“SIAMO” di Pietro Menditto
Siamo ogni capello
che abbiamo perso
ogni occasione
che volemmo ignorare
ogni donna
che abbiamo lasciato
ogni donna
che ci ha abbandonato.
Siamo la partita
che non giocammo
quella che
non ci fecero giocare
un pomeriggio
senza nostro padre
e un paese straniero
senza nostra madre.
Siamo il vuoto
lasciato dalla donna
della nostra vita
ogni volta che
reclama il nostro
immutato stupore
siamo tutto l'amore
che non ci è toccato
tutte le carezze
che non abbiamo dato.
Siamo tutti i libri
che comprammo
e non abbiamo letto
- rassegnati ostaggi
della nostra ignoranza -
siamo il libro
che non abbiamo scritto;
siamo il silenzio
della nostra stanza
e l'impotenza
di dire "ti amo"
siamo quello
che non sappiamo
siamo tutto ma tutto
quello che non siamo;
una primavera
che non riesce a fiorire
perché anche l'inverno
ha diritto di non voler morire.
Siamo i morti
che non abbiamo pianto
e i vivi
che non ci sono accanto
la morte che non ci toccò
ed anche quella
che ci mancò
siamo ciò
che abbiamo dimenticato
quello che in sogno
abbiamo ricordato
e tutto quello
che non ci fu rivelato;
siamo il vuoto
in cui piombiamo
quando siamo pieni e non ce ne
ricordiamo che alla fine.
Siamo il pieno
che non riconosce le rose
e le mangia con tutte le spine;
siamo più di uno
siamo al minimo due cose,
siamo sangue
che incontra il sangue
di qualcuno e ne diffida
siamo la corrida
di quei fiumi che dicono
una storia di cifre
che non si combinano
sempre bene;
siamo rincorsi da colui
che dicono divida,
si metta per traverso
siamo in un verso
di questi metri sfilacciati
siamo quelli che
persero il pelo e
presero il vizio
siamo più di una cosa
e ciò sarebbe buono
se più di una cosa
facesse almeno un uomo..
La poesia si intitola
"Siamo" di Pietro Menditto..
vorrei farvela conoscere e nello stesso tempo
mi piacerebbe che possa essere
un importante spunto di riflessione per tutti..
fonte:hstratosphere1982.wordpress.com
Il rosso della fiamma non è l’unico colore, ma solo il più esterno e visibile. Ci sono anche il giallo e il blu: alla base, intorno allo stoppino.
Allo stesso modo in noi convivono tre livelli di “combustione”: il rosso delle passioni all’esterno, il giallo delle emozioni e, alla base, il blu dello spirito. Chi passa la vita a inseguire passioni per provare emozioni fa una cosa molto vitale, ma insufficiente ed è per questo che rischia di rimanere sempre inappagato. Per trarre dai sensi tutto ciò che possono darti, occorre lavorare sullo strato più profondo e nascosto. Imparare a cercare risposte all’interno e non all’infuori di te. Altrimenti sarai sempre vittima delle circostanze e degli ondeggiamenti emotivi altrui.
“Cuori allo specchio”, Massimo Gramellin LaStamparisposta...
“Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno”
"Semplicità"
La semplicità non è una cosa semplice
La semplicità, scrive[1] Alessandro Pronzato, “è la virtù che teniamo di riserva. Dispostissimi ad attribuirla agli altri, non appena si presenti l’occasione”. “Di una persona che non possiede doti particolari, e verso la quale vogliamo essere generosi nel giudizio, diciamo che è ‘semplice’”.
“Allorché in un individuo non troviamo nulla di eccezionale, con un certo sforzo riusciamo pur sempre a scovare la semplicità. Insomma, il titolo di ‘semplice’ non lo si nega a nessuno. Non ha niente, vale poco, non conta granché, non sa parlare come si deve. Ecco, è una creatura ‘semplice’. La semplicità diventa così il diploma che regaliamo con una certa larghezza a chi è sprovvisto di qualifiche più valide e appariscenti (cultura, intelligenza, imprese eccezionali, successi…).
Ma, continua Pronzato, “non ci rendiamo conto che proprio la semplicità è una virtù eccezionale. Di fatto risulta piuttosto rara… È cosa straordinaria essere semplice. In realtà, un individuo semplice è uno che è riuscito a sistemare le cose, i valori, ha messo ordine nella propria vita, ha eliminato gli ingombri, si è sbarazzato delle cose inutili. Ossia: ha svolto un paziente lavoro di semplificazione”. “Soltanto le persone veramente grandi riescono a essere semplici. Unicamente le persone ricche interiormente appaiono semplici”.
“Si ha semplicità quando invece di un vuoto centrale, esiste un centro della propria vita attorno a cui ruotano pensieri, azioni, parole, atteggiamenti. E tutto viene riferito a quel centro. Ogni cosa viene spiegata, giustificata da quel centro”.
“Il peccato è, essenzialmente, dissociazione, disintegrazione della persona; distacco delle varie parti dal nucleo centrale per ruotare intorno ad orbite anarchiche e disarmoniche. La disintegrazione dell’atomo rappresenta la più stupefacente illustrazione, in campo fisico, di ciò che avviene nell’uomo attraverso il peccato”.
