Avvenire /Dossier/27 Aprile i Papi Santi |
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SAN Ioannes Paulus PP. II Karol Wojtyla 16.X.1978 - 2.IV.2005 |
GIOVANNI XXIII°
Enzo Bianchi: i papi e la santità ignota
In questa domenica segnata dalla gioia pasquale, la chiesa cattolica proclama santi due papi e oggi proclama beato Giuseppe Girotti, un frate domenicano langarolo. Cosa significa una canonizzazione? La risposta non è facile, ma il primo dato è che con tale gesto si vuole affermare in modo autorevole che un cristiano o una cristiana sono stati nella loro vita discepoli fedeli di Gesù Cristo, che lo hanno imitato assumendone i pensieri e i sentimenti, che hanno dato di credere che vivere il vangelo è possibile. Ma accanto a questa ragione fondamentale ce ne sono, e lo sappiamo bene, anche altre, più legate a motivi contingenti o a stagioni ecclesiali. Perché si è fatto santo Pio IX e non ancora Paolo VI?
E perché si proclamano così facilmente santi papi e fondatori e fondatrici di forme di vita religiosa e così pochi, pochissimi santi quotidiani, semplici cristiani che hanno vissuto il vangelo lavorando onestamente, amando un coniuge e dei figli, facendo il bene a chi era loro vicino, protagonisti di una vita quotidiana anonima ma determinata solo dal vangelo e dall’amore per Dio e per il prossimo?
La mia generazione esulta per la dichiarazione di santità di papa Giovanni, “un cristiano sul trono di Pietro”, l’uomo che seppe risvegliare il fuoco sotto la cenere di una chiesa stanca e a volte smarrita, il papa acclamato santo di fatto dall’assemblea conciliare in corso alla sua morte e che le genti del mondo hanno sentito come un padre, un sapiente che ha aiutato gli uomini del mondo a vivere con più fiducia e cercando di spegnere la violenza che li abita... Sì, lo si voleva santo, ma allora non fu organizzata nessuna piazza osannante, né particolari movimenti o porzioni di chiesa si ritenevano beneficiari privilegiati del suo ministero papale: semplicemente tutti lo sentivano cristiano e perciò santo.
Solo i piccoli, i semplici avevano e hanno il diritto di chiamarlo “papa buono”, ma tanti l’hanno apostrofato così per depotenziare la sua testimonianza profetica. Avverrà lo stesso con papa Francesco, ne sono certo: già ora, tra quelli che gli sono vicini c’è chi sussurra: “È il papa misericordioso... è tutto cuore... certo, manca di dottrina... la dottrina non è il suo mestiere, non è un teologo...”.
Papa Giovanni Paolo II è stato salutato già ai suoi funerali “santo subito!” e di fatto tutto il processo di canonizzazione è stato accelerato. Chi può dubitare della sua santità? Tutti quelli che l’hanno conosciuto la affermano e quindi, non essendoci contraddizione, è cosa buona accettare la loro testimonianza. È stato un papa confessore della fede, un visionario che ha posto gesti nella vita della chiesa che rendono la strada percorsa irreversibile nel dialogo con le religioni, nell’ecumenismo, nella condanna della guerra.
Reca comunque grande tristezza che i soliti avvoltoi gracchino su questa santificazione, magari citando con cattivo gusto e interpretazione malevola alcune frasi del cardinal Martini che aveva manifestato la sua perplessità nel fare santi con eccessiva rapidità e facilità tutti gli ultimi papi, oppure misurando la santità dei canonizzabili con un insipiente giudizio legato alla capacità soggettiva di venerarli.
