State buoni , Se potete - San Filippo Neri ...

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State buoni , Se potete - San Filippo Neri ... Tutto il resto è vanità. "VANITA' DELLE VANITA '> Branduardi nel fim - interpreta Spiridione. (State buoni se potete è un film italiano del 1983, diretto da Luigi Magni, con Johnny Dorelli e Philippe Leroy).

venerdì 15 febbraio 2013

La croce di Benedetto XVI° ... LA COSCIENZA DELLA RINUNCIA

Dott. Joaquín Navarro-Valls, Professore Visitante della Facoltà di Comunicazione

Artícolo Repubblica La coscienza della rinuncia

La croce di Benedetto XVI




L’Arcivescovo di Milano, il cardinale Angelo Scola, ha scritto una lettera a tutti i fedeli della Chiesa ambrosiana in seguito «all’inaspettato e umile gesto di rinuncia al Pontificato da parte di Benedetto XVI». Ecco il testo integrale, che l’Arcivescovo chiede che venga letto all’inizio di tutte le Celebrazioni Eucaristiche della Prima domenica di Quaresima.

Milano, 17 febbraio 2013
I Domenica di Quaresima
Carissime sorelle, carissimi fratelli in Cristo Gesù nostro Signore,
di fronte all’inaspettato ed umile gesto di rinuncia al Pontificato da parte di Benedetto XVI non sono importanti i sentimenti che, sul momento, hanno occupato il nostro cuore. Conta la limpidezza del gesto di fede e di testimonianza del nostro caro Papa. Esso si è subito imposto, a noi e a tutto il mondo.
È impossibile non rievocare con speciale gratitudine il dono della Visita di Benedetto XVI alla nostra Diocesi in occasione del VII Incontro Mondiale delle Famiglie. In quei giorni siamo stati veramente confermati nella fede dal Successore di Pietro: la sua presenza tra noi è stata il segno visibile della vicinanza di Dio al Suo popolo.
Anche attraverso questa Sua decisione, presa in coscienza davanti a Dio, in totale libertà e motivata unicamente dal bene della Chiesa, Benedetto XVI continua a confermare la nostra fede. Nell’Udienza generale del 13 febbraio scorso, Egli ha ribadito che «la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura».
La testimonianza del Papa ci ha mostrato che cosa sia una vita piena, capace di stare di fronte a Gesù, destino dell’uomo.
A ciascuno personalmente e a tutti noi insieme tocca ora la responsabilità di accompagnare il Collegio dei Cardinali nell’accogliere l’iniziativa dello Spirito Santo per la scelta del nuovo Papa.
Siamo all’inizio della Santa Quaresima: dedichiamoci con più energia alla preghiera personale, familiare e comunitaria. Vigiliamo sull’uso del nostro tempo, dando spazio a gesti di penitenza e di carità che dispongano il nostro cuore alla grazia redentrice di Cristo. Raccomando in modo particolare la recita quotidiana del Santo Rosario, la confessione e, nella misura del possibile, la partecipazione ad un gesto liturgico infrasettimanale.
«Pietro ed Ambrogio, una sola fede»: è questa la fonte della nostra fiducia.
Con affetto vi benedico.
Angelo cardinale Scola
Arcivescovo di Milano

