State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...
State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

domenica 30 novembre 2014

Il mistero gaudioso del sesso....

www.tempi.it
Pubblichiamo alcuni estratti dell’intervento del rabbino Jonathan Sacks (è considerato la massima autorità spirituale e morale ebraica ortodossa in Gran Bretagna) al Colloquio interreligioso internazionale 
Humanum – La complementarietà fra uomo e donna”, Roma 17-19 novembre.
Jonathan Sacks 
Stamattina voglio cominciare la nostra conversazione raccontando la storia della più bella idea nella storia della civiltà: l’idea dell’amore che porta nuova vita nel mondo. Ci sono molti modi di raccontarla. Per me è una storia fatta di sette momenti chiave, ciascuno dei quali sorprendente e inatteso.
Il primo, secondo un articolo scientifico apparso di recente, ebbe luogo 385 milioni di anni fa in un lago della Scozia. Fu allora, secondo la recente scoperta, che due pesci si unirono per realizzare il primo esempio di riproduzione sessuale noto alla scienza. Fino ad allora la vita si era propagata in modo asessuato, per divisione cellulare, gemmazione, frammentazione o partenogenesi: tutte forme più semplici e più economiche della divisione della vita in maschio e femmina, ciascuno dei due con un ruolo diverso nella creazione e nel sostentamento della vita. Quando consideriamo quanto sforzo ed energia richiede la congiunzione del maschio e della femmina nel regno animale – in termini di esibizione, rituali di corteggiamento, rivalità e violenze – è stupefacente che la riproduzione sessuale abbia cominciato a esistere. I biologi non sono sicuri del perché. Alcuni dicono che era funzionale alla protezione dai parassiti, o all’immunizzazione da malattie. Altri dicono semplicemente che l’incontro di opposti genera diversità. Ma in tutti i modi, quei pesci in Scozia scoprirono qualcosa di nuovo e magnifico, che da allora è stato copiato virtualmente da tutte le forme di vita evolute. La vita comincia quando il maschio e la femmina si incontrano e si abbracciano.
Il secondo inatteso sviluppo fu la sfida unica posta all’Homo sapiens da due fattori: assumemmo la posizione eretta, che compresse il bacino della femmina, e ci trovammo con cervelli più grandi (un aumento del 300 per cento), il che volle dire teste più grandi. Il risultato fu che i cuccioli degli umani cominciarono a venire al mondo più prematuramente di quelli di qualunque altra specie, e così si trovarono ad avere bisogno della cura parentale per un tempo molto più lungo. Ciò rese l’accudimento genitoriale più esigente fra gli umani che fra qualunque altra specie, opera di due persone anziché di una sola. Da qui il fenomeno – molto raro fra i mammiferi – del legame di coppia, diversamente dalle altre specie nelle quali il contributo del maschio tende a concludersi con l’atto della fecondazione. Fra la maggior parte dei primati, i padri nemmeno riconoscono i loro figli, oltre a non prendersi cura di loro. Nel resto del regno animale la maternità è quasi universale, ma la paternità è rara. Perciò quello che emerse insieme alla persona umana fu l’unione della madre e del padre biologici per prendersi cura del figlio. Fin qui la natura, ma poi venne la cultura, e con lei la terza sorpresa.
Monoteismo e monogamia
Pare che fra i cacciatori-raccoglitori il legame di coppia fosse la norma. Poi sorsero l’agricoltura e i surplus economici, le città e la civiltà, e per la prima volta stridenti ineguaglianze cominciarono a emergere fra ricchi e poveri, potenti e senza potere. I grandi ziggurat della Mesopotamia e le piramidi dell’antico Egitto con la loro base larga e la cima stretta erano affermazioni monumentali di pietra di una società gerarchica nella quale i pochi avevano potere sui molti. E la più ovvia espressione di potere fra i maschi alfa, sia umani che primati, è di dominare l’accesso alle donne fertili e così massimizzare la trasmissione dei propri genî alla generazione seguente. Da qui la poligamia, che esiste nel 95 per cento dei mammiferi e nel 75 per cento delle culture studiate. La poligamia è l’espressione ultima della diseguaglianza, perché significa che molti maschi non avranno mai la possibilità di avere una moglie e un figlio. E l’invidia sessuale è stata, per tutta la storia, fra gli animali come fra gli umani, un fattore primario di violenza. È questo che rende così rivoluzionario il primo capitolo della Genesi, nella sua affermazione che ogni essere umano, indipendentemente dalla classe, dal colore della pelle, dalla cultura o dal credo, è fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso.
Sappiamo che nel mondo antico a essere considerati a immagine di Dio erano i governanti, i re, gli imperatori e i faraoni. Quello che la Genesi dice è che siamo tutti di stirpe reale. Abbiamo tutti la stessa dignità nel regno della fede sotto la sovranità di Dio. Da ciò consegue che ciascuno di noi ha un uguale diritto a sposarsi e ad avere figli, ed è per questo che, a prescindere dall’interpretazione che diamo della storia di Adamo ed Eva, la norma presupposta da quella storia è: una donna, un uomo. O, come la Bibbia dice, «per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una carne sola». La monogamia non divenne immediatamente la norma, nemmeno in ambito biblico. Ma molte delle sue storie più famose, come quella della tensione fra Sara e Agar, o di Lea e Rachele e i loro figli, o di Davide e Betsabea, o delle molte mogli di Salomone, sono tutte critiche che puntano in direzione della monogamia.
E c’è una profonda connessione fra il monoteismo e la monogamia, come ce n’è una, nella direzione opposta, fra idolatria e adulterio. Il monoteismo e la monogamia riguardano la relazione totale fra un io e un Tu, fra me stesso e un altro, sia esso umano o divino. Ciò che rende insolito l’apparire della monogamia è il fatto che normalmente i valori di una società sono imposti dalla classe dominante. E la classe dominante in ogni società gerarchica ha da guadagnarci dalla promiscuità e dalla poligamia, entrambe le quali moltiplicano le possibilità dei miei genî di essere trasmessi alla generazione successiva. Con la monogamia i ricchi e potenti ci perdono, mentre i poveri e i senza potere ci guadagnano. Il ritorno della monogamia andava contro la normale direzione del cambiamento sociale e rappresentò un vero trionfo per l’uguale dignità di tutti. Ogni sposo e ogni sposa sono di stirpe reale; ogni casa è una reggia quando vi abita l’amore.