Ma in tema di santità a me preme spendere qualche parola sul frate domenicano che oggi la chiesa proclama beato ad Alba. Confesso una tristezza profonda: sono nato due anni prima della morte di questo frate, nella sua stessa terra, quelle colline sulle quali nessuno sa tracciare con certezza i confini tra Langhe e Monferrato. Per varie ragioni sono cresciuto con un’attenzione forte al tema della resistenza contro i nazifascisti e al dramma del genocidio degli ebrei, presenti in modo significativo in Monferrato. A diciassette anni andai con la scuola a Dachau per capire l’orrore cui eravamo giunti, nel silenzio vigliacco di chi sapeva ma preferiva tacere: anche in quell’occasione non ci fu nessuna memoria del conterraneo padre Girotti. Giunto all’università a Torino ho frequentato attivamente i frati domenicani a San Domenico e le suore domenicane... Eppure non ho mai sentito un ricordo di questo frate! Mi dicono che erano tempi in cui “quelle cose non si dicevano e non si ricordavano” né negli ambienti di chiesa né in quelli culturali e politici. A vent’anni ho perfino letto e studiato i manuali biblici – ricordo il commento a Isaia – redatti da questo frate, ma sulla sua vita non seppi mai nulla. A dispetto di questo silenzio, perché ora lo dichiarano beato? È molto semplice: perché nella vita si ha qualche rara volta l’occasione di essere eroi, ma quasi tutti i giorni si ha l’opportunità di non essere vigliacchi. E questo frate è stato un uomo e un cristiano non vigliacco!
Nato ad Alba nel 1905 in una famiglia poverissima, Giuseppe Girotti fece il chierichetto in duomo e lì maturò la sua vocazione a farsi prete. Ma in quegli anni non sempre per i più poveri c’era posto in seminario e così non gli fu concesso. Incontrò poi un frate domenicano che capì il cuore e la mente di quel ragazzo: Giuseppe accolse il suo invito ed entrò nel convento di Chieri, dove a diciotto anni fece professione definitiva.
Il giovane era dotato, come sovente i figli dei poveri, e per questo fu inviato a studiare dapprima a Roma, all’Angelicum e poi a Gerusalemme, all’École biblique, allora diretta dal grande biblista p. Lagrange. Rientrato in Italia, insegnò Sacra Scrittura a Torino, ma la sua vita era “infuocata”: fine intellettuale, frequentava ogni giorno i poveri e i vecchi dell’ospizio accanto al suo convento.Forse non era particolarmente ligio agli orari e alle “osservanze”, ma si immergeva nel servizio ai più bisognosi, attento alle sofferenze umane più che ai peccati. Anche per questo nel 1938 fu allontanato dall’insegnamento. Sopraggiunta la persecuzione degli ebrei, in particolare dopo l’ordinanza della Repubblica di Salò che il 30 novembre 1943 dispose l’arresto e l’internamento di tutti gli ebrei, padre Girotti si prodigò per nasconderli e aiutarli: né eroe né vigliacco, semplicemente non si lasciò piegare né comperare, disposto a perdere la vita piuttosto che la sua splendida umanità.Ma la sua azione a favore degli ebrei braccati venne scoperta e il 29 agosto 1944, memoria del martirio di Giovanni il Battista, tradito da qualcuno, fu sorpreso sulle colline torinesi mentre prestava soccorso a un amico ebreo. Arrestato non tornò più in convento: il 9 ottobre venne trasferito al lager di Dachau, dove nel registro d’ingresso fu annotato: “Ragione dell’arresto: aiutò gli ebrei”. Lì trovò anche pastori protestanti e preti, tra i quali p. Manziana, che diventerà vescovo di Crema e confessore di Paolo VI, don Beran, futuro arcivescovo di Praga e incarcerato dai comunisti...L’unico suo scritto dal lager che ci è rimasto è un’accorata omelia in latino sull’unità dei cristiani che sentiva più che mai urgente in quella buia stagione. Dei suoi ultimi mesi sappiamo poco: Edmond Michelet, anche lui internato a Dachau, futuro ministro di Charles de Gaulle, scriverà di fra Giuseppe: “era un giovane domenicano dalla figura angelica che con i suoi grandi occhi neri invocava Gesù-Viatico per la vita eterna”. Finché il 1° aprile, giorno di Pasqua, nel lager si seppe che padre Girotti era morto, forse finito da un’iniezione di benzina...Le ultime parole che i suoi compagni ascoltarono da lui furono il grido dell’Apocalisse: “Maràna thà. Vieni, Signore Gesù!” Al fondo del suo giaciglio rimasto vuoto, la mano di un suo compagno di cella scrisse: “San Giuseppe Girotti”: un uomo, un cristiano, un monaco riconosciuto santo dalle
vittime che erano con lui in quel campo di sterminio.