* * *


La croce di Ratzinger
di Julián Carrón
in “la Repubblica” del 15 febbraio 2013
Caro direttore, il suo editoriale sull’annuncio di Benedetto XVI descrive la situazione in cui tutti ci
siamo venuti a trovare lunedì mattina. «È una notizia universale, che fa il giro del mondo e lo
stupisce. (…) Guai a far finta di niente». Per un istante il mondo si è fermato. Tutti, dovunque
fossimo, abbiamo sostato in silenzio, specchiandoci nei volti altrettanto stupiti di chi avevamo
accanto. In quel minuto di silenzio c’era tutto. Nessuna strategia di comunicazione avrebbe potuto
provocare un simile contraccolpo: eravamo davanti a un fatto tanto incredibile quanto reale, che si è
imposto con una tale evidenza da trascinare tutti, facendoci alzare lo sguardo dalle cose solite.
Che cosa è stato in grado di riempire il mondo intero di silenzio, all’improvviso?
Quel minuto stupefatto ha bruciato d’un colpo tutte le immagini che di solito ci facciamo del
cristianesimo: un evento del passato, una organizzazione mondana, un insieme di ruoli, una morale
circa le cose da fare o da non fare. No, tutto questo non riesce a dare ragione adeguata di ciò che è
accaduto l’11 febbraio. La spiegazione va cercata altrove.
Perciò, davanti al gesto papale mi sono detto: qualcuno si sarà domandato chi è mai Cristo per
Joseph Ratzinger, se il legame con Lui lo ha indotto a compiere un atto di libertà così sorprendente,
che tutti – credenti e non credenti – hanno riconosciuto come eccezionale e profondamente umano?
Evitare questa domanda lascerebbe senza spiegazione l’accaduto e, quel che è peggio, perderemmo
ciò che di più prezioso ci testimonia. Esso grida, infatti, quanto è reale nella vita del Papa la persona
di Cristo, quanto Cristo deve essergli contemporaneo e potentemente presente per generare un gesto
di libertà da tutto e da tutti, una novità inaudita, così impossibile all’uomo. Pieno
di stupore, sono allora stato costretto a spostare lo sguardo su ciò che lo rendeva possibile: chi sei
Tu, che affascini un uomo fino a renderlo così libero da suscitare anche in noi il desiderio di quella
stessa libertà? «Cristo me trae tutto, tanto è bello», esclamava un altro appassionato di Cristo,
Jacopone da Todi: non ho trovato altra spiegazione.
Con la sua iniziativa il Papa ha dato una tale testimonianza a Cristo da far trasparire con potenza
tutta la Sua attrattiva, a tal punto che essa in qualche modo ci ha afferrati tutti: eravamo davanti a un
mistero che catturava l’attenzione. Dobbiamo ammettere quanto sia raro trovare una testimonianza
che costringa il mondo, almeno per un istante, a tacere.
Anche se, subito dopo, la distrazione ci stava già trascinando altrove, facendoci scivolare –
