State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

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State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

mercoledì 17 settembre 2014

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DA SPERARE PER TUTTI

La strategia per fermare papa Francesco

(ALBERTO MELLONI, Corriere della Sera, 17 settembre 2014) 
I concili e i sinodi hanno una così lunga tradizione nella storia cristiana non perché hanno ridotto la discussione, ma perché hanno aumentato la comunione. La sinodalità infatti non accelera le decisioni, ma le fa maturare. 
Questo era ed è lo scopo dei due sinodi consecutivi sulla famiglia che il Papa ha convocato: uno composto dai presidenti delle conferenze episcopali nel 2014 (in termine tecnico «straordinario») e uno formato da vescovi eletti nel 2015 (cioè «ordinario»). Preparato da un questionario che ha mostrato come la Chiesa, quando vuole, sa farsi domande scomode e introdotto da un documento base teologicamente esile, il Sinodo è stato individuato da alcuni porporati come l'occasione per una rivincita sul Papa.
Lo si era capito a febbraio, quando nel concistoro il cardinale Camillo Ruini aveva fatto davanti a tutti il conto dei pareri espressi sulla relazione del cardinale Walter Kasper che riguardava appunto la famiglia: 15 a favore, 85 contro, disse allora l'ex Vicario. Il che faceva intravvedere la possibilità di una manovra: mandare il Papa in minoranza al Sinodo e trattare così da posizioni di forza le molte e decisive nomine in agenda. 
A febbraio il Papa fece scudo alla relazione Kasper: la lodò come un esempio di «teologia in ginocchio», il che non esclude che si possa fare buona teologia anche seduti, ma diceva la serietà del suo intento. Perfino Ratzinger, allora, intervenne: indicando pubblicamente come suo unico compito quello di pregare per il successore, si sottrasse al sogno di chi gli chiedeva di assumere una funzione moderatrice e dar corda alla tesi bislacca di tal Stefano Violi secondo cui le dimissioni di Benedetto XVI riguardavano l'esercizio e non il ministero petrino. 
Nell'avvicinarsi del Sinodo, dunque, era ragionevole attendersi qualche sorpresa: e la sorpresa è arrivata. Cinque cardinali, un arcivescovo, e tre professori hanno scritto per l'editore Cantagalli di Siena un «libro bianco sulla famiglia», in uscita il 1° ottobre, curato dal rettore dell'Istituto Augustinianum, che chiede fin dal titolo di «Permanere nella verità di Cristo»: come se su questo Francesco avesse bisogno di sorveglianti. Sono interventi diversi disposti attorno alla disciplina della penitenza dei divorziati risposati: e vedono sfilare i cardinali Carlo Caffarra, Walter Brandmüller, Velasio De Paolis, Raymond Leo Burke, e soprattutto Gerhard Ludwig Müller — prefetto della Congregazione per la dottrina della fede che deluse Ratzinger nella trattativa coi lefebvriani. 
Tesi in gran parte conosciute. L'effetto deflagrante che l'operazione si proponeva di ottenere a ottobre è stato forse favorito dalla decisione di non render note le risposte delle conferenze episcopali al questionario dell'anno scorso: far vedere, senza infingimenti, criticità e diversità avrebbe ridimensionato la posizione di chi non è tanto in disaccordo su soluzioni (che non ci sono), quanto piuttosto lo è sull'idea stessa di ascoltarsi. 
Ma la scelta di uscire con un «non possumus» — sorprendente non certo per le tesi, ma per le firme di chi le sostiene, i tempi in cui le enuncia e il coordinamento che le ispira — indica meglio di altre cose il grado di affettuosa ostilità che circonda Santa Marta. Ostilità che il Papa ha mostrato di accogliere con gesuitica indifferenza riservando circa metà dei posti di sua nomina speciale in Sinodo ai suoi avversari. 
L'idea di rimproverare al Papa una scarsa adesione alla tradizione, di insinuare che cattivi consiglieri gli suggeriscono soluzioni pericolose è cosa tutt'altro che nuova. Cinquant'anni fa esatti, attorno a Paolo VI, fu stesa una cortina di ansietà e di sospetti logoranti perché fermasse quei passi del Concilio che, pur nella loro timidezza, indicavano la via della collegialità e della comunione. Paolo VI, nel clima di quegli anni e nella temperie conciliare, era meno difeso di quanto non sia oggi Francesco: ma i «buoni» risultati ottenuti allora, che poi si riducevano alla perdita di fiducia reciproca fra la maggioranza conciliare e il Pontefice, rimangono il sogno nascosto di alcuni gruppi nella Chiesa. Un sogno che non disdegna una manovra dai fini politici chiari. E sbagliati.
Perché la Chiesa non ha il problema di mettere la propria morale alla luce della modernità, per tenerla immobile o per cambiarla a basso prezzo; ma di mettere tutto alla luce del Vangelo. In quel tutto non esiste «la» famiglia ma esistono «le» famiglie, che come diceva il Papa nella sua omelia ai nubendi di domenica sono storia e vita, caduta e cammino, fatica e gioia, dolore e tenerezza infinita. 
Tutte cose a cui solo il Vangelo può parlare: non le morali a basso prezzo, non quelle eccitate del rigorismo, e tanto meno le paure di coloro che quando temono un papato che dice il Vangelo, in fondo, mostrano di aver indovinato quel che di quel papato è il centro.
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La preghiera purificata dallo zen