Un patto è come il matrimonio
Il quarto importante sviluppo fu il modo in cui questo trasformò la vita morale. Il lavoro dei biologi con le loro simulazioni al computer e il loro ricorso al “dilemma dei prigionieri” per spiegare perché fra tutti gli animali sociali esista il comportamento altruistico reciproco, ci sono diventati familiari. Noi ci comportiamo con gli altri come vorremmo che gli altri si comportassero con noi, e rispondiamo loro come vorremmo che loro rispondessero a noi. Come ha sottolineato C. S. Lewis nel suo libro L’abolizione dell’uomo, la reciprocità è la regola d’oro comune a tutte le grandi civiltà. Ciò che di nuovo e notevole presentava la Bibbia ebraica, era l’idea che l’amore, e non semplicemente la giustizia, è il principio guida della vita morale. I tre amori: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente»; «Ama il prossimo tuo come te stesso»; «Ama lo straniero perché sai come ci si sente a essere uno straniero». O, detto in un altro modo, come Dio ha creato il mondo naturale nell’amore e nel perdono, così noi siamo incaricati di creare il mondo sociale nell’amore e nel perdono. E quell’amore è una fiamma che viene accesa nel matrimonio e nella famiglia. La moralità è l’amore fra il marito e la moglie e fra il genitore e il figlio, estesi verso l’esterno a tutto il mondo.
Il quinto sviluppo ha caratterizzato l’intera struttura dell’esperienza ebraica. Nell’antico Israele una forma di accordo originariamente secolare, chiamata patto, fu presa e trasformata in un nuovo modo di pensare la relazione fra Dio e l’umanità, nel caso di Noè, fra Dio e un popolo nel caso di Abramo e più tardi degli israeliti al Monte Sinai. Un patto è come un matrimonio. È un impegno di lealtà reciproca e di fiducia fra due o più persone a lavorare insieme per ottenere insieme ciò che da solo nessuno dei due potrebbe ottenere. E c’è una cosa che nemmeno Dio può ottenere da solo: vivere nel cuore umano. Per questo ha bisogno di noi. Perciò la parola ebraica “emunah”, erroneamente tradotta come fede, in realtà significa fedeltà, lealtà, costanza, non abbandonare quando si fa dura, avere fiducia nell’altro e onorare la fiducia dell’altro verso di noi. Ciò che il patto operò, come vediamo in molti profeti, fu di far comprendere la relazione fra noi e Dio nei termini del rapporto fra sposo e sposa, fra moglie e marito. L’amore divenne non solo la base della moralità, ma anche della teologia. Nell’ebraismo la fede è un matrimonio. (…)
Questo ci conduce a una sesta idea: che la verità, la bellezza, la bontà e la vita non esistono in nessuna persona o entità a sé stante, ma nel “fra”, ciò che Martin Buber ha chiamato l’interpersonale, il contrappunto del parlare e ascoltare, del dare e ricevere. Attraverso tutta la Bibbia e la letteratura rabbinica, il veicolo della verità è la conversazione. Nella rivelazione Dio parla e ci chiede di ascoltare. Nella preghiera noi parliamo e Dio ascolta. Non c’è mai una voce sola. Nella Bibbia i profeti discutono con Dio. Nel Talmud i rabbini discutono fra di loro. In effetti a volte io penso che Dio abbia scelto il popolo ebraico perché Gli piace discutere. (…) Il profeta Malachia dice che «le labbra del sacerdote dovrebbero custodire la conoscenza e dalla sua bocca uno dovrebbe cercare la legge». Il libro dei Proverbi della donna di valore dice che «apre la sua bocca con sapienza, e sulla sua lingua c’è la legge della bontà». È questa conversazione fra voci maschili e femminili, fra verità e amore, fra giustizia e misericordia, legge e perdono, che caratterizza la vita spirituale. Nei tempi biblici ogni ebreo doveva dare un mezzo siclo al Tempio per ricordarci che siamo solo una metà. Ci sono culture che insegnano che non siamo nulla. Altre che insegnano che siamo tutto. Il punto di vista ebraico è che siamo una metà e che dobbiamo aprirci a un altro se vogliamo diventare un intero.
Ciò che era unito ora è separato
Tutto questo ha portato al settimo risultato, e cioè che nell’ebraismo la casa e la famiglia divennero la scena centrale della vita di fede. Nell’unico verso della Bibbia nel quale si spiega perché Dio scelse Abramo, il Signore dice: «Io l’ho prescelto perché ordini ai suoi figli, e alla sua casa dopo di lui, che seguano la via del Signore per praticare la giustizia e il diritto». Abramo non fu scelto per governare un impero, comandare un esercito, compiere miracoli o pronunciare profezie, ma semplicemente perché fosse un genitore. In uno dei più famosi passaggi dei testi ebraici, Mosè ordina: «Insegnerai queste cose ripetutamente ai tuoi figli, parlandone quando siedi a casa o procedi per la strada, quando ti corichi e quando ti alzi». I genitori devono essere educatori, l’educazione è la conversazione fra le generazioni, e la prima scuola è la casa. Perciò noi ebrei siamo un popolo intensamente orientato alla famiglia, ed è questo che ci ha salvato dalla tragedia. Dopo la distruzione del Secondo Tempio nell’anno 70, gli ebrei si dispersero in tutto il mondo, ovunque una minoranza, ovunque privi di diritti, e soffrirono alcune delle peggiori persecuzioni mai conosciute da un popolo. E tuttavia gli ebrei sopravvissero come popolo perché non persero mai tre cose: il loro senso della famiglia, il loro senso della comunità e la loro fede. (…)
Il matrimonio e la famiglia sono il luogo dove la fede trova la sua casa e dove la Divina presenza vive nell’amore fra marito e moglie, genitore e figlio. Cos’è cambiato, allora? (…) Ciò che ha reso la famiglia tradizionale un’opera d’arte religiosa, è ciò che essa ha unito insieme: attrazione sessuale, desiderio fisico, amicizia, compagnia, affinità emotiva e amore, generazione dei figli e loro protezione e cura, loro prima educazione e immissione in un’identità e in una storia. Raramente un’istituzione ha riunito insieme così tante pulsioni e desideri diversi, ruoli e responsabilità. Ha dato senso al mondo e gli ha dato un volto umano, il volto dell’amore. Per una grande varietà di ragioni, alcune delle quali hanno a che fare con sviluppi medici come il controllo delle nascite, la fecondazione assistita e altri interventi genetici, altre con cambiamenti morali come l’idea che siamo liberi di fare tutto quello che vogliamo se non danneggia altri, alcune con il trasferimento di responsabilità dall’individuo allo Stato, e altri più profondi cambiamenti nella cultura dell’Occidente, quasi tutto ciò che il matrimonio una volta aveva riunito insieme, ora è stato separato.

