State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

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State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

mercoledì 14 febbraio 2018

Arrendersi con dedizione

Biografia del silenzio




Squadernauti

BIOGRAFIA DEL SILENZIO


Biografia del silenzio è un breve e prezioso testo di Pablo d’Ors, pubblicato in Italia da Vita e Pensiero nella traduzione di Danilo Manera.Pablo d’Ors, scrittore e sacerdote cattolico, in un percorso di quarantanove tappe (che corrispondono ad altrettanti capitoli del libro) descrive la pratica della meditazione silenziosa.Lo fa adoperando uno stile semplice, mai compiaciuto, esemplare per chiarezza e logicità, evidentemente scaturito da una profonda consapevolezza di sé e della propria traiettoria spirituale.sovracoperta d'ors_kleeDEF_no bold_Layout 1Per meditare, dice l’autore già nella prima pagina, occorre abbandonare la più inveterata delle abitudini: fare. Il disagio che si avverte in questo radicale ribaltamento di prospettiva è, anzitutto, fisico: “Nei primi mesi meditavo male, malissimo; tenere la schiena eretta e le ginocchia piegate non mi riusciva per nulla facile e, per giunta, respiravo con una certa agitazione”, p. 9.Indagare il nucleo più autentico di sé, poi, è un viaggio in un luogo mai esplorato; sono dunque inevitabili il senso di sgomento e la tentazione della fuga: “mi risultava quasi insopportabile stare con me stesso, ragion per cui scappavo costantemente da me. Questo verdetto mi ha portato alla certezza che, per quanto ampie e scrupolose fossero state le analisi della mia coscienza condotte nel mio decennio di formazione universitaria, la mia coscienza continuava ad essere, dopotutto, un territorio ben poco frequentato”, p. 12.La scoperta fondamentale a cui Pablo d’Ors giunge attraverso la meditazione è la differenza tra ciò che egli chiama piccolo io (o falso io) e il vero io (definizioni rinvenibli alle pp. 75-76).Il piccolo io (cioè l’ego nell’accezione deteriore del termine) si manifesta nella smania di giustapporre e collezionare esperienze, come se moltiplicare le azioni garantisse un accrescimento automatico della conoscenza di sé e del mondo: “Fino al momento in cui ho deciso di praticare la meditazione con tutto il rigore di cui ero capace, avevo avuto tante esperienze nel corso della vita da arrivare a un punto in cui, senza timore di esagerare, posso dire che non sapevo nemmeno bene chi ero […] Come molti dei miei contemporanei, ero convinto che quante più esperienze facessi e quanto più intense e folgoranti fossero, prima e meglio sarei arrivato alla pienezza come persona. Oggi so che non è così: la quantità di esperienze e la loro intensità serve solo a stordirci. […] Ora direi perfino che qualunque esperienza, anche quella in apparenza più innocente, è in genere troppo vertiginosa per l’anima umana, che si nutre solo a un ritmo pacato”, p. 13.L’allontanamento dal piccolo io equivale alla coscienza dell’autonomia del mondo, giacché nessun intervento umano può davvero incidere nel pulsare dell’universo: “Mentre sto seduto, apparentemente inattivo, comprendo meglio che il mondo non dipende da me, e che le cose sono come sono indipendentemente dal mio intervento. Vedere ciò è molto salutare: colloca l’essere umano in una posizione più umile, lo decentra, gli offre uno specchio a sua misura”, pp. 21-22.Allora, se fare è uno sterile esercizio di autoaffermazione che distanzia dalla verità, per aderire al ritmo della vita occorre proprio abbandonare l’azione: “Non conviene resistere, bensì lasciarsi andare, arrendersi con dedizione. Non resistere allo sforzo, bensì vivere nell’abbandono. […] Lo sforzo mette in funzionamento la volontà e la ragione; la resa, invece, la libertà e l’intuizione. […] Sicché non c’è nulla da inventare, basta ricevere quel che la vita ha inventato per noi; e poi, questo sì, darlo agli altri”, p. 38.Ma per poter accogliere la vita è necessario liberarsi dall’ossessione delle esperienze, svuotarsi, farsi cavi: “Ci spaventa lo scenario vuoto: tanta desolazione ci dà un’impressione di noia. Ma quel vuoto è la nostra identità più radicale, giacché non è altro che pura capacità di recepire e accogliere”, p. 60.Esistere davvero è corrispondere al ritmo, vivere senza che mai alcun gesto sia accompagnato da interpretazioni o proiezioni: “Tutti loro [i maestri di meditazione incontrati negli anni da Pablo d’Ors, n.d.r.] si muovono risolutamente e dicono semplicemente quel che hanno nel cuore e nella testa, senza che sembri preoccuparli la ripercussione o impressione che possono provocare. Nelle loro parole non c’è altro che le parole pronunciate, senza alcuna intenzione aggiuntiva”, p. 71.La partecipazione autentica alla vita è spegnere la propria individualità nel battito universale, in una suggestiva coincidenza tra accogliere ed essere accolti.
squadernauti.wordpress.com/2014/12/19/biografia-del-silenzio