l’abbiamo visto in tante reazioni – negli inferi delle interpretazioni e dei calcoli di “politica
ecclesiastica”, impedendoci di vedere che cosa ci ha realmente avvinto nell’accaduto, nessuno potrà
più cancellare da ogni fibra del proprio essere quell’interminabile istante di silenzio.
Non solo la libertà, ma anche la capacità del Papa di leggere il reale, di cogliere i segni dei tempi,
grida la presenza di Cristo. Parlando di Zaccheo, il pubblicano salito sul sicomoro per vedere
passare Gesù, sant’Agostino dice: «E il Signore guardò proprio Zaccheo. Egli fu guardato e allora
vide. Se non fosse stato guardato, non avrebbe visto». Il Papa ci ha mostrato che solo l’esperienza
presente di Cristo permette di “vedere”, cioè di usare la ragione con lucidità, fino ad arrivare a un
giudizio assolutamente pertinente sul momento storico e a immaginare un gesto come quello che lui
ha compiuto: «Ho fatto questo in piena libertà per il bene della Chiesa, dopo aver pregato a lungo
ed aver esaminato davanti a Dio la mia coscienza, ben consapevole della gravità di tale atto, ma
altrettanto consapevole di non essere più in grado di svolgere il ministero petrino con quella forza
che esso richiede». Un realismo inaudito! Ma dove ha origine? «Mi sostiene e mi illumina la
certezza che la Chiesa è di Cristo, il Quale non le farà mai mancare la sua guida e la sua cura»
(Udienza generale del mercoledì, 13 febbraio 2013).
L’ultimo atto di questo pontificato mi appare come l’estremo gesto di un padre che mostra a tutti,
dentro e fuori della Chiesa, dove trovare quella certezza che ci renda veramente liberi dalle paure
che ci attanagliano. E lo fa con un gesto simbolico, come gli antichi profeti di Israele che, percomunicare al popolo la certezza del ritorno dall’esilio, facevano la cosa più apparentemente
assurda: comperare un campo. Anche lui è così certo che Cristo non farà mancare la Sua guida e la
Sua cura alla Chiesa che per gridarlo a tutti fa un gesto che a tanti è sembrato assurdo: mettersi da
parte per lasciare a Cristo lo spazio di provvedere alla Chiesa una nuova guida con le forze
necessarie per assolvere il compito.
Ma questo non riduce il valore del gesto alla sola Chiesa. Attraverso la cura della Chiesa, secondo il
Suo misterioso disegno, Cristo pone nel mondo un segno nel quale tutti possono vedere che non
sono da soli con la loro impotenza. Così «nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato
da questioni di grande rilevanza», che spesso provocano confusione e smarrimento, il Papa offre a
ogni uomo una roccia dove ancorare la speranza che non teme le burrasche quotidiane
permettendogli di guardare al futuro con fiducia.
L’autore è presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione


* * *


«C'è sconcerto tra i fedeli Ma il suo è un atto spirituale»
intervista ad Andrea Riccardi, a cura di Paolo Conti 
in “Corriere della Sera” del 15 febbraio 2013
Andrea Riccardi, qui la interpelliamo non certo come ministro uscente ma come storico della
Chiesa Cattolica. Le dimissioni di Benedetto XVI cambiano la storia del papato. Si è parlato
di «umanizzazione» della figura del Pontefice, addirittura di fine di un simbolo. E come si
colloca questo episodio nella storia del cattolicesimo?
«Un fatto eccezionale, perché tutti i Papi sono morti sulla cattedra di Pietro. Per Giovanni Paolo II,
la malattia e la morte hanno assunto il valore della testimonianza. Da qui lo stupore, talvolta la
sconcerto dei fedeli. Si sono chiesti: c'è qualcosa di tanto grosso che il Papa non riesce ad
affrontare? La realtà mi sembra un'altra. Papa Ratzinger ha puntato sul "governo spirituale" con il
suo insegnamento, più che sulla sua testimonianza personale. Ora sente di non avere più le forze
personali per continuare a insegnare ovunque, mentre ha già comunicato il suo messaggio. Per lui
testimonianza non è resistere malgrado la malattia, ma ritirarsi non essendo più protagonista».
Tutto questo non rischia di essere una sconfitta per la Chiesa?
«Alcuni vi vedono un segno di declino. Altri esaltano Ratzinger come il puro che si è sottratto a una
Chiesa "impura". Spesso sono gli stessi che, anni fa, lo dipingevano come un inquisitore che
l'avrebbe ridotta a un carcere. La Chiesa ha tante sfide dinanzi. Meno gravi di quelle della Seconda
guerra mondiale o del comunismo. La condizione della Chiesa è però sempre "agonica", cioè di
lotta nella storia. E' il campo del nuovo Papa, mentre ci si addentra nel secolo globalizzato, davvero
nuovo per gli uomini del Novecento.
Questo precedente vincolerà i successori, anche solo moralmente, a compiere la stessa scelta?
«La scelta di Ratzinger non è in contraddizione con la tradizione dei Papi che muoiono sul soglio
pontificio. Ma è l'eccezione di un "Papa spirituale". Bisogna andare molto indietro nel tempo, alla
rinuncia di Celestino V, morto nel 1296, che Dante giudicò frutto di viltà. In realtà la Chiesa l'ha
canonizzato come santo e Benedetto XVI ha visitato la sua tomba. Un'eccezione spirituale, non una
contraddizione. Non mi sembra anche che si inauguri l'introduzione dei limiti di età nel papato. Non
è la modernità che entra nella Chiesa. L'adeguamento alla modernità non è regola del vivere nella
Chiesa cattolica. Piaccia o non piaccia, è la realtà.
Benedetto XVI assicura che rimarrà «nascosto al mondo». Ma come vivrà la Chiesa con un ex
Pontefice in vita?
«Come prima. Joseph Ratzinger non è malato di protagonismo, come si vede con le dimissioni.
Pensa che nella Chiesa ci sia qualcuno migliore e più in forze di lui per guidarla. Non sarà un Papaombra: non è nel suo carattere rispettoso delle responsabilità altrui. Non avremo un Papa in carica
accanto a un Papa emerito».
Nella base dei fedeli c'è sconcerto e smarrimento. Basterà l'arrivo di un nuovo Pontefice a
rassicurare il cattolicesimo?
«Lo sconcerto c'è. Ci fu, per motivi diversi, anche alla morte di Wojtyla, per molti, l'unico Papa
pensabile dopo 27 anni. Fu scelto Ratzinger che gli era vicino. Non si fece un salto di generazione.
Presto invece ci sarà un Papa di un'altra generazione, che non ha conosciuto la Guerra mondiale.
Ratzinger e Wojtyla vissero il Concilio da protagonisti. Il nuovo Papa sarà un figlio del Concilio.
Un'altra storia. Tuttavia il Vaticano II resta un riferimento decisivo. Si vede ora come ci voglia
tempo per recepirlo. Il mondo è cambiato, non è più quello della guerra fredda, ma è divenuto
globale nell'economia e nei modelli antropologici e culturali».
Attuare il Concilio significa trovare nuove forme di governo?
«Giovanni Paolo II moltiplicò i viaggi e i contatti personali. Benedetto XVI, anche anziano, ha
tenuto fede all'impegno di viaggiare. Mi chiedo se il contatto "carismatico" (che Giovanni Paolo II
ha avuto con tutti) non debba diventare una forma di comunione più stretta».
Ma il Papa è «solo»? Non ha pesato la solitudine sulla scelta di Benedetto XVI?