Ecco la santità: quando gli è stata data l’occasione di non essere vigliacco, quando ha visto il fratello nel bisogno, quando ha visto regnare l’ingiustizia, fra Giuseppe ha avuto il coraggio di parlare, di fare resistenza, di contrastare la barbarie con una quotidiana, umile, nascosta cura dell’altro, della vittima... Sì, la santità cristiana è quella di chi arriva al papato come quella di chi muore negli abissi dell’orrore e per decenni resta sconosciuto, senza che nessuno parli di lui, senza che si conosca molto di una vita spesa per gli altri.
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Papi e ignoti, ecco perchè sono santi Kairòs
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E ora leggete quello che ha veramente detto il Papa sulla famiglia
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo. e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque paghe; più forte era la vicinanza di Maria. Hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli: una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II sono stati sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte la fede in Gesù Cristo Redentore dell’uomo. e Signore della storia; più forte in loro era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque paghe; più forte era la vicinanza di Maria. Hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli: una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità
«Al centro di questa domenica che conclude l’Ottava di Pasqua, e che san Giovanni Paolo II ha voluto intitolare alla Divina Misericordia, ci sono le piaghe gloriose di Gesù risorto. Egli le mostrò già la prima volta in cui apparve agli Apostoli, la sera stessa del giorno dopo il sabato, il giorno della Risurrezione. Ma quella sera, come abbiamo sentito, non c’era Tommaso; e quando gli altri dissero che avevano visto il Signore, lui rispose che se non avesse visto e toccato quelle ferite, non avrebbe creduto. Otto giorni dopo, Gesù apparve di nuovo nel cenacolo, in mezzo ai discepoli: c’era anche Tommaso; si rivolse a lui e lo invitò a toccare le sue piaghe. E allora quell’uomo sincero, quell’uomo abituato a verificare di persona, si inginocchiò davanti a Gesù e disse: “Mio Signore e mio Dio!” (Gv 20,28).
Le piaghe di Gesù sono scandalo per la fede, ma sono anche la verifica della fede. Per questo nel corpo di Cristo risorto le piaghe non scompaiono, rimangono, perché quelle piaghe sono il segno permanente dell’amore di Dio per noi, e sono indispensabili per credere in Dio. Non per credere che Dio esiste, ma per credere che Dio è amore, misericordia, fedeltà. San Pietro, riprendendo Isaia, scrive ai cristiani: “Dalle sue piaghe siete stati guariti” (1 Pt 2,24; Is 53,5).