“Allora, la semplicità diventa il segno della vittoria sul male. La persona semplice è la creatura che si ribella a uno stato di atomizzazione, frammentarietà, caos, per ritrovare l’unità, l’armonia, la coerenza, ossia tutta la coesione del proprio essere”.
“Insisto: la semplicità è un lavoro lungo, paziente, assiduo di semplificazione. È un puntare tutto sull’essenziale, lasciando ai margini gli ingombri, i fronzoli, gli impedimenti e ciò che rifiuta di entrare nell’orbita di quel centro”.
“La semplicità, dunque, è armonia. È unità. È coerenza”.
“Questo lavoro, questa ascesi di semplificazione e unificazione dell’esistenza, vengono favoriti soprattutto dalla preghiera (specialmente di tipo contemplativo) e dalla riflessione personale. Infatti la semplicità ha il suo centro, il suo aggancio nella profondità e nell’interiorità dell’uomo. Se questo aggancio fosse più… epidermico, ossia più spostato verso la periferia, l’esterno della persona, allora avremmo la semplicioneria o la superficialità”.
“Soltanto una autentica, profonda vita interiore garantisce contro i rischi della dispersione, della frammentarietà, della dissociazione, che sempre minacciano la vita di una persona. […] Occorre, perciò, convincersi che la semplicità non è mai una cosa semplice. Come nell’arte, anche nella vita, i capolavori autentici sono all’insegna dell’armonia, della proporzione. Una persona semplice è una persona che va diritto allo scopo. Un individuo che sa ciò che vuole. Un uomo il cui sguardo punta all’essenza delle cose”.
“Che si siano smarrite le tracce della semplicità, lo dimostra anche un certo tipo di linguaggio”: complicato, confuso, tortuoso, contorto, pensiamo, per esempio, al politichese. “Nemica della semplicità è soprattutto la retorica. Mentre la semplicità è asciuttezza, essenzialità, la retorica è ridondanza, rigonfiamento, addobbo esteriore, enfasi, ampollosità, tronfiezza”.
“La chiarezza non è – come qualcuno vorrebbe far credere – superficialità, bensì elementare rispetto per gli altri”. Ricordiamo “l’osservazione che Giò, la collaboratrice domestica (mai esistita) di casa Guareschi, faceva al suo padrone di professione scrittore: ‘Lui adopera delle parole che tutti conoscono per dire delle cose che tutti capiscono…’”…
“Sì sì; no no”
Lapidario, al riguardo, è anche il monito di Gesù: “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Mt 5,37), per esortare i suoi ascoltatori, durante il Discorso della Montagna, ad avere una parola essenziale, schietta, chiara, senza ambiguità. “Il di più”, ovvero ciò che è verboso, lezioso, cavilloso, contorto, complicato,… politicamente corretto,… è, infatti, usato per confondere, influenzare, persuadere,… diffondere la menzogna e oscurare la verità, peculiarità proprie del Maligno.
Serpenti e colombe
Ma Gesù invita i suoi discepoli anche ad essere “prudenti come i serpenti e semplici come le colombe” (Mt 10,16). Ciò significa che la semplicità, affinché svolga la sua azione al servizio della verità, deve stare sempre insieme alla prudenza.
Prudente è colui che prima di agire cerca di capire come stanno veramente le cose, che si sforza di conoscere la realtà. Perciò, se manca la prudenza, la semplicità può diventare superficialità, semplicioneria, dabbenaggine, ingenuità. Mentre, la prudenza, se difetta la semplicità, può diventare astuzia, furberia, o pusillanimità.
Scrive[2] Francesco Lambiasi: “Gesù ci dice di mettere insieme prudenza e semplicità, in modo che il ‘bello’ delle colombe (candore) ci aiuti a scartare il ‘brutto’ dei serpenti (malizia) e il positivo dei serpenti (accortezza) ci serva a sfuggire il negativo delle colombe (ingenuità)”.
Gesù, continua Lambiasi, vuole metterci in guardia dal “rischio del ‘buonismo’, e spronarci ad essere discepoli svegli, scaltri e intraprendenti”. “Un campo dove si rischia di essere solo delle candide colombe, serafiche e tranquille, è quello della educazione alla carità e alla pace: se si intende tutto questo come un vago, liquoroso ‘volemose bene’, è chiaro poi che si finisce per identificare amore con tenerume e per ammucchiare nella stessa nicchia pacificatori, pacifisti e… paciocconi”.
Nella nostra società artificiosa, dominata dalle apparenze, dall’inganno della correttezza politica, da fiumi di parole inflazionate, enfatizzate, prolisse, sovrabbondanti, tronfie, maleducate… che producono tanto rumore senza arrivare ai cuori, occorre riscoprire la virtù dimenticata della semplicità.(Perfori)
Note:
[1]Alla ricerca delle virtù perdute, Gribaudi, 1997, pp. 155-159.
[2] Una parola al giorno, Editrice AVE, 2006, pp. 352, 353.
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