sabato 29 novembre 2014

La storia di Gudbrando...

Gudbrando il montanaro

DI ADMIN@COSTANZAMBLOG
Pur essendo stata citata decine e decine di volte da Costanza  ci siamo accorti di non aver mai pubblicato la storia di Gudbrando il montanaro. Eccola.1dx9l7_AuSt_77C’era una volta un uomo di nome Gudbrando che aveva una fattoria lontano lontano, là, sulla montagna: perciò tutti lo chiamavano Gudbrando il montanaro. Dovete ora sapere che egli aveva una mogliettina e che essi si amavano e si comprendevano l’un l’altro, tanto che la moglie trovava che tutto ciò che faceva il marito era fatto nella maniera migliore ed era sempre contenta qualunque cosa egli facesse. La fattoria era tutta loro e così pure la terra; avevano poi qualche soldo nascosto sotto il materasso e due mucche legate nella stalla. Un giorno la moglie disse a Gudbrando:- Sai, caro, penso che dovremo portare una delle nostre mucche in città e venderla; avremo così un po’ di denaro da spendere, come la gente per bene come noi deve sempre avere. Non possiamo certo mettere mano al piccolo gruzzolo che teniamo sotto il materasso. E non saprei che cosa fare, col ricavo di più di una mucca. Inoltre guadagneremo anche in un altro modo: infatti dopo dovrò badare ad una sola mucca, mentre adesso mi tocca dar da mangiare, bere ed accudire a due.Detto fatto, pensando che la moglie avesse ragione, Gudbrando si mise subito in cammino verso la città con una delle mucche per venderla; ma giuntovi non trovò nessuno che volesse comperarla.- Non importa, non importa – si disse Gudbrando – alla peggio non mi resta che ritornare a casa con la mia mucca. La stalla c’è, la mangiatoia anche, e la strada per tornare non è più lunga di quella fatta per venire.E così si rimise lentamente in cammino verso casa con la sua mucca. Aveva percorso un pezzettino di strada quando incontrò un uomo che conduceva al mercato un cavallo da vendere.- Che c’è di meglio di un bel cavallo? – pensò Gudbrando e lo barattò immediatamente con la mucca.Poco dopo incontrò un altro uomo che camminava spingendosi avanti un bel maiale grasso, e pensò che era senz’altro meglio avere un bel maiale che un cavallo; e lo barattò. Poi incontrò un uomo con una capra e decise che era meglio una capra che un maiale, e barattò anche il maiale. Fatto un altro pezzo di strada si imbatté in un uomo che aveva una pecora ed ecco che barattò ancora, pensando che era meglio avere una pecora che una capra. Più avanti incontrò un uomo con un’oca e cambiò l’oca con la pecora; e dopo aver camminato ancora un bel po’, incontrò un uomo con un gallo e lo barattò, perché – Certo è meglio – pensò – avere un gallo che un’oca. –Quindi andò avanti fino che, mentre si avvicinava la sera, sentì un grande appetito e vendette il gallo per un fiorino e con questo si comperò da mangiare pensando:- E’ sempre meglio salvare la propria pelle, che possedere un gallo!Si diresse quindi verso casa e, passando davanti alla casa di un conoscente, entrò a fargli visita.- Ebbene, – gli chiese il padrone di casa – come è andata in città?- Uhm! così, così – disse Gudbrando. – Non posso elogiare la mia fortuna né d’altra parte lamentarmi.E raccontò tutta la sua giornata dal principio alla fine.- Ah! – esclamò l’amico. – Ti aspetta una bella strapazzata, appena torni a casa da tua moglie. Il cielo ti assista. Per nulla al mondo vorrei essere nei tuoi panni.- Mah, – disse Gudbrando, il montanaro – io penso che avrebbe anche potuto andarmi molto peggio; ma se ho fatto bene o no, ho una moglie così buona che non ha mai niente da ridire su quello che faccio.- Ah, ah! – commentò il conoscente. – Tu dici così, ma io non ci credo.- Così ne dubiti? – chiese Gudbrando.- Sì – disse l’amico – e ho qui con me cento zecchini. Sono tuoi se mi darai la prova di quanto hai detto.Così Gudbrando restò lì fino a sera e quando cominciò a far buio, insieme si recarono a casa. L’amico si appostò dietro l’uscio per ascoltare, mentre Gudbrando entrò a salutare la moglie.- Buona sera, cara – disse Gudbrando, il montanaro.- Buona sera – rispose la moglie. – Oh, sei tu? Sono felice di rivederti.Poi chiese come erano andate le cose in città.- Così, così – rispose Gudbrando. Non c’è molto da vantarsi; quando giunsi in città non trovai nessuno che volesse comperare la mucca, perciò, devo ammetterlo, l’ho barattata con un cavallo.- Con un cavallo? – disse la moglie. – Sei stato bravo, grazie di cuore; così potremo andare a Messa la domenica in calessino come fa tanta altra gente; e se ci piace allevare un cavallo, mi pare, abbiamo tutto il diritto di farlo.Poi aggiunse: – Corri fuori, caro, metti il cavallo nella scuderia.- Oh! – esclamò Gudbrando. – Io non ho il cavallo, perché, fatto un altro pezzetto di strada, l’ho barattato con un maiale.- Ci credi? – disse la moglie. – Hai fatto ciò che avrei fatto io stessa; mille grazie! Adesso sì che potrò avere in casa un po’ di prosciutto da offrire a chi viene a trovarci. A che cosa ci sarebbe servito, il cavallo? La gente avrebbe solo pensato che ci eravamo inorgogliti tanto da non essere più capaci di andare in chiesa con le nostre gambe; esci, marito mio, e metti il maiale nel porcile.
- Ma io non ho neanche il maiale! – rispose Gudbrando. – Poco dopo l’ho barattato con una capra.
- Mio caro! – gridò la moglie. – Come sei stato bravo! Ora che ci ripenso, che cosa ne avrei fatto del maiale? La gente avrebbe finito col dire che eravamo solo capaci di mangiare tutto ciò che avevamo. No, adesso, con una capra avrò il latte, il formaggio e anche la capra. Esci, e mettila nella stalla.
- No, non ho neppure la capra – disse Gudbrando. – Perché, poco dopo, l’ho barattata con una bella pecora.
- Non mi dire! – gridò la moglie. – Hai fatto tutto quanto io desideravo, come se ti fossi stata vicina! Che cosa ce ne saremmo fatti, della capra? Avrei finito col perdere metà della giornata per andare a cercarla sulla collina. No, se ho una pecora, avrò lana e vestiti e cibo fresco in casa. Esci a sistemarla.
- Ma non ho neppure la pecora! – esclamò Gudbrando. – Perché poco dopo l’ho barattata con un’oca.
- Grazie! Grazie di tutto cuore – gridò la moglie. – Che me ne farei, di una pecora? Non ho più l’arcolaio né il pettine e non mi piace neanche tagliare, mettere in prova, e cucirmi i vestiti. Possiamo comprare i vestiti come abbiamo fatto in passato, e finalmente avrò un bell’arrosto d’oca come ho sempre sognato; ed inoltre le piume con cui posso imbottire il mio cuscinetto. Esci e mettila nel pollaio.
- Bene, – disse Gudbrando – non ho neppure l’oca, perché poco dopo l’ho barattata con un gallo.
- Mio caro! – gridò la moglie. – Come pensi a tutto! Avrei voluto farlo io stessa! Un gallo! Hai proprio indovinato! Sostituisce benissimo l’orologio; ogni giorno canterà alle quattro e ci farà buttare per tempo dal letto le nostre pigre gambe. Che cosa ce ne saremo fatti di un’oca? Non so cucinarla, e in quanto al cuscino lo posso imbottire con crine vegetale! Esci e mettilo nel pollaio!
- Ma, per dir la verità, non ho neppure il gallo – dichiarò Gudbrando. – Perché poco dopo mi è venuta una fame da lupi e, per non morire, ho dovuto vendere il gallo per un fiorino.
- Sia ringraziato Iddio! – gridò la moglie. – Qualunque cosa tu faccia, la fai per rendermi contenta. A che cosa ci sarebbe servito un gallo? Non dipendiamo da nessuno e al mattino possiamo stare a letto quanto ci pare e ci piace. Il cielo sia lodato che ti ho ancora qui sano e salvo; tu fai tutto così bene che non voglio né gallo, né oca, né maiale, né mucca.
Allora Gudbrando aprì la porta e disse:
- Ebbene, che cosa ne dite? Ho vinto i cento zecchini?
E il suo vicino dovette ammettere di aver perduto e pagare.

Dialogo con l’Islam, la scelta di Francesco per salvare i cristiani

Dialogo con l’Islam, la scelta di Francesco  Kairòs



Parole di Papa Francesco scritte sul Libro d'Onore di Santa Sofia

"Quam dilecta tabernacula tua Domine (Psalmus 83). Contemplando la bellezza e l’armonia di questo luogo sacro, la mia anima si eleva all’Onnipotente, fonte ed origine di ogni bellezza, e chiedo all’Altissimo di guidare sempre i cuori dell’umanità sulla via della verità, della bontà e della pace."

Ieri, 28 novembre, nel Libro d'Onore del Palazzo presidenziale il Santo Padre ha scritto: 
"Che l’Onnipotente conceda pace e prosperità al caro popolo turco, augurando all’intero Paese di essere sempre più luogo di convivenza pacifica tra culture e civiltà, dove ogni persona umana si senta accolta e tutelata nella propria dignità e nella fede liberamente professata."

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Dialogo con l’Islam, la scelta di Francesco per salvare i cristiani
Corriere della Sera
 
