Romano» può pensare che un libro recensito su quelle colonne diventi Magistero, e si sa che i giornalisti amano infiorare i loro racconti. E Socci sa benissimo che nessun cardinale può smentire la Piqué perché parlare del conclave è vietato e punito con la scomunica. Da quando esiste la stampa moderna, i giornalisti raccontano la qualunque sui conclavi, e nessuno che al conclave ci sia stato davvero li smentisce, perché smentendoli si esporrebbe a essere scomunicato.
Basterebbe questo per chiedersi di che cosa esattamente Socci stia parlando. Ma ammesso – e assolutamente non concesso – che le cose siano andate come scrive la Piqué, il ragionamento di Socci non sta comunque in piedi in diritto. Le sue contestazioni sono due, e derivano dalla costituzione apostolica di san Giovanni Paolo II «Universi dominici gregis» del 1996, che fissa le regole per il conclave. La prima si riferisce agli articoli 68 e 69 della costituzione. L’articolo 68 stabilisce che, prima dello spoglio, si procede a un conteggio delle schede. «Se il numero delle schede non corrisponde al numero degli elettori, bisogna bruciarle tutte e procedere subito ad una seconda votazione». L’articolo 69 prevede che «qualora nello spoglio dei voti gli Scrutatori trovassero due schede piegate in modo da sembrare compilate da un solo elettore, se esse portano lo stesso nome vanno conteggiate per un solo voto, se invece portano due nomi diversi, nessuno dei due voti sarà valido; tuttavia, in nessuno dei due casi viene annullata la votazione».
Socci sostiene che «se […] il 68 regolasse la fase del conteggio e il 69 quella dello scrutinio avremmo due articoli che danno due soluzioni opposte per il medesimo problema (una scheda in più). Sarebbero dunque in totale contraddizione». Per evitare questa contraddizione, propone un’interpretazione alternativa a quella più consueta: i due articoli non si riferirebbero a fasi diverse dello scrutinio, ma a casi diversi. Il 68 si riferirebbe al caso in cui si trova una scheda in più, ma tutte le schede sono separate; il 69 al caso in cui la scheda in più è piegata insieme con un’altra in modo che due schede possano essere ricondotte a un solo elettore.
A Socci però, che non è un giurista, sfugge – quasi celata dal dettaglio – l’architettura complessiva delle norme. L’articolo 66, che non a caso non cita mai, stabilisce che lo scrutinio comprende tre fasi separate: «1) la deposizione delle schede nell'apposita urna; 2) il mescolamento ed il conteggio delle stesse; 3) lo spoglio dei voti». Dopo di che gli articoli 67, 68 e 69 regolano ciascuno una delle tre fasi. Dando l’interpretazione letterale e comune tra i canonisti – l’articolo 68 regola la fase del conteggio e l’articolo 69 quella dello spoglio – non si crea in realtà nessuna contraddizione. In diritto si chiama contraddizione l’esistenza di norme che danno soluzioni diverse allo stesso problema. Ma il 68 e il 69 danno soluzioni diverse a problemi diversi: se la scheda in più si scopre nella fase di conteggio, si applica il 68; se la si trova nella fase di spoglio – ovvero se non c’è nessuna scheda in più ma comunque due schede sembrano «compilate da un solo elettore» – il 69. È possibile che la scheda in più sfugga durante la fase del conteggio ed emerga solo al momento dello spoglio? Sì, è possibile, precisamente nel caso in cui un cardinale abbia piegato due foglietti insieme: è possibile che solo aprendo quella che durante il conteggio era sembrata una sola scheda si scopra che in realtà sono due. Ammettendo che la Piqué abbia ragione, la scheda che non doveva esserci emerse nella fase del conteggio, non in quella dello spoglio, e fu quindi applicato correttamente l’articolo 68 procedendo a bruciare le schede e non a scrutinarle.
A Socci però, che non è un giurista, sfugge – quasi celata dal dettaglio – l’architettura complessiva delle norme. L’articolo 66, che non a caso non cita mai, stabilisce che lo scrutinio comprende tre fasi separate: «1) la deposizione delle schede nell'apposita urna; 2) il mescolamento ed il conteggio delle stesse; 3) lo spoglio dei voti». Dopo di che gli articoli 67, 68 e 69 regolano ciascuno una delle tre fasi. Dando l’interpretazione letterale e comune tra i canonisti – l’articolo 68 regola la fase del conteggio e l’articolo 69 quella dello spoglio – non si crea in realtà nessuna contraddizione. In diritto si chiama contraddizione l’esistenza di norme che danno soluzioni diverse allo stesso problema. Ma il 68 e il 69 danno soluzioni diverse a problemi diversi: se la scheda in più si scopre nella fase di conteggio, si applica il 68; se la si trova nella fase di spoglio – ovvero se non c’è nessuna scheda in più ma comunque due schede sembrano «compilate da un solo elettore» – il 69. È possibile che la scheda in più sfugga durante la fase del conteggio ed emerga solo al momento dello spoglio? Sì, è possibile, precisamente nel caso in cui un cardinale abbia piegato due foglietti insieme: è possibile che solo aprendo quella che durante il conteggio era sembrata una sola scheda si scopra che in realtà sono due. Ammettendo che la Piqué abbia ragione, la scheda che non doveva esserci emerse nella fase del conteggio, non in quella dello spoglio, e fu quindi applicato correttamente l’articolo 68 procedendo a bruciare le schede e non a scrutinarle.