IACOPO SCARAMUZZI, Jesus, naggio 2012 
Padre Luciano Mazzocchi sa bene cosa significa per un prete cattolico avvicinarsi al buddhismo. Nel corso dei suoi 72 anni questo missionario saveriano ha vissuto in Oriente, ha scoperto la spiritualità zen, l'ha portata in Italia. Ha animato centri di meditazione e dibattiti, ha affascinato centinaia di persone e ha anche incontrato qualche incomprensione – poi superata – con il Vaticano. «La Chiesa», afferma, «ha bisogno del buddhismo».
Padre Mazzocchi è stato missionario in Giappone dal 1962 al 1982. «Ho conosciuto lo Zen vivendo con la gente», racconta. «Capii che il buddhismo è un grande valore non solo per chi si professa buddhista o per chi vive in Oriente, ma più in generale per il cammino umano». Quando torna in Italia, Mazzocchi trascorre alcuni anni impegnato nella formazione dei futuri missionari; poi, al momento di tornare in Giappone, chiede invece al superiore di potersi occupare di «promuovere l'incontro con la spiritualità dello Zen». È il 1994 e il segretario della Commissione del dialogo interreligioso della Conferenza episcopale giapponese – l'attuale generale dei gesuiti Adolfo Nicolas – chiede a Mazzocchi di accogliere un gruppo di monaci zen in arrivo in Italia per conoscere il cristianesimo. Di lì a poco iniziano anche i primi guai. Mazzocchi fonda con il monaco buddhista Jiso Forzani il laboratorio di dialogo religioso "La stella del mattino". Ma nel 1996 la Congregazione per la dottrina della fede, guidata all'epoca da Joseph Ratzinger, notifica al vescovo di Lodi Giacomo Capuzzi le proprie riserve sul libro Il Vangelo e lo Zen scritto dal saveriano con Annamaria Tallarico e pubblicato dai dehoniani. Inizia una corrispondenza tra Roma e Lodi per chiarire i punti controversi. Nel 1998 sulla Civiltà cattolica appare un articolo col quale padre Giuseppe de Rosa critica la comunità di Mazzocchi. Il segretario dell'ex Santo Uffizio, all'epoca Tarcisio Bertone, oggi segretario di Stato vaticano, chiede di incontrarlo. All'incontro partecipano, oltre a Bertone e Mazzocchi, alcuni consultori della Dottrina della fede. «Al termine dell'incontro che durò due ore, uno dei consultori presenti esordì così: "Ci dica, padre, come mai il buddhismo, la religione del nulla, svuota le chiese nel Nord Europa! Perché attira così tanto? Cos'ha che manca al cristianesimo?" ». La vicenda si conclude, anche se non del tutto, quando nel 2000 l'allora cardinale Ratzinger, oggi Benedetto XVI, scrive al vescovo di Lodi una lettera con l'approvazione «di massima» dell'esperienza di Mazzocchi. Rimane qualche dubbio sulla partecipazione eucaristica, che viene chiarita in seconda battuta. «Ciò ovviamente mi ha dato conforto », commenta Mazzocchi. «Il dialogo è fecondo anche fra arcivescovi e missionari».