(Alberto Melloni) Papa Francesco è in Turchia per celebrare insieme al Patriarca ecumenico Bartholomeos la festa di sant’Andrea. È una visita usuale dopo che le relazioni fra la Chiesa della nuova Roma (Costantinopoli) e della antica Roma sono diventate fraterne, con la levata delle scomuniche decretata alla fine del Vaticano II. Ma la Turchia è anche la memoria di un Islam conquistatore, quello che espugnò Costantinopoli nel 1453, poco dopo il fallito Concilio di Firenze, al termine del quale i monaci bizantini teorizzavano che fosse meglio essere soggetti al turbante del Sultano che alla tiara del Papa.
In Turchia c’è la memoria della diplomazia cristiana saggia di monsignor Angelo Roncalli, mandato in quella terra laicizzata a viva forza da Atatürk, dove, anziché fare il «funerale del passato», aprì una via di amore e, durante la Shoah, seppe far evadere dalla grande prigione dell’Europa nazifascista migliaia di israeliti in fuga verso la Palestina.
Questo insieme di memorie può sembrare schiacciato oggi da una gigantesca, densa nube che oscura l’orizzonte del Levante turco ed europeo. È la nera nube della guerra di religione che avvolge tre decenni di conflitti nei quali sono morti milioni di credenti, in gran parte musulmani di diversa denominazione. È la nube dell’orrore dalla quale è uscita la forsennata prepotenza dei tagliagole del sedicente Stato islamico, che sterminano le vite di cui nessuno si cura e quelle dei cooperanti e dei giornalisti, la cui decapitazione colpisce l’immaginario con una ferocia ostentata. Assassini di inermi, stupratori di bambine e di donne. Piccola minoranza dentro quel mosaico che la nostra ignoranza chiama «l’Islam», alla quali errori politici e negligenze teologiche hanno permesso di radicarsi ideologicamente tra le nuove generazioni: ma capace di contagiare parti distanti del grande corpo dei musulmani e di accendere il demone della paura. La nube scura, che si intravede da Ankara, avvolge anche il destino dei cristiani, vittime di questa lotta senza quartiere e senza pietà. Profughi che fuggono dalle città dove hanno abitato per secoli, lontani dalle cristianità latina e bizantina. Prede uccise oppure — come i vescovi di Aleppo o il gesuita Paolo Dall’Oglio — rapite per poter essere esibite, vive o morte, come argomento che corrobori le tesi di chi pensa che serve guerra per spegnere la guerra e violenza per troncare la violenza.
Francesco, il Papa che teorizza il contrario, non evade la domanda che pone la immensa scurissima nube. Non è un uomo ingenuo né lo sono i diplomatici — Parolin, Caccia, Filoni, Tauran — con i quali si confronta. Quando due anni fa fermò con un digiuno il bombardamento di Damasco che avrebbe aggiunto caos nel quadrante siriano, quando giusto dodici mesi or sono cercò di coinvolgere la Russia in una situazione che non potrà essere equilibrata dai soli interessi strategici dell’amministrazione americana, surclassò la superficialità di tanti. Papa Francesco sa che c’è chi sfida su questo ambito la sua decisione di essere voce inerme degli inermi, musulmani e cristiani, soprattutto cristiani. Perché chi dice la più ovvia delle cose — cioè che non si possono ignorare le innumerevoli vittime cristiane della guerra, derubate di tutto — finisce fatalmente per chiedere che chi ha la forza militare di farlo liquidi gli assassini. Con una guerra, insomma: o se mai con una «crociatina». Chi non li ama sostiene che salverebbe i cristiani, chi li ama sa bene che un’altra guerra lascerebbe proprio ai fedeli un conto da pagare sempre più salato.
Il Papa va inerme a dire che quello che salverà i cristiani è solo la pace: la pace di tutti, dei musulmani e dei cristiani. Una pace che ha bisogno di politiche per far rientrare in scena attori esclusi (il decimo rapporto Nomisma su «Nomos e Chaos» lo spiega in dettaglio), e ha bisogno della fede dei credenti. Francesco ha detto che l’aggressore ha il diritto (proprio così: il diritto) di essere fermato prima che la sua bestialità idolatra lo perda: ma non ha fornito soluzioni facili dietro le quali una politica senza idee si possa nascondere. E ha chiamato a pregare per questo viaggio nel quale la comunione delle Chiese non costituisce un altro tema (non fu il dilemma del concilio di Firenze?), ma parte del problema. Perché in un mondo dilaniato dal demone della divisione e dell’odio, l’unica soluzione possibile è la più alta: affermare l’unità del genere umano. Farlo richiede una autenticità profonda che Francesco ha, che ha anche Bartholomeos. Gli altri la facciano vedere, se sanno cos’è.

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Il Papa in Turchia: dialogo fra religioni contro il terrorismo   
Corriere della Sera
 
(Gian Guido Vecchi) Fu proprio qui, in Anatolia, che Alessandro Magno arrivò da conquistatore e nella tradizione recise con la spada il «nodo gordiano» altrimenti inestricabile. Ma il nodo del Medio Oriente è molto peggio, Francesco ricorda le «violenze disumane» patite in Iraq e Siria «specialmente da cristiani e yazidi» e nel primo giorno di viaggio in Turchia, «ponte naturale tra due continenti e differenti espressioni culturali», avverte che le armi, contro Isis e affini, non possono bastare: «Nel ribadire che è lecito fermare l’aggressore ingiusto, sempre però nel rispetto del diritto internazionale, voglio anche ricordare che non si può affidare la risoluzione del problema alla sola risposta militare». 

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Vatican Insider
(Andrea Tornielli) Francesco invita i leader religiosi islamici al reciproco rispetto e all'amicizia come «messaggio alle rispettive comunità» e condanna gli atti del «gruppo estremista e fondamentalista» dell'Isis. Al di là dei confini della Turchia le minoranze (...)

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Europa Quotidiano
(Franco Cardini) È molto delicato, anzi non è per nulla facile, il compito diplomatico – ma in primissima istanza religioso e umanitario – che papa Francesco si è assunto con questo viaggio in Turchia. In Ankara, la città già hittita e poi romana fatta assurgere da Mustafa Kemal (...)

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«Solidarietà tra i credenti»   
Il Sole 24 Ore
 
(Carlo Marroni) L’auto papale arriva al gigantesco palazzo presidenziale della Turchia scortata da un drappello di militari a cavallo. Il Pontefice argentino non ama per niente le solennità protocollari, ma l’occasione è troppo preziosa per le autorità del paese ospitante. (...)

mercoledì 26 novembre 2014

La prof attende le scuse...


False le accuse di omofobia. La prof attende le scuse  kAIRòS
di Gianfranco Amato  www.lanuovabq.it



La professoressa Adele Caramico, insegnante di religione cattolica dell’Itis “Pininfarina” di Moncalieri, a chiusura delle indagini interne svolte dal dirigente dello stesso istituto scolastico, è stata pienamente e ufficialmente scagionata dalla falsa accusa di aver proferito espressioni omofobe. Resta l’amara costatazione che per ben venti giorni l’insegnante è stata sottoposta a un vergognoso linciaggio mediatico, che l’ha vista persino additata per strada, quelle rare volte in cui ha avuto l’ardire di uscire di casa. Della sua vicenda se ne è parlato persino alla nota trasmissione televisiva “La Vita in diretta” di RaiUno.
In questi venti giorni la professoressa Caramico si è trovata al centro non solo di una bufera mediatica, ma anche politica. Infatti, sulle sue asserite e false affermazioni omofobe è stata presentata un’interrogazione urgente al ministro Giannini da parte degli onorevoli Lavagno, Zan, Pillozzi, Piazzoni e Marzano, per chiedere «se il ministro fosse a conoscenza delle problematiche sopra esposte e come intendesse procedere per contrastare casi analoghi di omofobia dei docenti negli istituti statali». Gli onorevoli deputi, ora, chiederanno scusa ad Adele Caramico? É’ stata presentata da parte del senatore del Pd Andrea Marcucci, presidente della Commissione Istruzione a Palazzo Madama, un’interpellanza urgente in cui si definiva la vicenda «intollerabile». Il presidente Marcucci, ora, chiederà scusa ad Adele Caramico? 
L’assessore Regionale alle Pari Opportunità, Monica Cerutti, ha fatto inserire sul sito istituzionaledella Regione Piemonte una dichiarazione intitolata “Discriminazione: la denuncia degli studenti del Pininfarina è la conferma del buon lavoro di sensibilizzazione della Regione Piemonte”, con cui, tra l’altro, si afferma che «fortunatamente il lavoro di sensibilizzazione che anche il settore Pari Opportunità della Regione Piemonte ha svolto in questi anni è servito a creare i giusti anticorpi contro le discriminazione negli studenti che hanno denunciato l'accaduto». A prescindere dal fatto che la denuncia, in realtà, è stata fatta solo da uno studente minorenne omosessuale attivista dell’Arcigay, mentre tutti gli altri studenti hanno smentito la versione di quel loro compagno, la dichiarazione dell’assessore, tuttora leggibile sul sito web regionale afferma quanto segue: «Solamente poche settimane fa ho partecipato proprio al Pininfarina a una bella iniziativa contro le discriminazioni. Si trattava della premiazione di un concorso video sulla cultura di parità denominato Corti&Pari. In quell’istituto la discriminazione evidentemente non è la prassi. La denuncia degli studenti davanti a quello che hanno reputato un episodio discriminatorio è la prova che il lavoro svolto in questi anni anche dalla Regione Piemonte all'interno degli istituti scolastici è stato utile e deve essere rafforzato. In merito all'episodio avvenuto a Moncalieri sarà aperta una procedura di controllo presso il Centro regionale contro le discriminazioni». L’Assessore Cerutti, ora, chiederà scusa alla professoressa Adele Caramico e provvederà a rettificare quanto risulta scritto sul sito istituzionale della Regione Piemonte? 
Il consigliere comunale radicale di Torino, Silvio Viale, ha chiesto di sottoporre l’insegnanteincriminata ad uno specifico «corso di aggiornamento», una “rieducazione” in pieno stile maoista. Il consigliere Viale, ora, chiederà scusa?  Il vicesindaco di Moncalieri, Paolo Montagna, a proposito della vicenda, dopo aver precisato che «non c’è spazio né per gli omofobi né per l’omofobia» (l’insegnante avrebbe quindi dovuto trasferirsi), ha dichiarato di «volersi muovere sin da subito per mandare un messaggio forte e adottare efficaci provvedimenti». Il vicesindaco, ora, chiederà scusa? Potremmo andare avanti citando altri casi, ma per carità cristiana ci fermiamo qui.
Il modo con cui è stata montata questa vicenda kafkiana deve essere da monito per tutti. Non è un caso, infatti, che le false accuse mosse ad Adele Caramico siano state lanciate da un giovane noto attivista dell’Arcigay. Questa non irrilevante circostanza dimostra ancora una volta la pericolosità dell’ossessiva caccia alle streghe abilmente orchestrata dalle associazioni Lgbt con la complicità cinica e disinvolta di esponenti delle istituzioni. Un Paese che si definisce democratico deve mostrare di avere gli “anticorpi” (quelli veri non quelli dell’assessore Cerutti) per reagire alla pericolosa deriva maccartista che stiamo oggi vivendo in Italia. Un’assurda quanto odiosa e sinistra “caccia all’omofobo” che non rispetta i più elementari principi di giustizia, e che è capace di calpestare la dignità personale e professionale dei poveri malcapitati, di quelle vittime che vengono accuratamente selezione, infilate nel tritacarne di un massacro mediatico da macelleria messicana, e mostrate, infine, al pubblico ludibrio. Il tutto con l’ottima scusa di tutelare i nuovi diritti Lgbt. Qualcuno dovrebbe cominciare a farsi un serio esame di coscienza.