La seconda contestazione di Socci riguarda l’articolo 63 della stessa costituzione di san Giovanni Paolo II, il quale prescrive che in ogni giorno di conclave «si dovranno tenere due votazioni sia al mattino sia al pomeriggio», dunque quattro in totale. Secondo la Piqué il 13 marzo vi furono cinque votazioni e non quattro. Qui sì Socci potrebbe vedere una contraddizione con l’articolo 68, il quale prevede come abbiamo visto che qualora in fase di conteggio emerga una scheda in più, occorre bruciare tutte le schede e procedere «subito» a una nuova votazione. «Subito» anche se quel giorno ci sono già state quattro votazioni? Ma in tal caso non si viola l’articolo 63? In realtà no, perché – applicando elementari principi generali del diritto, anche canonico – l’articolo 63 si riferisce a quattro votazioni valide e complete, cioè arrivate fino allo spoglio. Se si bruciano le schede a norma dell’articolo 68 prima di procedere allo spoglio non si è completata la votazione, che dunque non va conteggiata fra le quattro del giorno. Se le cose fossero andate come afferma la Piqué, la cosiddetta «quinta» votazione sarebbe stata in realtà la quarta, perché quella non portata a termine tramite lo spoglio ma interrotta bruciando le schede non poteva entrare nel conteggio.
Socci, dunque, non ha ragione su nessuno dei due punti che solleva. Ma se avesse ragione, e ci fossero state davvero cinque votazioni nello stesso giorno, ovvero si fosse annullata una votazione che andava invece scrutinata, per questo Francesco non sarebbe Papa? In realtà no, neppure in questo caso. Socci, ancora da non giurista, interpreta l’articolo 76 della costituzione «Universi dominici gregis» in modo letterale e formalistico. L’articolo prescrive che «se l’elezione fosse avvenuta altrimenti da come è prescritto nella presente Costituzione o non fossero state osservate le condizioni qui stabilite, l’elezione è per ciò stesso nulla e invalida». Ma questo non significa, come pensa Socci, che qualunque violazione formale renda nulla una cosa tanto importante come l’elezione del Papa.
Facciamo un esempio: l’articolo 67 prescrive che se un cardinale è infermo gli si portino le schede e la cassetta «su un piccolo vassoio». Se per errore si usasse un vassoio grande anziché piccolo, pensa Socci che l’elezione del Papa sarebbe invalida? L’esempio è paradossale, ma serve a chiarire che l’avverbio «altrimenti» e il riferimento alle «condizioni» si riferisce allo schema essenziale del conclave, e non a singoli elementi, per quanto utili all’ordinato svolgimento delle votazioni.
La dottrina canonistica più autorevole anzi ritiene che, per evitare incertezze e altri gravi inconvenienti, i requisiti di validità del voto per l’elezione del Romano Pontefice, o tecnicamente per la «provvista dell'ufficio primaziale», siano stati ridotti al minimo: è sufficiente che il procedimento sia stato segreto e che si sia avuto con consenso naturalmente sufficiente. Non rendono nullo il voto, pertanto, né l'errore, né la paura: e neppure un fatto gravissimo come la simonia (art. 78 della costituzione). Solo se lo schema essenziale dell’elezione fosse stato stravolto si potrebbe dire che si è tenuto un conclave «altrimenti» da come prescrive la Chiesa e senza osservare le «condizioni» che questa prescrive. E davvero, se lo schema essenziale del conclave fosse stato stravolto, non un solo cardinale avrebbe protestato?
La dottrina canonistica più autorevole anzi ritiene che, per evitare incertezze e altri gravi inconvenienti, i requisiti di validità del voto per l’elezione del Romano Pontefice, o tecnicamente per la «provvista dell'ufficio primaziale», siano stati ridotti al minimo: è sufficiente che il procedimento sia stato segreto e che si sia avuto con consenso naturalmente sufficiente. Non rendono nullo il voto, pertanto, né l'errore, né la paura: e neppure un fatto gravissimo come la simonia (art. 78 della costituzione). Solo se lo schema essenziale dell’elezione fosse stato stravolto si potrebbe dire che si è tenuto un conclave «altrimenti» da come prescrive la Chiesa e senza osservare le «condizioni» che questa prescrive. E davvero, se lo schema essenziale del conclave fosse stato stravolto, non un solo cardinale avrebbe protestato?
Riassumendo: nessuno può sapere se le cose siano andate come dice la Piqué, ma anche se fosse così non ci sarebbe stata nessuna irregolarità. Se ci fosse stata – ma non ci fu – qualche irregolarità formale, non tale da alterare lo schema essenziale dell’elezione, questa non invaliderebbe il conclave. Del resto, a differenza di quanto avveniva nel caso degli antipapi del Medioevo, l’elezione di Francesco è stata accettata da tutti i cardinali, i vescovi e i fedeli del mondo, tranne Socci, qualche suo amico e qualche veggente di dubbie intenzioni e costumi morali.
Le catastrofiche conseguenze prospettate da Socci – se «l’elezione di Bergoglio è nulla, non è mai esistita» cadono le sue nomine episcopali, le canonizzazioni, gli atti di governo – rimangono dunque, per fortuna, frammenti della fervida e certamente brillante immaginazione del giornalista. Per i fedeli comuni, come per qualunque canonista, la risposta al dubbio sollevato da Socci è ovvia: «è Francesco», è il Papa, è stato validamente eletto e validamente governa. Il resto è chiacchiera.
Fonte: www.lanuovabq.it
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