Nel frattempo il missionario e il monaco Jiso Forzani proseguono per strade separate. Presentato al cardinale Carlo Maria Martini, il saveriano diviene cappellano della comunità cattolica giapponese di Milano, funzione che svolge ancora oggi. Contemporaneamente ha fondato una nuova comunità a Desio, Vangelo e Zen, dove da poco tempo abita con due giovani che hanno scelto questa particolare vita "monastica": Alessio, operaio che ora fa un corso di giardinaggio, e Raul, appena uscito dall'università. A loro dovrebbe aggiungersi prossimamente Paolo, impiegato, che svolge anche il ruolo di economo della comunità. «I giovani hanno sete di silenzio, mentre in tutto il frastuono della società non si percepiscono più», spiega Mazzocchi, che sottolinea l'intenzione di promuovere «una spiritualità che ha la sua sede nel laicato, nella gente che vive nella società, non in un eremo isolato». Oltre alle attività dell'orto e ai lavori che ognuno svolge, nella villa di Desio si medita, si studia, si ascolta il Vangelo, e il sabato la comunità apre le porte a chiunque voglia passare una giornata di meditazione. Amico del cantautore Franco Battiato, Mazzocchi fa inoltre conferenze per l'Italia, alle quali partecipano ogni volta centinaia di persone.
Padre Luciano Mazzocchi.
Padre Luciano Mazzocchi.
Per spiegare perché cristianesimo e Zen non sono incompatibili, il missionario usa una metafora: «Come il mio corpo assorbe il sale, lo zucchero, e tutto trasforma in vita, così l'incontro con il buddhismo non è un confronto tra teorie, ma due percorsi che sono dentro di me perché entrambi sono per me». Lo Zen, spiega, «mi rende più cristiano, al tempo stesso più buddhista. E più vero. L'appartenenza religiosa può essere un tranello, perché può bloccare il cammino vero, che è pellegrinare la verità». In questo senso, «l'incontro col buddhismo purifica la comprensione di Cristo senza togliere nulla al cristianesimo». Anzi. «A volte», afferma padre Mazzocchi, «la Chiesa è solo luce che illumina. In certi casi il cristianesimo è diventato una religione che dà risposte, mentre il buddhismo fa spazio al silenzio da cui scaturiscono le domande, e a quel punto fornisce delle risposte. In fondo Gesù non ha insegnato a pregare ai suoi discepoli finché non gli hanno domandato di insegnare loro a pregare». Con una metafora, il saveriano spiega che «il messaggio cristiano è un annuncio vero e proprio, è il seme gettato, mentre il buddhismo cura molto l'orecchio, è arare il campo. Se il cammino cristiano scavalca la cura dell'ascolto e subito cerca la salvezza, si inaridisce. Così, il buddhismo può bloccarsi in un narcisismo religioso, in un campo sempre arato che non dà frutti. Per questo è preziosa l'integrazione delle loro differenze». Insomma, «la Chiesa ha bisogno del buddhismo, del silenzio vero».
Quella di padre Mazzocchi non è un'esperienza unica in Italia. Nel corso degli anni, il fenomeno delle pratiche di meditazione di matrice buddhista si è diffuso anche negli ambienti cattolici. In prima fila i gesuiti, che hanno una lunga tradizione di missionari in Estremo Oriente. Padre Davide Magni ha approfondito l'incontro con il buddhismo in una serie di soggiorni in Sri Lanka, India, Thailandia, Cambogia, Taiwan e Cina. E spiega così le «numerosissime esperienze di reciproco arricchimento» tra buddhismo e preghiera ignaziana: «Le forme della tradizione meditativa buddhista sono molteplici. Forse il percorso più famoso tra i tanti rimane quello del gesuita tedesco, missionario in Giappone, Hugo Enomiya Lassalle, promotore dell'affinità tra meditazione zen e spiritualità ignaziana. Il confratello giapponese Kakichi Kadowaki ne è stato il continuatore. Io, con altri gesuiti sparsi tra Asia, Europa e Nord America, stiamo riflettendo e proponendo delle possibili analogie tra il testo ignaziano e il Visuddhimagga (Il cammino della purificazione). Si tratta di una enciclopedia spirituale sulla via interiore. Fu compilato da Buddhaghosa (V secolo d.C.) dall'antico materiale canonico. La sua autorevolezza è ancora oggi indiscussa ed è il compendio fondamentale della meditazione vipassana»
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