martedì 25 novembre 2014

La settima stanza Edith Stein


IN OCCASIONE DELLA GIORNATA CONTRO LA VIOLENZA SULLE DONNE.

RIFLETTIAMO A MODO NOSTRO, CONTEMPLANDO E PREGANDO

QUI UNA NOSTRA RIFLESSIONE


Violenza sulle donne, l'unico antidoto è Cristo
di Antonello Iapicca  LaNuovaBussolaQuotidiana



La storia meravigliosa di una DONNA che ha subito violenza e che in essa ha saputo offrirsi nell'amore di Cristo più forte della morte




IL FILM

La settima stanza 1995 Italiano 1/11

DOCUMENTI


Qualcosa di Edith. La bellezza della donna che rinasce in Cristo


Cosa può avere Edith Stein in comune con la donna di oggi? Molti aspetti se impariamo a conoscerla, in particolare negli anni trascorsi prima della radicale scelta della clausura. Proprio i quarantadue anni di vita da lei trascorsi nel mondo offrono uno spunto di riflessione sempre attuale. La vita di Edith Stein mostra come la ricerca strenua della verità non solo porta a calcare le scoglie estreme cui uomo può spingersi, ma necessita anche di farsi carne in un cammino che coinvolge l'interezza della vita.
Approfondimento scritto da Stefania De Bonis 