Un uomo mai stato così grande

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Benedetto XVI°

Poche battute di un’agenzia e tutto diventa, di colpo, infinitamente piccolo: gli schiamazzi della politica-cabaret, il dito medio di un allenatore, Sanremo e lo spread. Tutto ciò per cui il mondo si dimena cercando spazio da invadere e occupare è divenuto, in un attimo, impercettibile, al cospetto di un uomo che mai è stato così grande. L’amore autentico, infatti, quando arde nel cuore, brucia tutto quello che ne è sprovvisto.
L’amore rende giustizia alla verità e smaschera la menzogna,con la forza dirompente che oggi si è abbattuta sul mondo esplodendo fulminea da poche, semplici, parole: “Per il bene della chiesa”. Oggi un uomo ha consegnato se stesso per amore dell’umanità. Oggi i nostri occhi hanno contemplato il Getsemani e il Golgota nel bel mezzo del Vaticano, e il Signore offrirsi di nuovo per ogni uomo di questa perduta generazione. Oggi Pietro, il dolce Cristo in terra, ci ha presi per mano, uno ad uno, e, pur lasciandoci sgomenti, ci ha detto la parola più forte, la più profondamente umana perché limpidamente divina: la parola della Croce, stoltezza e scandalo per l’orgoglio mondano, sapienza potente per l’umiltà di chi cerca e spera la salvezza.
Nelle sue dimissioni, infatti, sono registrate le dimissioni da padre e da madre, da figli e da figlie, da uomini e da donne, da persone uniche e irripetibili, di tutti coloro che la menzogna del demonio sta inghiottendo senza pietà in ogni angolo del mondo. Le nostre dimissioni dinanzi alle urgenti responsabilità dell’amore, quelle che nascondiamo e, orgogliosamente, non riusciamo a rassegnare, sono tutte li, sulla soglia del paradiso. Le ha consegnate il nostro Papa, nelle sue «dimissioni vicarie», con le quali di nuovo Cristo ha bussato oggi alla porta del Padre per consegnargli i limiti della forze umane, e, con essi, le debolezze, le cadute, il groviglio di dolore e morte di questa generazione, perché tutti possano essere di nuovo «assunti» alla dignità e alla santità per le quali sono stati creati. Amore per la chiesa, infatti, significa amore per ogni uomo, l’unico autentico, gratuito, disinteressato. Amore per il bene di ciascuno, senza distinzione. E non vi è che un bene, assoluto, definitivo, eterno: Cristo. È Lui il bene della Chiesa, per il quale il Papa si è dimesso. Altro non sappiamo, altro non ci interessa. Per Cristo, e perché Egli possa essere annunziato e così giungere ad ogni uomo, Benedetto XVI ha deciso di lasciare il pontificato.
“Che cos’è un uomo perché te ne curi, un figlio dell’uomo perché te ne dia pensiero?” recita il salmo 8. Che poi soggiunge: “eppure lo hai fatto poco meno degli angeli, di onore e di gloria lo hai coronato, tutto hai messo sotto ai suoi piedi”. Che cos’è un Papa? Che cosa siamo ciascuno di noi, che cerchiamo disperatamente di divenire i papi delle nostre famiglie, dei nostri uffici, dei nostri bar? Nulla, siamo “nulla più il peccato” diceva Santa Teresa d’Avila. E nessuno, neanche un Papa, sfugge a questa verità.
“Eppure” Benedetto XVI, proprio oggi è apparso, nella sua esile figura e nelle poche parole pronunciate, coronato di gloria e di onore; tutto, finanche il pontificato, vediamo oggi messo sotto i suoi piedi. È caduto sotto il peso della Croce, come Gesù, e ci ha dischiuso il cammino della libertà. Un uomo, infatti, è tanto più grande quanto più accoglie con amore la propria piccolezza e la consegna a Cristo. Oggi il Papa lo ha fatto, per amore nostro, spingendoci a guardare più in alto di lui, e di ciascuno di noi. Lo abbiamo riscoperto oggi contemplando il grave e difficile passo compiuto da Benedetto XVI, e non ci è sembrato mai così chiaro: nulla è più originalmente cristiano che «lasciare» tutto a Dio nella certezza che Lui fa bene ogni cosa; ora lo sappiamo, la potenza dell’amore si manifesta pienamente nella debolezza, soprattutto in quella di chi, umilmente, rassegna le dimissioni consegnando se stesso, la Chiesa e ogni uomo, all’unico Maestro, il Buon Pastore che ha dato la sua vita per le sue pecore.
E’ la grande quaresima della Chiesa, e Cristo ci chiama a conversione con le parole e il gesto del suo Vicario. Entriamo tutti con Lui nel Conclave, chiudiamo la porta in faccia ai peccati, alle idolatrie, al mondo e alle sue seduzioni. E attendiamo, fiduciosi, il soffio dello Spirito Santo che ci indichi, in un volto e una storia, il cammino autentico della Vita che non muore. Rinnovamento è, innanzi tutto, conversione, lo ha detto molte volte Benedetto XVI: “Convertirsi a Cristo significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza, esigenza del suo perdono”. Offrendo se stesso nel martirio più arduo, quello dell’umiltà, il Papa ha fatto il primo passo nella sequela della Via, della Verità e della Vita, l’atto di governo più alto e responsabile, più santo e incorruttibile. Basta parole inutili, basta ipocrisie. E’ tempo di convertirci, tutti, e prendere la vita così com’è e consegnarla a Cristo, senza riserve. Lui la rivestirà dello splendore della sua vittoria sulla morte e il peccato, rinnovando nell’amore e nello zelo la sua Chiesa.
Antonello Iapicca Pbro

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