San Giovanni XXIII e san Giovanni Paolo II hanno avuto il coraggio di guardare le ferite di Gesù, di toccare le sue mani piagate e il suo costato trafitto. Non hanno avuto vergogna della carne di Cristo, non si sono scandalizzati di Lui, della sua croce; non hanno avuto vergogna della carne del fratello (Is 58,7), perché in ogni persona sofferente vedevano Gesù. Sono stati due uomini coraggiosi, pieni della parresia dello Spirito santo, e hanno dato testimonianza alla Chiesa e al mondo della bontà di Dio, della sua misericordia.Sono stati sacerdoti, e vescovi e papi del XX secolo. Ne hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era la misericordia di Dio che si manifesta in queste cinque piaghe; più forte in loro la vicinanza materna di Maria.In questi due uomini contemplativi delle piaghe di Cristo e testimoni della sua misericordia, dimorava “una speranza viva”, insieme con una “gioia indicibile e gloriosa” (1 Pt 1,3.8). La speranza e la gioia che Cristo risorto dà ai suoi discepoli, e delle quali nulla e nessuno può privarli. Lasperanza e la gioia pasquali, passate attraverso il crogiolo della spogliazione, dello svuotamento, della vicinanza ai peccatori fino all’estremo, fino alla nausea per l’amarezza di quel calice. Queste sono la speranza e la gioia che i due santi hanno ricevuto in dono dal Signore risorto e a loro volta hanno donato in abbondanza al Popolo di Dio, ricevendone eterna riconoscenza.Questa speranza e questa gioia si respiravano nella prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, di cui parlano gli Atti degli Apostoli (“,42-47), che abbiamo ascoltato nella seconda Lettura. E’ una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità.E questa è l’immagine di Chiesa che il Concilio Vaticano II ha tenuto davanti a sé. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno collaborato con lo Spirito Santo per ripristinare e aggiornare la Chiesa secondo la sua fisionomia originaria, la fisionomia che le hanno dato i santi nel corso dei secoli. Non dimentichiamo che sono proprio i santi che mandano avanti e fanno crescere la Chiesa. Nella convocazione del Concilio san Giovanni XXIII ha dimostrato una delicata docilità allo Spirito Santo,si è lasciato condurre ed è stato per la Chiesa un pastore, una guida – guidata, guidata dallo Spirito. Questo è stato il suo grande servizio alla Chiesa; per questo a me piace pensarlo come ilPapa della docilità allo Spirito Santo.In questo servizio al Popolo di Dio, san Giovanni Paolo II è stato il Papa della famiglia. Così lui stesso, una volta disse che avrebbe voluto essere ricordato come il Papa della famiglia. Mi piace sottolinearlo mentre stiamo vivendo un cammino sinodale sulla famiglia e con le famiglie, un cammino che sicuramente dal Cielo lui accompagna e sostiene.Che entrambi questi nuovi santi Pastori del Popolo di Dio intercedano per la Chiesa affinché durante questi due anni di cammino sinodale, sia docile allo Spirito santo nel servizio pastorale alla famiglia. Che entrambi ci insegnino a non scandalizzarci delle piaghe di Cristo, ad addentraci nel mistero della misericordia divina che sempre spera, sempre perdona, perché sempre ama» [Papa Francesco, Omelia per la canonizzazione dei Beati Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, 27 aprile 2014].Nell’ultimo libro ispirato, l’Apocalisse, ci sono due grandi figure. Innanzitutto vi è il dragone rosso fortissimo, con una manifestazione impressionante ed inquietante del potere senza grazia, senza amore, dell’egoismo assoluto, del terrore e della violenza. Nel momento in cui san Giovanni scrisse l’Apocalisse, per lui questo dragone era realizzato nel potere degli imperatori romani anticristiani, da Nerone fino a Domiziano. Questo potere appariva illimitato; il potere militare, politico, propagandistico dell’impero romano era tale che davanti ad esso la fede, la Chiesa appariva come una donna inerme, senza possibilità di sopravvivere, tanto meno di vincere. Chi poteva opporsi a questo potere onnipresente, che sembrava in grado di fare tutto? E come la prima comunità dei credenti, dei martiri si presentava? Una comunità in cui si vive l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità con la fisionomia originaria di una fede amica dell’intelligenza e una prassi di vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri e ai sofferenti. Alla fine ha vinto l la donna inerme, ha vinto non l’egoismo, non l’odio; ha vinto l’amore di Dio e l’impero romano si è aperto alla fede cristiana.Le parole della Sacra Scrittura trascendono sempre il momento storico. E così, questo dragone indica non soltanto il potere anticristiano dei persecutori della Chiesa di quel tempo, ma le dittature materialistiche anticristiane di tutti i tempi. Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II hanno vissuto questa forza del dragone nelle grandi dittature del secolo scorso: la dittatura del nazismo e la dittatura di Stalin avevano tutto il potere, penetravano in ogni angolo, l’ultimo angolo. Appariva impossibile che, a lunga scadenza, la fede potesse sopravvivere davanti a questo dragone forte, che voleva divorare Dio fattosi bambino e la donna, la Chiesa. Ma Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II come i primi credenti hanno conosciuto le tragedie, ma non ne sono stati sopraffatti. Più forte, in loro, era Dio; più forte in loro la misericordia di Dio; più forte in loro la vicinanza di Maria e hanno potuto vedere alla fine l’amore più forte dell’odio.Anche oggi esiste il dragone in modi nuovi con la cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi, con tutta la sua forza mediatica e propagandistica, come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita a livello globale. Ha luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale, con una fecondazione artificiale, con la dissoluzione della natura in maschio e femmina originari, creati, della famiglia naturale, senza libertà di educazione riducendo l’etica entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso. Di fronte a questo dragone persecutorio, con la potenza finanziaria e i mezzi della comunicazione sociale, vale ancora la loro fede, la fede dei santi che mandano avanti e salvano la Chiesa vivendo l’essenziale del Vangelo, vale a dire l’amore, la misericordia, in semplicità e fraternità.
Santità |
Nemmeno il miglior sceneggiatore sarebbe riuscito a inventare un evento del genere: papa Giovanni Paolo e Giovanni XXIII proclamati santi dal papa più ascoltato di sempre (almeno apparentemente), Francesco, nel giorno della Divina misericordia. Gli amici romani già si preparano ad essere invasi per l’ennesima volta, ma ci sono abituati. Durante un’intervista in Polonia, qualche […]
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Sicurezza: il giorno dei 4 papi
Sono iniziate alle 10, a Roma, le celebrazioni per la canonizzazione di Giovanni Paolo II e Giovanni XXIII alla presenza di Papa Francesco
e del Papa emerito Benedetto XVI. La cerimonia si è svolta sul sagrato della basilica Vaticana.
L'evento, che ha una rilevanza a livello mondiale, ha visto la partecipazione di capi di Stato, sovrani, capi di governo, ministri di stati esteri e massime autorità ecclesiastiche nonché migliaia di fedeli che, in questi giorni, hanno raggiunto la Capitale.In previsione del considerevole numero dei pellegrini attesi a Roma, sono stati disposti, dalla questura di Roma, servizi di sicurezza straordinari decisi in un tavolo tecnico.Il piano è stato studiato in modo tale da far seguire la cerimonia in sicurezza da parte di tutti. Per coloro che hanno affollato la zona del Vaticano è stata prevista un'area di massima sicurezza.Per l'evento, sono arrivati treni straordinari di provenienza sia nazionale che internazionale e circa 60 voli charter esclusivi negli aeroporti di Fiumicino e Ciampino.La polizia Stradale ai caselli autostradali, la polizia di Roma Capitale, l'Arma dei carabinieri e la polizia Provinciale dentro la città hanno avuto il compito d'indirizzare i conducenti dei pullman con a bordo i fedeli lungo i percorsi di avvicinamento alle aree di parcheggio messe a disposizione dal comune di Roma. Dalla sola Polonia sono arrivati circa 1.700 bus di pellegrini.Ispezioni e bonifiche hanno interessato tutta l'area circostante la Città del Vaticano con una particolare attenzione al sottosuolo.Imbarcazioni e sommozzatori della Polizia di Stato hanno pattugliato il Tevere nel tratto compreso tra Ponte Sisto e Ponte Umberto I.Il comune di Roma ha predisposto servizi di emergenza medica, servizi straordinari per il trasporto pubblico sia per la metro che per i bus, e il collocamento di maxi schermi nella città per seguire l'evento in diretta.
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... ROSES & ESPINE..