 BIOGRAFIA




Teresa Benedetta della Croce Edith Stein (1891-1942)
monaca, Carmelitana Scalza, martire  
" Ci inchiniamo profondamente di fronte alla testimonianza della vita e della morte di Edith Stein, illustre figlia di Israele e allo stesso tempo figlia del Carmelo. Suor Teresa Benedetta della Croce, una personalità che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo, una sintesi ricca di ferite profonde che ancora sanguinano; nello stesso tempo la sintesi di una verità piena al di sopra dell'uomo, in un cuore che rimase così a lungo inquieto e inappagato, "fino a quando finalmente trovò pace in Dio"", queste parole furono pronunciate dal Papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione di Edith Stein a Colonia, il 1° maggio del 1987.
Chi fu questa donna?Quando il 12 ottobre 1891 Edith Stein nacque a Breslavia, quale ultima di 11 figli, la famiglia festeggiava lo Yom Kippur, la maggior festività ebraica, il giorno dell'espiazione. " Più di ogni altra cosa ciò ha contribuito a rendere particolarmente cara alla madre la sua figlia più giovane ". Proprio questa data della nascita fu per la carmelitana quasi un vaticinio.Il padre, commerciante in legname, venne a mancare quando Edith non aveva ancora compiuto il secondo anno d'età. La madre, una donna molto religiosa, solerte e volitiva, veramente un'ammirevole persona, rimasta sola dovette sia accudire alla famiglia sia condurre la grande azienda; non riuscì però a mantenere nei figli una fede vitale. Edith perse la fede in Dio. " In piena coscienza e di libera scelta smisi di pregare ".Consegui brillantemente la maturità nel 1911 ed iniziò a studiare germanistica e storia all'Università di Breslavia, più per conseguire una base di futuro sostentamento che per passione. Il suo vero interesse era invece la filosofia. S'interessava molto anche di questioni riguardanti le donne. Entrò a far parte dell'organizzazione " Associazione Prussiana per il Diritto Femminile al Voto ". Più tardi scrisse: " Quale ginnasiale e giovane studente fui una radicale femminista. Persi poi l'interesse a tutta la questione. Ora sono alla ricerca di soluzioni puramente obiettive ".Nel 1913 la studentessa Edith Stein si recò a Gottinga per frequentare le lezioni universitarie di Edmund Husserl, divenne sua discepola e assistente ed anche conseguì con lui la sua laurea. A quel tempo Edmund Husserl affascinava il pubblico con un nuovo concetto della verità: il mondo percepito esisteva non solamente in maniera kantiana della percezione soggettiva. I suoi discepoli comprendevano la sua filosofia quale svolta verso il concreto. " Ritorno all'oggettivismo ". La fenomenologia condusse, senza che lui ne avesse l'intenzione, non pochi dei suoi studenti e studentesse alla fede cristiana. A Gottinga Edith Stein incontrò anche il filosofo Max Scheler.Quest'incontro richiamò la sua attenzione sul cattolicesimo. Però non dimenticò quello studio che le doveva procurare il pane futuro. Nel gennaio del 1915 superò con lode l'esame di stato. Non iniziò però il periodo di formazione professionale.Allo scoppiare della prima guerra mondiale scrisse: " Ora non ho più una mia propria vita". Frequentò un corso d'infermiera e prestò servizio in un ospedale militare austriaco. Per lei furono tempi duri. Accudisce i degenti del reparto malati di tifo, presta servizio in sala operatoria, vede morire uomini nel fior della gioventù. Alla chiusura dell'ospedale militare, nel 1916, seguì Husserl a Friburgo nella Brisgovia, ivi conseguì nel 1917 la laurea " summa cum laude " con una tesi "Sul problema dell'empatia".A quel tempo accadde che osservò come una popolana, con la cesta della spesa, entrò nel Duomo di Francoforte e si soffermò per una breve preghiera. " Ciò fu per me qualcosa di completamente nuovo. Nelle sinagoghe e nelle chiese protestanti, che ho frequentato, i credenti si recano alle funzioni. Qui però entrò una persona nella chiesa deserta, come se si recasse ad un intimocolloquio. Non ho mai potuto dimenticare l'accaduto ". Nelle ultime pagine della sua tesi di laurea scrisse: " Ci sono stati degli individui che in seguito ad un'improvvisa mutazione della loro personalità hanno creduto di incontrare la misericordia divina". Come arrivò a questa asserzione?Edith Stein era legata da rapporti di profonda amicizia con l'assistente di Husserl a Gottinga, Adolf Reinach e la sua consorte. Adolf Reinach muore in Fiandra nel novembre del 1917. Edith si reca a Gottinga. I Reinach si erano convertiti alla fede evangelica. Edith aveva una certa ritrosia rispetto all'incontro con la giovane vedova. Con molto stupore incontrò una credente. " Questo è stato il mio primo incontro con la croce e con la forza divina che trasmette ai suoi portatori ... Fu il momento in cui la mia irreligiosità crollò e Cristo rifulse ". Più tardi scriverà: " Ciò che non era nei miei piani era nei piani di Dio. In me prende vita la profonda convinzione che-visto dal lato di Dio - non esiste il caso; tutta la mia vita, fino ai minimi particolari, è già tracciata nei piani della provvidenza divina e davanti agli occhi assolutamente veggenti di Dio presenta una correlazione perfettamente compiuta".Nell'autunno del 1918 Edith Stein cessò l'attività di assistente presso Edmund Husserl. Questo poiché desiderava di lavorare indipendentemente. Per la prima volta dopo la sua conversione Edith Stein visitò Husserl nel 1930. Ebbe con lui una discussione sulla sua nuova fede nella quale lo avrebbe volentieri voluto partecipe. Poi scrisse la sorprendente frase: " Dopo ogni incontro che mi fa sentire l'impossibilità di influenzare direttamente, s'acuisce in me l'impellenza di un mio proprio olocausto ".Edith Stein desiderava ottenere l'abilitazione alla libera docenza. A quel tempo ciò era cosa irraggiungibile per una donna. Husserl si pronunciò in una perizia: " Se la carriera universitaria venisse resa accessibile per le donne, potrei allora caldamente raccomandarla più di qualsiasi altra persona per l'ammissione all'esame di abilitazione ". Più tardi le venne negata l'abilitazione a causa della sua origine giudaica.Edith Stein ritorna a Breslavia. Scrive articoli a giustificazione della psicologia e discipline umanistiche. Legge però anche il Nuovo Testamento, Kierkegaard e il libriccino d'esercizi di Ignazio di Loyola. Percepisce che un tale scritto non si può semplicemente leggere, bisogna metterlo in pratica.Nell'estate del 1921 si recò per alcune settimane a Bergzabern (Palatinato), nella tenuta della Signora Hedwig Conrad-Martius, una discepola di Husserl. Questa Signora si era convertita, assieme al proprio coniuge, alla fede evangelica. Una sera Edith trovò nella libreria l'autobiografia di Teresa d'Avila. La lesse per tutta la notte. " Quando rinchiusi il libro mi dissi: questa è la verità ". Considerando retrospettivamente la sua vita scrisse più tardi: " Il mio anelito per la verità era un'unica preghiera".Il l° gennaio del 1922 Edith Stein si fece battezzare. Era il giorno della Circoncisione di Gesù, l'accoglienza di Gesù nella stirpe di Abramo. Edith Stein stava eretta davanti alla fonte battesimale, vestita con il bianco manto nuziale di Hedwig Conrad-Martius che funse da madrina. "Avevo cessato di praticare la mia religione ebraica e mi sentivo nuovamente ebrea solo dopo il mio ritorno a Dio". Ora sarà sempre cosciente, non solo intellettualmente ma anche tangibilmente, di appartenere alla stirpe di Cristo. Alla festa della Candelora, anche questo un giorno la cui origine risale al Vecchio Testamento, venne cresimata dal Vescovo di Spira nella sua cappella privata.Dopo la conversione, per prima cosa si recò a Breslavia. "Mamma, sono cattolica". Ambedue piansero. Hedwig CornradMartius scrisse: "Vedi, due israelite e nessuna è insincera" (confr. Giovanni 1, 47).Subito dopo la sua conversione Edith Stein aspira al Carmelo ma i suoi interlocutori spirituali, il Vicario generale di Spira e il Padre Erich Przywara SJ, le impediscono questo passo. Fino alla Pasqua del 1931 assume allora un impiego d'insegnante di tedesco e storia presso il liceo e seminario per insegnanti del convento domenicano della Maddalena di Spira. Su insistenza dell'Arciabate Raphael Walzer del Convento di Beuron intraprende lunghi viaggi per indire conferenze, soprattutto su temi femminili. " Durante il periodo immediatamente prima e anche per molto tempo dopo la mia conversione ... credevo che condurre una vita religiosa significasse rinunciare a tutte le cose terrene e vivere solo nel pensiero di Dio. Gradualmente però mi sono resa conto che questo mondo richiede ben altro da noi ... io credo persino: più uno si sente attirato da Dio e più deve "uscire da se stesso", nel senso di rivolgersi al mondo per portare ivi una divina ragione di vivere ". Enorme è il suo programma di lavoro. Traduce le lettere e i diari del periodo precattolico di Newmann e l'opera " Quxstiones disputati de veritate " di Tommaso d'Aquino e ciò in una versione molto libera, per amore del dialogo con la moderna filosofia. Il Padre Erich Przywara SJ la spronò a scrivere anche proprie opere filosofiche. Imparò che è possibile " praticare la scienza al servizio di Dio ... solo per tale ragione ho potuto decidermi ad iniziare serie opere scientifiche ". Per la sua vita e per il suo lavoro ritrova sempre le necessarie forze nel convento dei Benedettini di Beuron dove si reca a trascorrere le maggiori festività dell'anno ecclesiastico.Nel 1931 termina la sua attività a Spira. Tenta nuovamente di ottenere l'abilitazione alla libera docenza a Breslavia e Friburgo. Invano. Dà allora forma ad un'opera sui principali concetti di Tommaso d'Aquino: " Potenza ed azione ". Più tardi farà di questo saggio la sua opera maggiore elaborandolo sotto il titolo " Endliches un ewiges Sein " (Essere finito ed Essere eterno) e ciò nel convento delle Carmelitane di Colonia. Una stampa dell'opera non fu possibile durante la sua vita.Nel 1932 le venne assegnata una cattedra presso una istituzione cattolica, l'Istituto di Pedagogia Scientifica di Miinster, dove ha la possibilità di sviluppare la propria antropologia. Qui ha il modo di unire scienza e fede e di portare alla comprensione d'altri quest'unione. In tutta la sua vita vuole solo essere " strumento di Dio ". " Chi viene da me desidero condurlo a Lui ".Nel 19331a notte scende sulla Germania. " Avevo già sentito prima delle severe misure contro gli ebrei. Ma ora cominciai improvvisamente a capire che Dio aveva posto ancora una volta pesantemente la Sua mano sul Suo popolo e che il destino di questo popolo era anche il mio destino". L'articolo di legge sulla stirpe ariana dei nazisti rese impossibile la continuazione dell'attività d'insegnante. " Se qui non posso continuare, in Germania non ci sono più possibilità per me ". " Ero divenuta una straniera nel mondo ".L'Arciabate Walzer di Beuron non le impedì più di entrare in un convento delle Carmelitane. Già al tempo in cui si trovava a Spira aveva fatto il voto di povertà, di castità e d'ubbidienza. Nel 1933 si presenta alla Madre Priora del Monastero delle Carmelitane di Colonia. "Non l'attività umana ci può aiutare ma solamente la passione di Cristo. Il mio desiderio è quello di parteciparvi ".Ancora una volta Edith Stein si reca a Breslavia per prendere commiato dalla madre e dalla sua famiglia. L'ultimo giorno che trascorse a casa sua fu il 12 ottobre, il giorno del suo compleanno e contemporaneamente la festività ebraica dei tabernacoli. Edith accompagna la madre nella sinagoga. Per le due donne non fu una giornata facile. " Perché l'hai conosciuta (la fede cristiana)? Non voglio dire nulla contro di Lui. Sarà anche stato un uomo buono. Ma perché s'è fatto Dio?". La madre piange. Il mattino dopo Edith prende il treno per Colonia. " Non poteva subentrare una gioia impetuosa. Quello che lasciavo dietro di me era troppo terribile. Ma io ero calmissima - nel porto della volontà di Dio ". Ogni settimana scriverà poi una lettera alla madre. Non riceverà risposte. La sorella Rosa le manderà notizie da casa.Il 14 ottobre Edith Stein entra nel monastero delle Carmelitane di Colonia. Nel 1934, il 14 aprile, la cerimonia della sua vestizione. L'Arciabate di Beuron celebrò la messa. Da quel momento Edith Stein porterà il nome di Suor Teresa Benedetta della Croce. Nel 1938 scrive: " Sotto la Croce capii il destino del popolo di Dio che allora (1933) cominciava ad annunciarsi. Pensavo che capissero che si trattava della Croce di Cristo, che dovevano accettarla a nome di tutti gli altri. Certo, oggi comprendo di più su queste cose, che cosa significa essere sposa del Signore sotto il segno della Croce. Certo, non sarà mai possibile di comprendere tutto questo, poiché è un segreto ". Il 21 aprile del 1935 fece i voti temporali. Il 14 settembre del 1936, al tempo del rinnovo dei voti, muore la madre a Breslavia. " Fino all'ultimo momento mia madre è rimasta fedele alla suareligione. Ma poiché la sua fede e la sua ferma fiducia nel suo Dio ... fu l'ultima cosa che rimase viva nella sua agonia, ho fiducia che ha trovato un giudice molto clemente e che ora è la mia più fedele assistente, in modo che anch'io possa arrivare alla meta".Sull'immagine devozionale della sua professione perpetua dei voti, il 21 aprile del 1938, fa stampare le parole di San Giovanni della Croce al quale lei dedicherà la sua ultima opera: " La mia unica professione sarà d'ora in poi l'amore".L'entrata di Edith Stein nel convento delle Carmelitane non è stata una fuga. " Chi entra nel Carmelo non è perduto per i suoi, ma in effetti ancora più vicino; questo poiché è la nostra professione di rendere conto a Dio per tutti ". Soprattutto rese conto a Dio per il suo popolo. " Devo continuamente pensare alla regina Ester che venne sottratta al suo popolo per renderne conto davanti al re. Io sono una piccola e debole Ester ma il Re che mi ha eletto è infinitamente grande e misericordioso. Questa è una grande consolazione" (31-10-1938).Il giorno 9 novembre 1938 l'odio portato dai nazisti verso gli ebrei viene palesato a tutto il mondo. Le sinagoghe bruciano. Il terrore viene sparso fra la gente ebrea. Madre Priora delle Carmelitane di Colonia fa tutto il possibile per portare Suor Teresa Benedetta della Croce all'estero. Nella notte di capodanno del 1938 attraversa il confine dei Paesi Bassi e viene portata nel monastero delle Carmelitane di Echt, in Olanda. In quel luogo stila il 9 giugno 1939 il suo testamento: " Già ora accetto con gioia, in completa sottomissione e secondo la Sua santissima volontà, la morte che Iddio mi ha destinato. Io prego il Signore che accetti la mia vita e la mia morte ... in modo che il Signore venga riconosciuto dai Suoi e che il Suo regno venga in tutta la sua magnificenza per la salvezza della Germania e la pace del mondo... ".Già nel monastero delle Carmelitane di Colonia a Edith Stein era stato concesso il permesso di dedicarsi alle opere scientifiche. Fra l'altro scrisse in quel luogo "Dalla vita di una famiglia ebrea". " Desidero semplicemente raccontare che cosa ho sperimentato ad essere ebrea ". Nei confronti " della gioventù che oggi viene educata già dall'età più tenera ad odiare gli ebrei ... noi, che siamo statì educati nella comunità ebraica, abbiamo il dovere di rendere testimonianza ".In tutta fretta Edith Stein scriverà ad Echt il suo saggio su " Giovanni della Croce, il mistico Dottore della Chiesa, in occasione del quattrocentesimo anniversario della sua nascita, 1542-1942 ". Nel 1941 scrisse ad una religiosa con cui aveva rapporti d'amicizia: " Una scientia crucis (la scienza della croce) può essere appresa solo se si sente tutto il peso della croce. Dì ciò ero convinta già dal primo attimo e di tutto cuore ho pronunciato: Ave, Crux, Spes unica (ti saluto, Croce, nostra unica speranza) ". Il suo saggio su San Giovanni della Croce porta la didascalia: " La scienza della Croce ".Il 2 agosto del 1942 arriva la Gestapo. Edith Stein si trova nella cappella, assieme alla altre Sorelle. Nel giro di 5 minuti deve presentarsi, assieme a sua sorella Rosa che si era battezzata nella Chiesa cattolica e prestava servizio presso le Carmelitane di Echt. Le ultime parole di Edith Stein che ad Echt s'odono, sono rivolte a Rosa: " Vieni, andiamo per il nostro popolo ".Assieme a molti altri ebrei convertiti al cristianesimo le due donne vengono portate al campo di raccolta di Westerbork. Si trattava di una vendetta contro la comunicazione di protesta dei vescovi cattolici dei Paesi Bassi contro i pogrom e le deportazioni degli ebrei. " Che gli esseri umani potessero arrivare ad essere così, non l'ho mai saputo e che le mie sorelle e i miei fratelli dovessero soffrire così, anche questo non l'ho veramente saputo ... in ogni ora prego per loro. Che oda Dio la mia preghiera? Con certezza però ode i loro lamenti ". Il prof. Jan Nota, a lei legato, scriverà più tardi. " Per me lei è, in un mondo di negazione di Dio, una testimone della presenza di Dio ".All'alba del 7 agosto parte un carico di 987 ebrei in direzione Auschwitz. Fu il giorno 9 agosto nel quale Suor Teresa Benedetta della Croce, assieme a sua sorella Rosa ed a molti altri del suo popolo, morì nelle camere a gas di Auschwitz.Con la sua beatificazione nel Duomo di Colonia, il 1° maggio del 1987, la Chiesa onorò, per esprimerlo con le parole del Pontefice Giovanni Paolo II, " una figlia d'Israele, che durante le persecuzioni dei nazisti è rimasta unita con fede ed amore al Signore Crocifisso, Gesù Cristo, quale cattolica ed al suo popolo quale ebrea".