BIOGRAFIA DEL SILENZIO


“Fare un bagno nell’essere” (Pablo d’Ors)
Leggiamo ancora qualcosa tratto da Biografia del silenzio di Pablo d’Ors:“Riconosco che passo buona parte delle mie sedute a sognare a occhi aperti; ammetto anche che questo vagheggiare mi risulta, in generale, abbastanza gradevole. Ma […] non è meditazione. […] Viviamo ebbri di idee e ideali, confondendo vita e fantasia. […]La meditazione ama la concretezza e respinge l’astrazione. Chi abbandona la chimera dei sogni, entra nella patria della realtà. […] Il sogno sfugge sempre: è evanescente, intangibile. La realtà invece non scappa, siamo noi a scappare da lei. Meditare significa tuffarsi di testa nella realtà e fare un bagno nell’essere. […]Non manipolare, limitarsi ad essere quel che si vede, si sente e si tocca: su questo si fonda la felicità della meditazione […].Camminare con l’attenzione desta, per esempio, o lavarsi i denti con attenzione: percepire il flusso dell’acqua, il suo rinfrescante contatto con le mani, il modo in cui chiudo il rubinetto, il tessuto dell’asciugamano… Ogni sensazione, per minima che sembri, è degna di essere esplorata. L’illuminazione […] si nasconde nei fatti più minuscoli […]. Vivere bene implica essere sempre a contatto con se stessi […].Non ambisco a contemplare, bensì a essere contemplativo, che equivale a esistere senza aspirazioni. […]Più che aiutare a trovare quel che si cerca, lo sforzo tende a impacciarci. Non conviene resistere, bensì lasciarsi andare, arrendersi con dedizione. Non insistere nello sforzo, bensì vivere nell’abbandono. Sia l’arte sia la meditazione nascono sempre dalla resa, mai dallo sforzo. E lo stesso succede con l’amore. Lo sforzo mette in funzionamento la volontà e la ragione; la resa, invece, la libertà e l’intuizione. […] L’unica cosa necessaria per questa resa con dedizione è essere lì, a captare quel che appare, qualunque cosa sia. La meditazione è come un rigoroso addestramento all’abbandono e all’abnegazione.Sicché non c’è nulla da inventare, basta ricevere […]; e poi, questo sì, darlo agli altri. I grandi maestri sono, senza eccezione, grandi recettori. […]Lo zen educa al rispetto verso la realtà. E la realtà non verrebbe rispettata se, in ultima istanza, non fosse considerata misteriosa. La meditazione aiuta a comprendere che tutto è un mistero […]. Oggi penso che per chi medita non c’è distinzione tra sacro e profano. […]Reagire al dolore con ostilità lo converte in sofferenza. […] Nessuno mette in dubbio che il dolore sia odioso, ma accettare il fastidio e abbandonarvisi senza resistenza è il metodo giusto per renderlo meno sgradevole. Ciò che ci fa soffrire sono le nostre resistenze alla realtà. […]Per ottenere questa connessione con il dolore bisogna fare esattamente l’opposto di quel che ci hanno insegnato: non correre, ma fermarsi; non sforzarsi, ma abbandonarsi; non proporsi mete, ma stare semplicemente lì. […]Il dolore è il nostro principale maestro. La lezione della realtà – che è l’unica degna di venire ascoltata – non si impara senza dolore. La meditazione non ha per me niente a che vedere con un ipotetico stato di imperturbabilità, come molti la intendono. Si tratta piuttosto di un lasciarsi lavorare dal dolore […]. La meditazione è quindi l’arte della resa. […] Se nel mondo ci viene insegnato a chiuderci al dolore, nella meditazione ci si insegna ad aprirsi a lui. La meditazione è una scuola di apertura alla realtà.Per quel che ho appena scritto, non sembrerà strano che la meditazione in silenzio e quiete sia stata accusata di sofisticato masochismo. In effetti, si arriva a un punto in cui si desidera sedersi tutti i giorni con la propria porzione di dolore: frequentarlo, conoscerlo, addomesticarlo” (pp. 32-45).

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