SANTA MESSA PER LA CANONIZZAZIONE DI EDITH STEINOMELIA DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO IIDomenica, 11 ottobre 1998
   
1. Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo (cfr Gal 6,14).Le parole di San Paolo ai Galati, che poc'anzi abbiamo ascoltato, ben si addicono all'esperienza umana e spirituale di Teresa Benedetta della Croce, che oggi solennemente viene iscritta nell'albo dei santi. Anche lei può ripetere con l'Apostolo: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo.La croce di Cristo! Nella sua costante fioritura l'albero della Croce porta sempre rinnovati frutti di salvezza. Per questo, alla Croce guardano fiduciosi i credenti, traendo dal suo mistero di amore coraggio e vigore per camminare fedeli sulle orme di Cristo crocifisso e risorto. Il messaggio della Croce è così entrato nel cuore di tanti uomini e di tante donne cambiandone l'esistenza.Un esempio eloquente di questo straordinario rinnovamento interiore è la vicenda spirituale di Edith Stein. Una giovane donna in cerca della verità, grazie al lavorio silenzioso della grazia divina, è diventata una santa ed una martire: è Teresa Benedetta della Croce, che quest'oggi dal cielo ripete a tutti noi le parole che hanno segnato la sua esistenza: "Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce di Gesù Cristo".2. Il primo maggio 1987, nel corso della mia visita pastorale in Germania, ho avuto la gioia di proclamare Beata, nella città di Colonia, questa generosa testimone della fede. Oggi, a undici anni di distanza, qui a Roma, in Piazza San Pietro, mi è dato di presentare solennemente come Santa davanti a tutto il mondo questa eminente figlia d'Israele e figlia fedele della Chiesa.Come allora, così quest'oggi ci inchiniamo dinanzi alla memoria di Edith Stein, proclamando l'invitta testimonianza da lei resa durante la vita e soprattutto con la morte. Accanto a Teresa d'Avila ed a Teresa di Lisieux, quest'altra Teresa va a collocarsi fra lo stuolo di santi e sante che fanno onore all'Ordine carmelitano.Carissimi Fratelli e Sorelle, che siete convenuti per questa solenne celebrazione, rendiamo gloria a Dio per l'opera da lui compiuta in Edith Stein.3. Saluto i numerosi pellegrini venuti a Roma, con un particolare pensiero per i membri della famiglia Stein, che hanno voluto essere con noi per questa lieta circostanza. Un saluto cordiale va anche alla rappresentanza della Comunità carmelitana, la quale è diventata la "seconda famiglia" per Teresa Benedetta della Croce.Rivolgo, poi, il mio benvenuto alla delegazione ufficiale della Repubblica Federale di Germania, guidata del Cancelliere Federale uscente, Helmut Kohl, che saluto con deferente cordialità. Saluto, inoltre, i rappresentanti dei Länder Nordrhein-Westfalen e Rheinland-Pfalz, come anche il Primo Sindaco della Città di Colonia.Anche dalla mia patria è venuta una delegazione ufficiale guidata dal Primo Ministro Jerzy Buzek. Rivolgo ad essa un cordiale saluto.Una speciale menzione voglio poi riservare ai pellegrini delle diocesi di Breslavia (Wroclaw), di Colonia, Münster, Spira, Kraków e Bielsko-Zywiec, presenti con i loro Vescovi e sacerdoti. Essi si uniscono alla numerosa schiera di fedeli venuti dalla Germania, dagli Stati Uniti d'America e dalla mia patria, la Polonia.4. Cari Fratelli e Sorelle! Perché ebrea, Edith Stein fu deportata insieme con la sorella Rosa e molti altri ebrei dei Paesi Bassi nel campo di concentramento di Auschwitz, ove insieme con loro trovò la morte nelle camere a gas. Di tutti facciamo oggi memoria con profondo rispetto. Pochi giorni prima della sua deportazione la religiosa, a chi le offriva di fare qualcosa per salvarle la vita, aveva risposto: "Non lo fate! Perché io dovrei essere esclusa? La giustizia non sta forse nel fatto che io non tragga vantaggio dal mio battesimo? Se non posso condividere la sorte dei miei fratelli e sorelle, la mia vita è in un certo senso distrutta".Nel celebrare d'ora in poi la memoria della nuova Santa, non potremo non ricordare di anno in anno anche la Shoah, quel piano efferato di eliminazione di un popolo, che costò la vita a milioni di fratelli e sorelle ebrei. Il Signore faccia brillare il suo volto su di loro e conceda loro la pace (cfr Nm 6,25 s.).Per amor di Dio e dell'uomo ancora una volta io levo un grido accorato: mai più si ripeta una simile iniziativa criminale per nessun gruppo etnico, nessun popolo, nessuna razza, in nessun angolo della terra! E' un grido che rivolgo a tutti gli uomini e le donne di buona volontà; a tutti coloro che credono all'eterno e giusto Iddio; a tutti coloro che si sentono uniti in Cristo, Verbo di Dio incarnato. Tutti dobbiamo trovarci in questo solidali: è in gioco la dignità umana. Esiste una sola famiglia umana. Questo ha ribadito la nuova Santa con grande insistenza: "Il nostro amore verso il prossimo - scriveva - è la misura del nostro amore a Dio. Per i cristiani - e non solo per loro - nessuno è «straniero». L'amore di Cristo non conosce frontiere".5. Cari Fratelli e Sorelle! L'amore di Cristo fu il fuoco che incendiò la vita di Teresa Benedetta della Croce. Prima ancora di rendersene conto, essa ne fu completamente catturata. All'inizio il suo ideale fu la libertà. Per lungo tempo Edith Stein visse l'esperienza della ricerca. La sua mente non si stancò di investigare ed il suo cuore di sperare. Percorse il cammino arduo della filosofia con ardore appassionato ed alla fine fu premiata: conquistò la verità, anzi ne fu conquistata. Scoprì, infatti, che la verità aveva un nome: Gesù Cristo, e da quel momento il Verbo incarnato fu tutto per lei. Guardando da carmelitana a questo periodo della sua vita, scrisse ad una benedettina: "Chi cerca la verità, consapevolmente o inconsapevolmente cerca Dio".Pur essendo stata educata nella religione ebraica dalla madre, Edith Stein a quattordici anni "si era consapevolmente e di proposito disabituata alla preghiera". Voleva contare solo su se stessa, preoccupata di affermare la propria libertà nelle scelte della vita. Alla fine del lungo cammino le fu dato di giungere ad una constatazione sorprendente: solo chi si lega all'amore di Cristo diventa veramente libero.L'esperienza di questa donna, che ha affrontato le sfide di un secolo travagliato come il nostro, diventa esemplare per noi: il mondo moderno ostenta la porta allettante del permissivismo, ignorando la porta stretta del discernimento e della rinuncia. Mi rivolgo specialmente a voi, giovani cristiani, in particolare ai numerosi ministranti convenuti in questi giorni a Roma: guardatevi del concepire la vostra vita come una porta aperta a tutte le scelte! Ascoltate la voce del vostro cuore! Non restate alla superficie, ma andate al fondo delle cose! E quando sarà il momento, abbiate il coraggio di decidervi! Il Signore attende che voi mettiate la vostra libertà nelle sue mani misericordiose.6. Santa Teresa Benedetta della Croce giunse a capire che l'amore di Cristo e la libertà dell'uomo s'intrecciano, perché l'amore e la verità hanno un intrinseco rapporto. La ricerca della verità e la sua traduzione nell'amore non le apparvero in contrasto; essa, anzi, capì che si richiamavano a vicenda.Nel nostro tempo la verità viene scambiata spesso con l'opinione della maggioranza. Inoltre è diffusa la convinzione che ci si debba servire della verità anche contro l'amore o viceversa. Ma la verità e l'amore hanno bisogno l'una dell'altro. Suor Teresa Benedetta ne è testimone. La "martire per amore", che donò la sua vita per gli amici, non si fece superare da nessuno nell'amore. Allo stesso tempo ella cercò con tutta se stessa la verità, della quale scriveva: "Nessuna opera spirituale viene al mondo senza grandi travagli. Essa sfida sempre l'uomo intero".Suor Teresa Benedetta della Croce dice a noi tutti: Non accettate nulla come verità che sia privo di amore. E non accettate nulla come amore che sia privo di verità! L'uno senza l'altra diventa una menzogna distruttiva.7. La nuova Santa ci insegna, infine, che l'amore per Cristo passa attraverso il dolore. Chi ama davvero non si arresta di fronte alla prospettiva della sofferenza: accetta la comunione nel dolore con la persona amata.Consapevole di ciò che comportava la sua origine ebraica, Edith Stein ebbe al riguardo parole eloquenti: "Sotto la croce ho compreso la sorte del popolo di Dio... Infatti, oggi conosco molto meglio ciò che significa essere la sposa del Signore nel segno della Croce. Ma poiché è un mistero, con la sola ragione non potrà mai essere compreso".Il mistero della Croce pian piano avvolse tutta la sua vita, fino a spingerla verso l'offerta suprema. Come sposa sulla Croce, Suor Teresa Benedetta non scrisse soltanto pagine profonde sulla "scienza della croce", ma fece fino in fondo il cammino alla scuola della Croce. Molti nostri contemporanei vorrebbero far tacere la Croce. Ma niente è più eloquente della Croce messa a tacere! Il vero messaggio del dolore è una lezione d'amore. L'amore rende fecondo il dolore e il dolore approfondisce l'amore.Attraverso l'esperienza della Croce, Edith Stein poté aprirsi un varco verso un nuovo incontro col Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Fede e croce le si rivelarono inseparabili. Maturata alla scuola della Croce, ella scoprì le radici alle quali era collegato l'albero della propria vita. Capì che era molto importante per lei "essere figlia del popolo eletto e di appartenere a Cristo non solo spiritualmente, ma anche per un legame di sangue".8. "Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità" (Gv 4,24).Carissimi Fratelli e Sorelle, con queste parole il divino Maestro s'intrattenne con la Samaritana presso il pozzo di Giacobbe. Quanto egli donò alla sua occasionale ma attenta interlocutrice lo troviamo presente anche nella vita di Edith Stein, nella sua "salita al Monte Carmelo". La profondità del mistero divino le si rese percettibile nel silenzio della contemplazione. Man mano che, lungo la sua esistenza, essa maturava nella conoscenza di Dio, adorandolo in spirito e verità, sperimentava sempre più chiaramente la sua specifica vocazione a salire sulla Croce con Cristo, ad abbracciarla con serenità e fiducia, ad amarla seguendo le orme del suo diletto Sposo: Santa Teresa Benedetta della Croce ci viene additata oggi come modello a cui ispirarci e come protettrice a cui ricorrere.Rendiamo grazie a Dio per questo dono. La nuova Santa sia per noi un esempio nel nostro impegno a servizio della libertà, nella nostra ricerca della verità. La sua testimonianza valga a rendere sempre più saldo il ponte della reciproca comprensione tra ebrei e cristiani.Tu, Santa Teresa Benedetta della Croce, prega per noi! Amen.